No tweets to display


Nonno scatenato (Dirty Grandpa), recensione in anteprima

 

Qui è la fiesta? Si tromba, si drinka, si pompa?

Qui è la fiesta?
Si tromba, si drinka, si pompa?

Ebbene, ho visto in anteprima Nonno scatenato, e posso affermare, dopo averne “squadrato” ogni scena con puntiglio oggettivo e chirurgica “vivisezione” esegetica, che questo film, così “linciato”, massacrato “vivo” dalla Critica statunitense, questo film accusato addirittura di essere un insulto e un’offesa orribile non solo alla Settima Arte ma all’umanità tutta, questo film neanche “solamente” stroncato, bensì coperto dei peggiori appellativi, quali ad esempio, nefasto, abominevole, osceno, imbarazzante, immondo, razzista, “pedofilo” (eh sì, anche questo aggettivo è comparso in varie recensioni targate USA), stupido oltre misura, aberrante e “mostruoso”, a me non è affatto apparso così, né tantomeno “scandaloso” oppure inguardabile. Sì, Pete Hammond di “Deadline” l’ha lapidariamente liquidato con un netto “è il peggior film della carriera di De Niro (e probabilmente di chiunque altro attore, oltre ai partecipanti, fra cui il co-protagonista Zac Efron, ne fosse stato coinvolto)”. Un utente Twitter invece lo definisce semplicemente disgustoso ed è rimasto scioccato che la pellicola, pur essendosi presa un R Rated, sia passata al vaglio della censura, superando la “prova” di poter essere diffusa appunto nelle sale cinematografiche di tutto il mondo.

Il pubblico, va detto, s’è invece parzialmente schierato a favore del film. Pur non entusiasmandosi più di tanto, l’ha trovato esilarante (hilarious), godibile e un passatempo per nulla fastidioso o impresentabile, così come anche rimarcato dal prestigioso sito di reviews Awardscircuit, che l’ha ritenuto, certamente non fine art, ma un guilty pleasure a cui va ammessa la sua “sana virtù” di essere solo quello che voleva essere, un innocuo, anche se un po’ “sporcaccione” divertissement demenziale in stile Porky’s.

Critici ancora più cattivi hanno invece ancora e inoltre, in massa, così avviliti dallo spettacolo “terribile” che hanno visto, allestito quasi dei memoriali funebri sulla carriera definita oramai finita, “defunta” e appunto inzozzata da questa macchia indelebile e gravissima di De Niro. Marchiando a chiare lettere che la sua legacy, la sua reputazione insomma da attore due volte Premio Oscar e leggenda vivente, è stata, con quest’ennesima pagliacciata, definitivamente e irreversibilmente distrutta.

Tutto ciò mi è sembrato, ripeto, dopo aver visto il film anch’io, un’esagerazione, questa sì, triste e moralisticamente (s)corretta. Un’altra prova evidente che “scherzacci” di film come questi, nell’era del buonismo mieloso e del “volemose bene” a tutti i costi, non vanno più giù ai puritani della Nazione a stelle e strisce.

Ora, arriviamo al punto. Esordio alla regia di Dan Mazer, sceneggiatore di molti film-“fenomeno” con Sacha Baron Cohen, fra cui Borat e la sua “creatura” Ali G, il film segue le “sporche” vicissitudini di un anziano vedovo, Dick Kelly (De Niro), il quale, appena rimasto vedovo, dopo il funerale riesce, a forza di “spinte” e pressioni, a convincere suo nipote (Efron) a seguirlo in un ultimo suo sogno, “fare sesso selvaggio” a Daytona Beach con una ragazza del college incontrata fortuitamente per caso. Tutto è incentrato sulla folle idea del nonno (si realizzerà?), e per due ore vediamo i due scatenarsi in balletti, in karaoke, in esibizioni mache e muscolose a torso nudo (già anche i vecchietti possono fare i “Tarzan”), in risse clandestine e in duetti dolceamari in cui impareranno, dopo tanti anni in cui non si sono mai davvero conosciuti, a confrontarsi e a “imparare” qualcosa l’uno dall’altro.

