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Gli uomini senza ombra al Cinema, gli hollow men han sempre affascinato

di Stefano Falotico

Le avventure di un uomo invisibile


Quanti film abbiamo visto ove il protagonista, che sia eroe o meno, perde la sua ombra?

Parimenti a Sansone che, perdendo i capelli, pensò di esser stato disintegrato della sua forza e invece, da quell’“evirazione”, acquisì una coscienza di sé più fiera e ancora più agguerrita, dunque anziché indebolirsi si rinnovò rigenerato di maggiore, energico rafforzamento, soprattutto nell’anima, facendo crollare tutti i filistei e le lor colonne “indistruttibili”, fondate van(itos)amente solo su labili, falsi “valori” disumani, come la Bibbia docet, ecco che ci son tante storie, nella Letteratura e soprattutto nel Cinema, ove il nostro man, per circostanze misteriose, assurde, stipulando strambi patti diabolici o a cagione di sortilegi dei più disparati appunto di sorta che lui pensa sciagurati da disperato, vien privato della sua ombra. Sì, all’inizio, quando perde la sua ombra, il nostro man è come se fosse stato sottratto dell’intimità del suo animo. Perché colui che non proietta la sua ombra… è un fantasma, un morto vivente. Un uomo appunto invisibile. Se non si vede la sua ombra, l’uomo, che la “indossa”, è come se non esistesse. O meglio, lui c’è, si percepisce vivo e vegeto come prima, né più né meno, ma la gente, che lo circonda, non vedendo la sua ombra, è come se proprio non vedesse nemmeno colui che appunto la “rivestiva”.

A tal proposito, ieri pomeriggio, sfiancato dal caldo essiccante, ove si rischia proprio di “evaporare”, da cui il detto dei molti gradi all’ombra, ho pensato bene d’andar a ripescare un mio vecchio libro d’antologia delle scuole superiori, rintracciando poi un estratto della “Storia straordinaria di Peter Schlemihl”. Romanzo pubblicato nel 1814 dal poeta tedesco Adalbert von Chamisso.

Una splendida storia che assomiglia al “Faust” di Goethe, anche lui tedesco. Oh, si vede che, in quel periodo, dati gli stenti economici, l’indigenza e la povertà nella quale riversava la Germania, questi germanici, eh eh, “buttavano al diavolo tutto”. Ah ah.

Eh sì, come Faust, il protagonista del libro di von Chamisso, giunge da povero in città.

E, non sapendo come tirare a campare, poiché nessuno gli dà da lavora’, ah ah, ecco che incontra uno strano “straniero”, uno di quella zona ché la/o conosce meglio delle sue (senza) tasche. Un “ricco” proprietario di quelle terre maledette dal demonio. Appunt(it)o! Eh sì, dietro gli abiti eleganti del buon samaritano, si nasconde in verità niente meno che il Devil in persona. Il nostro Schlemihl, allorché, (in)cosciente, pe’ fa’ du’ lire, dunque per guadagnare dei franchi…, “francamente” vien fregato dal figlio di put… a. Eh eh. Sì, in cambio di vile oro, il nostro diavolaccio gli chiede in cambio la sua ombra.

Da allora, Schlemihl vagherà per quelle lande desolate in modo inconsolabile. Nonostante la ricchezza, sarà più triste ed emarginato di prima. Varie peripezie lo consoleranno per un po’. Nel suo lungo ed estenuante peregrinare, incontrerà un benefattore, stavolta onesto, che lo ricoprirà di onori e gloria, ospitandolo a casa sua. In quel paese, s’innamorerà di Mina ma non potrà sposarla perché i genitori dell’ambita sposa scopriranno che il futuro genero è un “degenerato”, in quanto sprovvisto della sua ombra. Come dire:

“Un uomo senza ombra non è un buon partito, è già un uomo finito, cara mia, sposarsi uno così, significa aver già il piede in un fossa. Ah, dolce figlia, stacci a sentire, questo Schlemihl è solo un fesso. Lascialo perdere. Ha già perso tutto. Sì, uno senz’ombra che cazzo vive a fare?”.

Schlemihl insisterà in tutti modi per tentare di sposare Mina. Lei ci sta, non ci sta, l’ama e non l’ama. E, fra una margherita, un semi-bacio, un tira e molla, Mina alla fine lo manda a quell’altro paese. Ove Schlemihl troverà finalmente la felicità, dedicandosi appieno allo studio delle scienze naturali.

