No tweets to display


Joaquin Phoenix sarà il Joker per la regia di Todd Phillips

joaquin-phoenix-sara-il-joker-copertina

Ebbene, stando a Variety, che ha riportato la notizia in esclusiva, il pluri-candidato agli Oscar Joaquin Phoenix, attore amatissimo dai grandi autori, sarebbe agli accordi finali per interpretare il Joker nel nuovo, attesissimo standalone dedicato unicamente al suo personaggio per la regia di Todd Phillips, artefice della trilogia Una notte da leoni, in una pellicola che, come precedentemente annunciato, sarà prodotta dall’esimio Martin Scorsese. Non c’è ancora niente di ufficiale ma pare che la Warner e la DC siano vicinissime per strappare il sì di Phoenix e prestissimo potremmo avere l’ufficialità. Inizialmente, Leonardo DiCaprio era stato considerato per la parte ma il bel Leo fin da subito si è detto non interessato al progetto. Al che la “palla” è passata a Phoenix, a cui ora spetta la decisione ultima. Non è la prima volta, peraltro, che a Phoenix è stato offerto un ruolo importante in un cinecomic. Nel 2010 infatti fu preso in seria considerazione per interpretare Hulk negli Avengers, quindi si pensò a lui per la parte di Doctor Strange, infine gli fu stato proposto d’incarnare Lex Luthor nel Batman v Supermandi Zack Snyder ma, in tutti e tre i casi, Phoenix aveva gentilmente detto no. Adesso invece sembra che sia d’accordo ed entusiasta di quello che, sulla carta, dovrebbe assomigliare a un crimethriller dalle atmosfere cupe che, per ambientazioni e visionario realismo, attingerà persino a Taxi Driver, l’immortale capolavoro di Scorsese, per l’appunto, Palma d’oro a Cannes.

È un periodo particolarmente felice per Phoenix. Pochi giorni fa è stata presentata al Sundance una delle sue ultime pellicole interpretate, il ben accolto Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot di Gus Van Sant, e prossimamente lo vedremo anche in Maria Maddalena, ove sarà addirittura Gesù Cristo, in You Were Never Really Here e in Sister Brothers.

Che dire? Chapeau!

di Stefano Falotico

 

Good Time, recensione

La prova di maturità di un eccellente Robert Pattinson in un thriller magnificamente avvincente

MV5BNGQ3Y2VjNmUtMDdiMC00YTE1LWI5NmUtZDIzMTJmODQyNDU4XkEyXkFqcGdeQXVyNTAzMTY4MDA@._V1_SY1000_CR0,0,675,1000_AL_

Ebbene, allo scorso Festival di Cannes, in Concorso è passato questo film… alla sua presentazione non riscosse, detta sinceramente, molti consensi e infatti fu snobbato e trascurato dai premi. È invece il classico, esemplare sleeper, uno di quei film che col tempo, e nel giro di pochi mesi, è salito vertiginosamente in auge presso i cinefili più esigenti e attenti, conquistandosi in un’immediatezza folgorante lo status di cult. Un’imperterrita, meritatissima ascesa per un film magnifico, veloce, lisergico, senza un attimo di noia, schietto, poetico, un viaggio immersivo al cardiopalma in una notte incendiaria tutta da gustare e bersi d’un fiato.

Una squallida rapina in banca, ad opera di due fratelli, finisce male. Uno è il personaggio di Pattinson, uno sbandato senz’arte né parte, che si “arrangia” con questi pericolosi espedienti, l’altro è un ragazzo con disturbi mentali. Ed è quest’ultimo a farsi incastrare dai poliziotti e finire in prigione.

Così, il fratello “sano”, disperatamente, in un crescendo di tensione palpitante e suspense geometrica, cercherà di escogitarle tutte per salvarlo, in una corsa contro il tempo di un’allucinante, tambureggiante odissea notturna, tra fughe rocambolesche, ospedali spettrali, clacson e sirene della polizia, sguinzagliando il suo ardore persino in un parco divertimenti “psichedelico” negli antri bui degl’imprevisti più assurdamente grotteschi, inaspettati, spiazzanti e dai risvolti incredibili.

Ecco allora che le musiche di una colonna sonora impazzita scandiscono l’escalation di questo gioiello cinematografico caratterizzato dalla stramberia, incastonato nel magrissimo volto apparentemente innocente di un Pattinson che calza a meraviglia, che per tutto il film ostenta una paradossale sicumera che non fa mai trasparire attimi di titubanza o turbamento, una sfinge impassibile di trepidazioni e spasmi “cardiaci impossibili” e contradditorie emotività scolpite nella fragilità della smunta nervatura della sua umana, commovente fragilità. Due solitudini consanguinee, la sua e quella del fratello ritardato, inseparabilmente in osmotica empatia. Nessuno dei due può fare a meno dell’altro e la pellicola, per certi aspetti, assomiglia a una tragica, delicata storia d’amore fra due figli di nessuno, in un mondo pervaso dal degrado urbano, assillato da tutori sociali, da psichiatri dai modi gentili e perfidamente invece mostruosi nel lapidare, infrangere le purezze, nel plastificarle e volerle rinchiudere in claustrofobiche dimensioni costrittive e violentissimamente subdole. Assassini delle coscienze mascherati da “medicatori” in una società allo sbando, allo sbaraglio, pronta a punire gli imperdonabili sbagl(iat)i.