Ora, il film mi è, l’ammetto con spudorata onestà, parzialmente piaciuto ma, certo, non entusiasmato, ma posso dire sinceramente che non v’ho trovato nulla di così “offensivo” in questo De Niro “turbolento”, con gli ormoni arzilli e su di giri, che si “masturba”, che mostra il “pene”, e che alla fine, ma non rivelo altro, forse riesce a togliersi la sua “voglia matta”.

Certamente, è un film abbastanza pecoreccio e dall’umorismo di grana grossa ma non è “spinto” per niente, o molto meno di quello che dagli Stati Uniti volevano farci credere, tanto che son riusciti a indurre la Eagle Pictures, che distribuirà la pellicola il prossimo 16 Aprile, a cambiare il titolo tradotto che inizialmente era stato scelto per l’Italia: da Nonno zozzone, titolo “filologico”, siam arrivati al più scontato, generico e meno “infastidente” Nonno scatenato.

Scatenato che ha una doppia valenza in questo caso. Scatenato in quanto letteralmente incontenibile e poi perché il protagonista è De Niro, appunto, il “fu” Premio Oscar per Raging Bull.

Ho detto la mia.

 

di Stefano Falotico

 

The Hateful Eight e il suo Onofri che recensisce

12654665_10208857126491208_4842682067767283020_n

Rispettando le diciture, invece no, perché correggo tutto in Garamond, apponendo i grassetti e i corsiv(ett)i ove (oc)corrono, la perentoria, ribadente la parola CAPOLAVORO, dell’opus 8 di Tarantino, a cura dell’inestimabile Onofri. Da condividere, da (Non) Mi piace o semplicemente da (e)eleggere.

Questa è mia breve prefazione, dialogante alla Quentin con la mia “sconcertante” mente… e si fanno riferimenti a colonne sonore da concerti e (in)certezze.

 