Che storia “allegra”, eh? Sì, biografica poiché von Chamisso impresse in prosa la sua solitudine esistenziale da intellettuale “rifiutato” dalla società dell’epoca. E, in quelle bellissime, incantevoli pagine magiche e poetiche, semplicemente, così come fanno spesso gli artisti, sublimò le sue precarietà…

Ora, citiamo, fra i mille, due casi a cas(acci)o di film, più o meno importanti, ove il nostro “eroe” perde l’ombra e getta nello scompiglio tutti, soprattutto sé stesso.

Hollow Man con Bacon-Shue e Le avventure di un uomo invisibile del grande John Carpenter.

Ah, nel film di Verhoeven, quel bocconcino di Bacon vuole la super donna Shue ma non riesce a “toccarla”, lei lo sente, lui le entra dentro…, coglie il suo respiro da “fiato sul collo” eppur non gode, non viene… “soddisfatta”. L’ombra è palpabile ma l’uomo è non è pappabile, la donna non vede la sua ombra, non lo vede per niente, come può dargliela? A chi la deve dare? Dove sta, come si fa a scopa’ se fisicamente non si può acchiappar’?

E l’ombra va, gironzolando di notte qua e là, tastando e annusando, furbescamente “fottuta”.

Elisabeth Shue Hollow Man

 

Coi Coen e con Hail Caesar, celebro la loro filmografia in modo “folle”, come piace a me, autarchico, elegantemente visionario

di Stefano Falotico

Joel Ethan Coen

 

Quanto mi attizza il nuovo film dei Coen, Hail Caesar con Josh Brolin e Clooney, evviva l’idiot trilogy dei Coen…

 Sì, i due fratellini hanno annunciato il loro nuovo film, che si prefigura come un evento devastante. S’intitola Hail Caesar, una sceneggiatura che loro hanno scritto una “miriade” di anni fa, sempre custodita gelosamente ma mai, alla fine, concretizzatasi in un film, come sovente accade, da lor stessi diretto. Perennemente procrastinato a favore di altri progetti, forse meno complessi, più immediati, più “di presa” per il pubblico. E allora ben venga Non è un paese per vecchi, ostracizzato, ostico, forse sopravvalutato, comunque oscarizzato con tanto di statuetta strameritata a uno Javier Bardem con la pettinatura più oscena della storia, l’uomo che non c’era versione McCarthy cinico eppur con un toupet spaventosamente “simpatico”, sì, A proposito di Davis ci può stare fra un gatto che batte tutti di sole fusa melanconiche da strapazzarlo e un giovane che sembra Al Pacino versione meno talentuosa e meno cazzuta, e in mezzo, anche dietro, un sacco di roba, che poi incenserò.

Ma arrivano, anzi arriviamo a questo Hail Caesar. Pochi dettagli sulla trama, si sa solo che Clooney torna a lavorare con Joel ed Ethan, appunto, dopo il “mezzo bluff” di Fratello, dove sei (sì, diciamocelo, un 6 stirato in pagella, dopo averlo rivisto, lo salvo solo per il pacioso sempre enorme Goodman e per un Turturro più strabico del solito) e quella cagata immonda di Prima ti sposo, poi ti rovino, un filmettino proprio piccolo sostenuto solo dai fan “senza fegato”, ah ah, dei fratellini, pronti a scommettere che fa gentleman ironico alla George- Cary Grant, appunto, con quel pezzo dell’uvona della Zeta-Jones, una che se metti in “pause” sui seni procaci della scena in ascensore, be’, non c’è bisogno che salga lentamente… arriva già a destinazione, e mi raccomando spingete “alt” per evitar il “contraccolpo” dell’esser venuti precipitevolissimevolmente, la parola più lunga dell’italiano media di “lingua”, che io batto di fantasia alla Mary Poppins, estraendo dalla mia “borsetta” sotto le occhiaie un super-fica…, ops, scusate, supercalifragilistichespiralidoso di basta un poco di zucchero e la pillola va giù. Non il Viagra, il Valium per contenere l’effetto “scoppiato” dell’ormone impazzito, ah, Catherine… allunga… che sedere poi, stia sedato!

A cuccia! Ma ci sarebbe da ciucciarla, cari ciuchi, sì, il caciucco, la cicuta. E la Paprika? Secondo me, è più bona Erica, senza k, non ci son cazzi. Sì, però è un po’ car(iat)a.