La storia di un fuggitivo incosciente, preda della spericolatezza sfrontata e anche arrogante della sua anima in rotta di deragliamento perenne. Un’avventura tutta in una notte, memore di John Landis, con echi scorsesiani alla Fuori orario. Un after hours brutalmente, volutamente, insistentemente grezzo, caleidoscopico, illuminato a sprazzi da luci fluorescenti, che paiono afferrare in modo sincopato e dinamico la fuggevolezza e la frammentarietà eloquente d’istanti confusi, come in un continuo, appassionante videoclip acidamente intriso di temerarietà, inesorabilmente crudele, romanticamente tagliente come una poesia filmica dalle atmosfere voraci e vampiristiche.

Film col botto su due fratelli emarginati, diretto dagli intrepidi, coraggiosi e innovativi brothers Safdie, e proprio il fratello Benny interpreta sorprendentemente la parte del ragazzo ritardato.

Fotografia da paura, “sporca” e granulosa, al contempo nitidamente pulita dell’eccellente Sean Price Williams.

E un Pattinson sempre più bravo e impeccabile.

Siamo dalle parti del capolavoro.

 

di Stefano Falotico

 

Black Mirror, quarta stagione: Black Museum

MV5BNDIxNjE0OTcwNF5BMl5BanBnXkFtZTgwMzkyNzgyNDM@._V1_

Ebbene, eccoci arrivati all’ultimo episodio di questa nostra cavalcata nella pirotecnica quarta stagione di Black Mirror. Spiazzante come sempre, imprevedibile, tortuosamente avvolgente, alle volte irrisolta, complessa, sfaccettata, diversificata, che ci ha offerto un altro panorama ampio sulle nostre ossessioni di uomini “moderni” immersi in una contemporaneità oscuramente sinistra, enigmaticamente spettrale. Perché la tecnologia, forse, ha migliorato le condizioni di vita di ognuno di noi ma ci ha aperto a strade tanto nuove, così sperimentalmente fascinose quanto mellifluamente glaciali. Ci siamo spinti troppo oltre? L’affamatissimo desiderio di onniscienza, le nostre manie di controllo hanno imboccato derive angoscianti, sconfinando in surreali, macabri incubi mostruosi?

Ecco allora che l’antologia stavolta si conclude con questo piacevolissimo, geniale, metaforico, spaventosamente grottesco Black Museum.

Una ragazza di colore solca le strade desertiche di un’America arida, poi si ferma a una stazione di benzina. Poco più distante, ecco una costruzione rustica, quasi western che sembra una tavola calda per camionisti. Invece, è un museo degli orrori. Al suo interno, infatti, ci sono manufatti e oggetti che appartengono a vissuti inquietanti, se non terrificanti, sono i reperti che testimoniano storie del passato inconfessabilmente ripugnanti. Storie però realmente accadute, adesso narrate alla nostra turista-“avventrice”, all’apparenza un po’ ingenua e avventata, da un tracagnotto “oste”, custode di questa sorta di “pinacoteca” ai confini della realtà.

Al che la trama si ramifica e l’episodio diventa una specie di matriosca narrativa, in cui in questo caso ci vengono raccontate più storie, per l’esattezza tre, tre storie interconnesse che fanno da sfondo a quella principale, a quella appunto della ragazza nel museo.

Si parte con la storia di un dottorino a cui viene installata una “protesi”, il quale, in diretta comunicazione sensoriale con persone che indossano un casco di elettrodi che captano le loro percezioni fisiche, entrerà in vivo contatto col dolore. Uno strumento che, dapprincipio, gli tornerà utilissimo per riuscire a diagnosticare i mali di cui sono afflitti i suoi pazienti, permettendogli di arrivare con anticipo a prognosi impensabili rispetto a una normale visita superficiale. Lui coglie le dolenze più imperscrutabili, che sfuggirebbero a chiunque, ne sente gli spasimi, visceralmente cattura le strazianti fitte.

Col tempo però questo strumento di dolore diverrà uno strumento addirittura di piacere. Più il dottore riuscirà a sentire il dolore delle persone accanto a lui, più ne godrà immensamente. E questa perversa fruizione del godimento lo aberrerà moralmente. Prima infierirà su sé stesso, maciullando il suo corpo pur di godere delle sue abominevoli ferite, quindi, in una devianza oltre il punto di non ritorno, si trasformerà in un brutale assassino…

Una storia raggelante, truculenta, orripilante, cinicamente allarmante riguardo i leciti confini verso cui può spingersi la sperimentazione.

La seconda storia… una giovane coppia interraziale vive felicissimamente la propria serena vita di coppia, poi lei viene investita e cade in coma irreversibile. Nessun problema… è stato messo a punto un “programma” in grado di trasferire la sua coscienza nella testa del compagno. Così, potranno sentirsi sempre vicini e comunicare di anime congiunte. Ma arriva l’inghippo, come tutte le invenzioni rivoluzionarie, anche questa ha le sue preoccupanti e tristissime complicazioni… effetti collaterali di una sconvolgente, apparente “armonia”. Eternamente “scimmiottata”, potremmo sarcasticamente, amaramente dire.

Infine, la terza storia, quella di un uomo morto sulla sedia elettrica che, prima di morire, per il “bene” della famiglia, ha donato la sua “anima” dell’aldilà a fini “scientifici”.

E quindi il consueto colpo di scena, che rimette tutto in discussione.

Un episodio esagerato, di un cinismo talmente parossistico da risultare estremamente godibile, talmente “paranormale” nei suoi risvolti che non si può che rimanerne sconcertati e scossi. Tutto è condotto alle estreme conseguenze e non si pretende serietà e verosimiglianza da Black Mirror.

Un degno finale, impudente, freddamente allucinatorio. Al solito cupissimamente profetico.

Quello che possiamo rimproverargli è un eccesso di didascalismo con pedanti spiegazioni esternate allo spettatore per fargli meglio comprendere ciò che era già comprensibile da sé.

di Stefano Falotico

 
credit