THE HATEFUL EIGHT, di Quentin Tarantino. Come un musicista dell’800 ossessionato dall’idea del corpus delle Sinfonie di Beethoven e di non riuscire ad arrivare alla numero Nove, anche Quentin Tarantino comincia a contare i suoi film. In questo suo ottavo – che per restare nella terminologia musicale si potrebbe definire una “Sinfonia Macabra”, un Western in forma di Chamber Opera con tanto di “Overture” e “Intermission” musicali per permettere al pubblico di accomodarsi e riaccomodarsi in sala, suddivisa in sei movimenti legati da un crescendo drammatico simile a una colata lavica che lenta e implacabile “come melassa” tracima e incenerisce tutto quello che tocca – si è divertito a giocare cabalisticamente con il numero 8 già a partire dal titolo: I Detestabili Otto (in contrapposizione a I Magnifici Sette?). Ancora un Western dunque, ma distante anni luce dall’energizzante rielaborazione in chiave Kitsch/Rap del precedente Django Unchained. Il rimando non è neppure ai Western “autunnali” degli anni 70, quando autori come Peckinpah (omaggiato però con abbondanti e volontariamente caricaturali slow motion), Penn, Polanski, per dirne solo tre che iniziano per P, riesumarono con successo un genere agonizzante prima che morisse del tutto salvo rare eccezioni anche recenti (come l’inane El Grinta dei fratelli Coen). THE HATEFUL EIGHT è invece un autentico Western “invernale”, immerso in una cupa e persistente bufera di neve, concretamente restituita in tutta la sua orrorifica inquietudine da quella profondità di campo che le nuove tecniche digitali di ripresa ci avevano fatto dimenticare sul grande schermo: girato in pellicola e in ultra Panavision, chi avrà la possibilità di vederlo proiettato in 70 millimetri può scordarsi il lucore e l’alta definizione dei più recenti blockbuster, e se avrà qualche annetto in più rispetto al pubblico dei nativi digitali, invece che restarne “deluso”, come già si sente dire e si legge in giro o qui in rete, ripercorrerà proustianamente avventurosi percorsi di sguardo dentro la densa pastosità e il vibrante calore naturale dell’ormai desueta celluloide. È questa una delle essenziali cifre riconoscibili di un film che secondo le precise intenzioni di uno degli autori più colti del Cinema contemporaneo possiede connotati estetici tali da farlo assomigliare anche “fisicamente” a un reperto cinematografico d’antan uscito in questo 2016 in “versione restaurata”, sorprendentemente anticipatore, ma testimonianza di una stagione lontana della narrativa popolare svincolata dalle attuali esigenze di spettacolo per un pubblico sempre meno disponibile all’attenzione: dunque, con il passo classico dell’ormai perduto gusto di iniziare a raccontare una storia con un ponderato e solenne “C’era una volta”, che per accumulo si gonfia via via secondo i codici di percezione della Golden Age del Cinema dello scorso secolo. Tarantino autore colto, dicevo: sì, perché secondo un malinteso inspiegabile, ma alimentato forse dallo stesso regista che, da quel grande comunicatore che è, sa bene come attrarre su di sé l’attenzione di una stampa frivola e allocca ma distribuita capillarmente in tutto il pianeta, la cultura personale del buon Quentin non andrebbe molto oltre la pur abbondante produzione di Serie B americana e italiana, fermandosi a Edwige Fenech e a Lucio Fulci. Come se non avesse invece dimostrato, per esempio in Bastardi senza gloria (dove Carmen uccide Tristano poco prima dell’Olocausto di Brunhilde) di conoscere Wagner e Nietzsche, e di aver letto magari la “Storia naturale della distruzione” di W. G. Sebald. Non accorgersi della straordinaria capacità di mescolare alta e bassa cultura, e dell’originalissima potenza di narratore tutt’altro che affetto da quel citazionismo congenito che gli viene continuamente, e del tutto a vanvera, rimproverato dai “cinefagi” più superficiali, è uno degli errori più frequenti e gravi di una critica con la vista così corta da non riconoscere nel suo Cinema quello che ne costituisce invece la peculiarità essenziale: il superare per qualità e spessore qualunque eventuale modello di partenza e riuscire a non assomigliare al Cinema di nessun altro autore tra i vivi e tra i defunti, ma soprattutto spiazzare il pubblico, anche quello dei presunti aficionados, quelli cioè che da un loro idolo si aspettano sempre lo stesso film, con opere sempre nuove, imprevedibili, inclassificabili, come si conviene al vero genio che insegue la sua personale idea dell’Arte senza dover rendere conto a nessuno. Scegliere di adottare il formato Ultra Panavision per poi chiudersi a filmare il buon 80 per cento dell’intero film all’interno di una spelonca sperduta tra le nevi del Wyoming, è indicativo dell’istintiva e animalesca “onnivoracità” cinematografica di Tarantino, che in parecchi hanno scambiato per teatralità, senza accorgersi di quanto Cinema possa pulsare fra quattro pareti senza ricorrere all’azione spericolata o a una virtuosistica mobilità della cinepresa troppo spesso manierata e comunque non necessaria: basti considerare il gioco dei cambi di fuoco nella sequenza della canzone accompagnata alla chitarra, suggestiva di una tensione narrativa di rara efficacia pur nella sobria semplicità della sua messa in scena. THE HATEFUL EIGHT contiene anzi una delle “mise-en-scène” più complesse e intricate dell’intera produzione tarantiniana, che nata sempre da un’unica mente creatrice vive di una ininterrottamente felice sincronicità di sguardi e parole, punteggiatura e stacchi di montaggio, sintassi del dialogo e scelta dell’inquadratura, una rete, insomma, che fin dal magnifico, lentissimo movimento di macchina all’indietro dell’incipit – perentoria e ipnotica dichiarazione di intenti e di stile – cattura chi se ne lascia più che volentieri invischiare con la riverenza e l’amore di chi, come me, si inchina prima di tutto alla supremazia dell’autore, forse per via di una personale esperienza di frequentatore del teatro di Ronconi, Lepage, Mnouchkine, Dodin, del melodramma wagneriano, ma pure del cinema contemporaneo di Lav Diaz, Tsai Ming Liang, Wang Bing o Bela Tarr, con il cui “Cavallo di Torino” THE HATEFUL EIGHT ha paradossalmente in comune più di quanto si possa credere. Questo film non è “solo” il consueto gioco delle scatole cinesi: basterebbe vederlo una seconda volta per godersi il “vero” gioco che si nasconde dietro tanta monumentale abilità nel racconto e nell’efficace illustrazione degli aventi, un gioco ahimè spacciato per facile e di cui in troppi si credono esperti, ma evidentemente riservato a pochi selezionati “solutori più che abili”, che è il grande e meraviglioso gioco DEL CINEMA. Stavolta più crudele, disincantato del solito, e imbevuto di un nero e grottesco pessimismo anti-americano, motivo per il quale l’Academy ha deciso di escludere dalla corsa agli Oscar (salvo le candidature alla fotografia di Robert Richardson, alla colonna musicale di Ennio Morricone, e alla stupefacente prestazione attoriale di Jennifer Jason Leigh) quello che probabilmente resterà il film più bello e più importante di quest’anno.