Sì, va “pene”, scusate, devo riprendermi dalla “botta(na)”, sì, volevo dire bene, volevo dire “Lei è un fallito!”, certamente, perché no, facciamo un viaggio alle (senza) “palle” da bowling formato trascurato Jeff grande Lebowski, il Bridges più cazzone che vedrete mai. Un genio assoluto per dei Coen ispirati da Dio. Oh, my Jesus, ancora due grandi John…

Ma che film è questo? Di un altro pianeta! Altro che oroscopi, mie donne frustrate da gastroscopie. Scopate! Vergine, in capricorno su ariete, potrebbe partorire dei gemelli o un toro in “congiunzione” abortista da piste, da ballisti, da freak, da pistolini come Steve Buscemi, “parto malato” della società tutta sballata, spaziale quanto Bridges che se le rompe con quella femminista artista dei “coglioni” della Moore, dunque gli parte l’embolo sideralmente congiunto a un’onirica visione di Saddam Hussein ed è un brutto trip(pone). Una squallida scopata in un pazzesco copione. Dunque, Ben Gazzara, uno da pornoattori, ex Bukowski qui con Lebowski, ordinaria follia, citazione (in)volontaria, e un finale dolceamaro da farci solo una gran risata.

Sì, questo mio post è da rimaner secchi, “senza parola”.

Ma la vita sta nel genio di quella battuta strepitosa…

Questo è il tuo compito, Larry? Questo è tuo, Larry? Questo è il tuo compito, Larry?

Che puoi dire?

Bravo!

Anzi, sono due. Bravi!

Tornando invece ad Hail Caesar. I Coen hanno dichiarato che questo sarà appunto il clooneyano terzo tassello mancante al loro succitato duetto, un terzetto sia filmografico sia di réunion da doppi registi consanguinei affratellati a Georgino. Loro l’hanno definita la trilogia dell’idiota…, ove Clooney, come nei due precedenti “casi”, interpreterà appunto il classico idiot savant. Uno che non sai se ci è o ci fa? Ma è bello, ha fascino. Sì, dello stronzo. Ed è giusto, se lo può permettere.

A cui Josh Brolin cercherà di parare il culo, in modo fixer…

 

 

Auguri di compleanno a Johnny Depp, che varca l’incredibile soglia dei 51 anni (?)

di Stefano Falotico

Rifletto che voi invecchiate e io no, cari animali impagliati

Rifletto che voi invecchiate e io no, cari animali impagliati

 

Sì, costui credo sia l’incarnazione del Faust di Goethe.

Balza all’occhio l’impossibilità della sua età anagrafica. Cinquantuno anni così “indossati”, be’, posso firmare per ottenere la sua “pelle?”.

Com’è possibile? Dio mio, che razza di perfetto Peter Pan ha creato sua madre (natura).

Tutti invecchiano, chi più chi meno. Una sorte ingrata che “sfigura” lentamente il viso, appaiono così inevitabilmente le rughe, il corpo imbolsisce, la stanchezza crepita nelle iridi d’occhi appisolati nel mesto ma inesorabile trascorrere pigro e triste del tempo purtroppo invincibile.

Invece, Depp, nato nel Kentucky il 9 Giugno del 1963, con all’attivo una pluripremiata e trentennale carriera alle spalle, sembra un mio coetaneo. E qui c’è d’aver piacevole, impressionante paura. Sobbalzo!

Un ritratto vivo e vegeto, prolifico di celluloide, alla Dorian Gray, senza cellulite, ancor magrissimo, con due peli di barba appena, a renderlo virilmente riconoscibile. Altrimenti, avremmo il sospetto di trovarci dinanzi a un imbroglione della sua carta d’identità.

Sì, con il pizzo alla Dean Corso de La Nona porta, Depp vagamente ci ricorda la sua effettiva età. Ma, sbarbato, urliamo di “terrore”.

No, siamo di fronte a un uomo che ha pattuito un contratto inestimabile per preservare la sua intatta giovinezza. Un uomo che sa abbinare, fra l’altro, al carisma sensuale… una classe eccezionale, una bravura da farci impallidire molto più della sua carnagione ceruleissima da La fabbrica di cioccolato.