 

Jaume Collet-Serra Reunites With Liam Neeson On Studiocanal’s ‘The Commuter’

Ma non dovevamo vederci (di) più?

unknown

Questo du(ett)o non-stop, quasi unknown perché varia sempre generi e genio cinematografico, questa bellissima accoppiata per film adrenalinici intelligenti, dove vi è sempre una notte per sopravvivere, qualche grosso guaio da risolvere, mi eccita, mi attizza, questo Neeson duro che ai cattivi fa venir la strizza, questo Neeson che io guardo e dunque gioia macha mi si rizza, sprizza, questo Cinema spericolato, incasinato, di sparatorie, inseguimenti mozzafiato girati con stile, questo nuovo modo azzeccato di girar action, tutto ciò sarà The Commuter.

La storia di un uomo anonimo della classe media, forse un medioman che, senza saperne le ragioni assurde, (il)logiche, vien invischiato di colpi, e poi verranno tanti di pistola colpi, in una cospirazione che ha legami arcani con qualcosa che forse il nostro ero(e) cela, nasconde nella sua anima di pietra, di creta, questo colosso di argilla di grandissimo Neeson, sempre più alto, sempre più per i cazzi suoi.

di Stefano Falotico

Fonte: Deadline

EXCLUSIVE: Jaume Collet-Serra has boarded The Commuter, committing to make the thriller his next directorial outing, with production to start this summer. He reunites with Liam Neeson, with whom he teamed on the global hits Non-Stop and Unknown. The film also brings Serra back with Studiocanal and The Picture Company’s Andrew Rona and Alex Heineman, who are producing this and also made the other two films. Studiocanal was very aggressive in bringing the director back into the fold and keeping the tandem together. Serra will also be executive producer along with his Ombra Films partner Juan Sola. Didier Lupfer, Ron Halpern and Shana Eddy will oversee for Studiocanal.

In the Byron Willinger and Phil de Blasi-scripted The Commuter, Neeson plays a businessman on his daily commute home, who unwittingly gets caught up in a criminal conspiracy. It threatens not only his life but the lives of those around him. Lionsgate is releasing the film domestically. Serra is currently in post on In The Shallows, a thriller for Sony. Serra is repped by CAA, Mangement 360 and attorney Gretchen Rush.

 

BROOKLYN – recensione egregia ed esimia di Anton Giulio Onofri, detto Ago, non Argo

Brooklyn locandina

BROOKLYN, di John Crowley. Accidenti a sta (senz’apostrofo) cosa che oggi i film si possono scaricare e guardarli sul computer a casa o dove si vuole. Ora sono qui in treno (rigorosamente Trenitalia dopo il suicidio di Italo) in preda a incontenibili singhiozzi peggio di una liceale degli anni 40, devastato da questo film che pur lontano anni luce dall’essere grande Cinema (lo dico per sedare gli amichetti cinici che giuggiolano con Malick e su sta roba ci sputano perché ancora non hanno vissuto un solo minuto di VITA VERA, e probabilmente non la vivranno mai neanche da uomini fatti se non decideranno di smettere di mascherarsi dietro intellettualismi arroganti e antipatici e aprire il rubinetto dei sentimenti: e poi magari riuscire finalmente a provarne una reale, di felicità in amore, e comprendere quanto la vita sia orrenda NON perché lei o lui non ti riamano, ma perché COMUNQUE siamo burattini illusi di essere i nostri burattinai…), pur lontano, dicevo, dall’essere grande Cinema, scorre su un’emotività talmente scoperta che solo i cuori di pietra potranno resistergli. La confezione è senz’altro quella di un film ‘for ladies’, con un paio di slow motion in eccesso nei primi venti minuti, ma via via che la nobile radice letteraria prende il sopravvento (il romanzo del grande Colm Tóibín è stato sceneggiato per lo schermo da Sua Altezza Nick Hornby) si cade più che volentieri nella rete di questo period piece capace di intortarti con quella che alcuni (vedi sopra) scambieranno per melassa e che invece è un cosmico e luminoso senso di Pietas per le umane vicende, evidenziato dall’ambientazione in un’era come il secondo dopoguerra, quando sembrava che la giovane generazione di un’umanità di nuovo bambina provasse certe emozioni per la prima volta, mentre leggeva ancora negli occhi stanchi e segnati dal lutto dei genitori la rimozione forzata della paura e del terrore di qualche anno addietro. L’Europa “old fashioned” della brughiera irlandese contrapposta al sogno di una possibile felicità nel Nuovo Continente inducono a riflettere sul nostro infausto presente, dove per colpa di una malintesa democrazia ubriaca di benessere tutto è andato a rotoli, e non esiste più in nessun posto del nostro pianeta la possibilità che quel sogno si avveri. Perciò è bello – e fa bene al cuore – un film così, in grado di farti spudoratamente innamorare di tutti i suoi protagonisti, e di bagnarti le guance di lacrime come da un po’ non succedeva in questa misura.

 

Una recensione corretta e redatta dal Faloticus.

 

Revenant – Redivivo, grande recensione del grandissimo Anton Giulio Onofri

Anton Giulio Onofri, secondo me, in fatto di Cinema, dunque anche di recensioni, non sbaglia un colpo e, secondo lui, questo film, che sarà pluri-premiato agli Oscar, di colpi ne sbaglia troppi, anzi, è proprio (quasi) tutto sbagliato.