Sì, resto basito, quasi perplesso. Un uomo che si fa il mazzo sul set e quindi qualche colpo alla sua bellezza dovrebbe accusare e invece, oltre che rimanere immutabile, sempre più elegantemente recita d’asciutto sguardo penetrante, ammaliandoci nel gioco delle sue palpebre dall’accigliato suo ammiccare vanesio ma con perfetto, armonioso bilanciamento del concupente malandrino che sa esser “effeminato”, mantenendosi maschio puro. Però! Capperi! Che figo/a!

Che levigatezza, che occhi, che splendida lor nerezza. Che romantico da gran tenerezze eppur bastardello in tanti ruoli da “gaglioffo”, da saltimbanco, da freak burtoniano, da gangster (in)verosimile.

Sono etero, credo anche tutto inte(g)ro. Eppur stringo la mano ad Amber Heard e le sussurro “Che culo che hai”.

Inteso in senso “doppio” come Depp, bello e impossibile, e come il suo didietro sfacciato.

Ah ah!

 

Sono Depp, detto Peter Pan

Sono Depp, detto Peter Pan

 

Ah, beata gioventù.

Ah, beata gioventù.

 

 

Lo stato anomalo di Travis Bickle

di Stefano Falotico

Taxi Driver

 

Molta gente, dopo aver visto Taxi Driver, credo sia rifuggita dal senso intimo del film. Il significato di tal capodopera, che io serbo nella mia anima di tutta gloria, risiede negli occhi di Bob De Niro. Occhi lancinanti che il sol volervi addentrare… tremar d’angoscia vi farà. Un “reietto” che s’auto… esilia, navigando un po’ fra lo smargiasso e il cinico romantico nelle notti calde d’una violenta, tumefacente New York notturna. Egli scruta gli animali strani, ne soffre a pelle l’ingordigia, ode il lamento dell’umanità, raggrumandolo nei suoi lineamenti sempre più smagrenti. S’allupa per labili, velleitari moti impulsivi di sua irascibile indole tanto propulsiva di scatti quanto invero negligente a qualsiasi principio di realtà “tranquilla”. Anela la bionda che lui idealizza, la sogna ma forse solo la trasfigura di effimero neanche volerla toccare, forgiandola a un’immagine (in)violabile tutta sua di purezza e perfezione. Similmente, come molti vedono in Nicole Kidman un angelo e io invece vedo una donna nella sua nudità raccapricciante, una donna perlacea, la quale a voi appare tale, che superficialmente ne ammirate le gambe slanciate, avvoltolate in vertiginosi tacchi di strascico su espressione “dolce” da docilissima femminilità di porcellana, una donna viziata, capricciosa, che io relegherei all’ufficio degl’imborghesiti Barry Primus a corteggiarla di “buffetti” e carinerie dall’insopportabile, rivoltante smanceria. Travis è un folle lucido che scorrazza fuggiascamente. Addolorandosi a letto, (s)tirando muscoli in allenamenti “orgasmizzanti” senz’alcun senso. Sì, il suo mettersi in forma non è indirizzato a niente. Tanto che alcuni spettatori credono si tratti d’un demente, d’uno che non capisce niente e fa sempre la mossa sbagliata per far la fig(ur)a da fesso. E qui cascano gli asini. Travis sa ponderare invece, è un temporeggiatore, scandisce da metronotte la melanconia dell’ineludibile assurdità del mondo, si fracassa il cranio d’incognite che agli altri appariranno farneticanti idiozie, rinsecchisce a vista d’occhio e monologa col suo fantasma allo specchio. S’illude di “raddrizzarsi” in quella rituale pratica quotidiana in cui fa i piegamenti nel suo ment(i)re di (ri)flessioni per altra sospensione a tutto. Non è un culturista e non lo fa per apparir bello, i suoi esercizi ginnici assomigliano soltanto a un onanismo senza capo né coda. Tanto che si stremerà, logorato dal non aver scansato la sua “erronea” natura, una natura primordiale da diverso, da silente osservatore, da taciturno saggio, da “spione” delle vite altrui perché della totalità del vivere è scontento, sconcertato, incarna la tetraggine della bellezza nel suo scheletrico sterno. Uno sterno a imbuto, voragine di ogni peccato(re). Della società nelle sue iridi (non) vedenti, da veggente, quasi un vampiro profetico. Un prefiguratore dell’orrore… una maschera di sangue e lacrime capitata per maledetta sciagura nel caos d’un mondo già distrutt(iv)o.

Questo è Taxi Driver. L’apice dell’aver visto cos’è la condizione umana. Che (vi) piaccia o meno.

 
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