revenant

Anton Giulio Onofri

2 gennaio alle ore 2:49

THE REVENANT, di Alejandro González Iñárritu. Ma porca miseria. Volevo iniziare l’anno con un bel film, e invece sono incappato nel peggiore Inarritu della sua intera filmografia, già pesantemente compromessa da Birdman. Eh sì, perché per fare un buon film (naturalmente i pischelli di fb già squittiscono al capolavoro da giorni) non basta un padreterno che te lo fotografa e un musicista coi contro-coglioni che te lo bagna in una vasca di sospensione onirica inedita per il Wild West. No, ci vuole ben altro che Lubezki e Sakamoto (il quale prende in prestito addirittura il Quatuor pour la fin du temps di Messiaen) per respirare una corretta epica western senza sdilinquirsi in animismi fastidiosamente malickiani e soprattutto inanellare una serie di assurdità da cartone animato di Wil(ly) Coyote, comprese certe “imbranatezze” del protagonista, tanto fico quando si tratta di combattere corpo a corpo con un orso (L’UNICA scena veramente eccellente dell’intero, lunghissimo film), cibarsi di pesce e di bisonte crudi, accendere un fuoco con l’immancabile pietra focaia, sopravvivere alle rapide di prammatica, dormire nudo nella calda pancia di un cavallo sventrato per ripararsi dal gelo, per poi comportarsi in maniera del tutto inadeguata nel finale al solo scopo di offrire alla storia un pretesto per allungare il brodo con una coda inutile e ai minimi termini per invenzione, regia, ritmo e senso generale… Ma quello che nel 2015, anzi ormai nel 2016, DAVVERO non vorrei mai più vedere sugli schermi è il protagonista CHE GUARDA IN MACCHINA NELL’ULTIMA INQUADRATURA DEL FILM! Inaccettabile. Irritante. E poi finto, finto, finto, tutto quanto, dal vento che tira, dalla neve che cade (una delle valanghe più MISERE della storia del Cinema!), dagli alberi che si agitano come prefiche iettatrici… Ma a chi serve ancora un Cinema così vuotamente espressionista e manierato? Forse a chi è cresciuto educandosi da sé all’estetica dei videogiochi e delle fiction televisive (quelle che “ormai sono più belle dei film”), e non certo a chi si è fatto la gavetta con la grande avventura firmata Hawks, Nick Ray, Anthony Mann, Arthur Penn, Sam Peckinpah… Mi fermo qui perché ne ho già parlato fin troppo, per quel che merita, e so che rischio di suonare antipatico… Bocciato!

 

The Full List of Nominations for the 88th Academy Awards

Screen-Shot-2016-01-12-at-9.19.58-AM1

BEST MOTION PICTURE OF THE YEAR

“The Big Short” Brad Pitt, Dede Gardner and Jeremy Kleiner, Producers
“Bridge of Spies” Steven Spielberg, Marc Platt and Kristie Macosko Krieger, Producers
“Brooklyn” Finola Dwyer and Amanda Posey, Producers
“Mad Max: Fury Road” Doug Mitchell and George Miller, Producers
“The Martian” Simon Kinberg, Ridley Scott, Michael Schaefer and Mark Huffam, Producers
“The Revenant” Arnon Milchan, Steve Golin, Alejandro G. Iñárritu, Mary Parent and Keith Redmon, Producers
“Room” Ed Guiney, Producer
“Spotlight” Michael Sugar, Steve Golin, Nicole Rocklin and Blye Pagon Faust, Producers

ACHIEVEMENT IN DIRECTING

“The Big Short” Adam McKay
“Mad Max: Fury Road” George Miller
“The Revenant” Alejandro G. Iñárritu
“Room” Lenny Abrahamson
“Spotlight” Tom McCarthy

PERFORMANCE BY AN ACTOR IN A LEADING ROLE

Bryan Cranston in “Trumbo”
Matt Damon in “The Martian”
Leonardo DiCaprio in “The Revenant”
Michael Fassbender in “Steve Jobs”
Eddie Redmayne in “The Danish Girl”

PERFORMANCE BY AN ACTRESS IN A LEADING ROLE

Cate Blanchett in “Carol”
Brie Larson in “Room”
Jennifer Lawrence in “Joy”
Charlotte Rampling in “45 Years”
Saoirse Ronan in “Brooklyn”

PERFORMANCE BY AN ACTOR IN A SUPPORTING ROLE

Christian Bale in “The Big Short”
Tom Hardy in “The Revenant”
Mark Ruffalo in “Spotlight”
Mark Rylance in “Bridge of Spies”
Sylvester Stallone in “Creed”

PERFORMANCE BY AN ACTRESS IN A SUPPORTING ROLE

Jennifer Jason Leigh in “The Hateful Eight”
Rooney Mara in “Carol”
Rachel McAdams in “Spotlight”
Alicia Vikander in “The Danish Girl”
Kate Winslet in “Steve Jobs”

ADAPTED SCREENPLAY

“The Big Short” Screenplay by Charles Randolph and Adam McKay
“Brooklyn” Screenplay by Nick Hornby
“Carol” Screenplay by Phyllis Nagy
“The Martian” Screenplay by Drew Goddard
“Room” Screenplay by Emma Donoghue

ORIGINAL SCREENPLAY

“Bridge of Spies” Written by Matt Charman and Ethan Coen & Joel Coen
“Ex Machina” Written by Alex Garland
“Inside Out” Screenplay by Pete Docter, Meg LeFauve, Josh Cooley; Original story by Pete Docter, Ronnie del Carmen
“Spotlight” Written by Josh Singer & Tom McCarthy
“Straight Outta Compton” Screenplay by Jonathan Herman and Andrea Berloff; Story by S. Leigh Savidge & Alan Wenkus and Andrea Berloff

BEST FOREIGN LANGUAGE FILM OF THE YEAR

“Embrace of the Serpent” Colombia
“Mustang” France
“Son of Saul” Hungary
“Theeb” Jordan
“A War” Denmark

BEST ANIMATED FEATURE FILM OF THE YEAR

“Anomalisa” Charlie Kaufman, Duke Johnson and Rosa Tran
“Boy and the World” Alê Abreu
“Inside Out” Pete Docter and Jonas Rivera
“Shaun the Sheep Movie” Mark Burton and Richard Starzak
“When Marnie Was There” Hiromasa Yonebayashi and Yoshiaki Nishimura

ACHIEVEMENT IN PRODUCTION DESIGN

“Bridge of Spies” Production Design: Adam Stockhausen; Set Decoration: Rena DeAngelo and Bernhard Henrich
“The Danish Girl” Production Design: Eve Stewart; Set Decoration: Michael Standish
“Mad Max: Fury Road” Production Design: Colin Gibson; Set Decoration: Lisa Thompson
“The Martian” Production Design: Arthur Max; Set Decoration: Celia Bobak
“The Revenant” Production Design: Jack Fisk; Set Decoration: Hamish Purdy

ACHIEVEMENT IN CINEMATOGRAPHY

“Carol” Ed Lachman
“The Hateful Eight” Robert Richardson
“Mad Max: Fury Road” John Seale
“The Revenant” Emmanuel Lubezki
“Sicario” Roger Deakins

ACHIEVEMENT IN COSTUME DESIGN

“Carol” Sandy Powell
“Cinderella” Sandy Powell
“The Danish Girl” Paco Delgado
“Mad Max: Fury Road” Jenny Beavan
“The Revenant” Jacqueline West

ACHIEVEMENT IN FILM EDITING

“The Big Short” Hank Corwin
“Mad Max: Fury Road” Margaret Sixel
“The Revenant” Stephen Mirrione
“Spotlight” Tom McArdle
“Star Wars: The Force Awakens” Maryann Brandon and Mary Jo Markey

BEST DOCUMENTARY FEATURE

“Amy” Asif Kapadia and James Gay-Rees
“Cartel Land” Matthew Heineman and Tom Yellin
“The Look of Silence” Joshua Oppenheimer and Signe Byrge Sørensen
“What Happened, Miss Simone?” Liz Garbus, Amy Hobby and Justin Wilkes
“Winter on Fire: Ukraine’s Fight for Freedom” Evgeny Afineevsky and Den Tolmor

ACHIEVEMENT IN MAKEUP AND HAIRSTYLING

“Mad Max: Fury Road” Lesley Vanderwalt, Elka Wardega and Damian Martin
“The 100-Year-Old Man Who Climbed out the Window and Disappeared” Love Larson and Eva von Bahr
“The Revenant” Siân Grigg, Duncan Jarman and Robert Pandini

ACHIEVEMENT IN MUSIC WRITTEN FOR MOTION PICTURES (ORIGINAL SCORE)

“Bridge of Spies” Thomas Newman
“Carol” Carter Burwell
“The Hateful Eight” Ennio Morricone
“Sicario” Jóhann Jóhannsson
“Star Wars: The Force Awakens” John Williams

ACHIEVEMENT IN MUSIC WRITTEN FOR MOTION PICTURES (ORIGINAL SONG)

“Earned It” from “Fifty Shades of Grey”
Music and Lyric by Abel Tesfaye, Ahmad Balshe, Jason Daheala Quenneville and Stephan Moccio
“Manta Ray” from “Racing Extinction”
Music by J. Ralph and Lyric by Antony Hegarty
“Simple Song #3” from “Youth”
Music and Lyric by David Lang
“Til It Happens To You” from “The Hunting Ground”
Music and Lyric by Diane Warren and Lady Gaga
“Writing’s On The Wall” from “Spectre”
Music and Lyric by Jimmy Napes and Sam Smith

ACHIEVEMENT IN SOUND MIXING

“Bridge of Spies” Andy Nelson, Gary Rydstrom and Drew Kunin
“Mad Max: Fury Road” Chris Jenkins, Gregg Rudloff and Ben Osmo
“The Martian” Paul Massey, Mark Taylor and Mac Ruth
“The Revenant” Jon Taylor, Frank A. Montaño, Randy Thom and Chris Duesterdiek
“Star Wars: The Force Awakens” Andy Nelson, Christopher Scarabosio and Stuart Wilson

ACHIEVEMENT IN SOUND EDITING

“Mad Max: Fury Road” Mark Mangini and David White
“The Martian” Oliver Tarney
“The Revenant” Martin Hernandez and Lon Bender
“Sicario” Alan Robert Murray
“Star Wars: The Force Awakens” Matthew Wood and David Acord

ACHIEVEMENT IN VISUAL EFFECTS

“Ex Machina” Andrew Whitehurst, Paul Norris, Mark Ardington and Sara Bennett
“Mad Max: Fury Road” Andrew Jackson, Tom Wood, Dan Oliver and Andy Williams
“The Martian” Richard Stammers, Anders Langlands, Chris Lawrence and Steven Warner
“The Revenant” Rich McBride, Matthew Shumway, Jason Smith and Cameron Waldbauer
“Star Wars: The Force Awakens” Roger Guyett, Patrick Tubach, Neal Scanlan and Chris Corbould

BEST DOCUMENTARY SHORT SUBJECT

“Body Team 12” David Darg and Bryn Mooser
“Chau, beyond the Lines” Courtney Marsh and Jerry Franck
“Claude Lanzmann: Spectres of the Shoah” Adam Benzine
“A Girl in the River: The Price of Forgiveness” Sharmeen Obaid-Chinoy
“Last Day of Freedom” Dee Hibbert-Jones and Nomi Talisman

BEST LIVE ACTION SHORT FILM

“Ave Maria” Basil Khalil and Eric Dupont
“Day One” Henry Hughes
“Everything Will Be Okay (Alles Wird Gut)” Patrick Vollrath
“Shok” Jamie Donoughue
“Stutterer” Benjamin Cleary and Serena Armitage

BEST ANIMATED SHORT FILM

“Bear Story” Gabriel Osorio and Pato Escala
“Prologue” Richard Williams and Imogen Sutton
“Sanjay’s Super Team” Sanjay Patel and Nicole Grindle
“We Can’t Live without Cosmos” Konstantin Bronzit
“World of Tomorrow” Don Hertzfeldt
E allora, contestazione ed esclusi a parte, grande JOY.

1426448_1694545560763726_6761622728900133238_n 12523927_1694488777436071_1565562249628746501_n

 

MONEY MONSTER – Official Trailer (ft. George Clooney & Julia Roberts)

moneymonster

Synopsis:
In the taut and tense thriller Money Monster, Lee Gates (George Clooney) is a bombastic TV personality whose popular financial network show has made him the money wiz of Wall Street. But after he hawks a high tech stock that mysteriously crashes, an irate investor (Jack O’Connell) takes Gates, his crew, and his ace producer Patty Fenn (Julia Roberts) hostage live on air. Unfolding in real time, Gates and Fenn must find a way to keep themselves alive while simultaneously uncovering the truth behind a tangle of big money lies.

Cast:
George Clooney
Julia Roberts
Jack O’Connell
Dominic West
Giancarlo Esposito
Caitronia Balfe

Directed by Jodie Foster

 

 
credit