È stata la mano di dio – The Hand of God, il trailer: Paolo Sorrentino è un genio, un cretino, ha firmato un nuovo capolavoro di Grande Bellezza? I
A me piace Paolo. Mi piace la sua napoletanità, sebbene debba ammettere che a me i partenopei non piacciano particolarmente. Odio infatti ogni forma di cannibalismo, no, di campanilismo melodrammatico e i nazionalismi esasperati di gente italiana tutta che, paradossalmente, non sapendo uscire dai propri mentali confini, nella più triste esterofilia modaiola si trincera, confinata com’è nella propria mentalità retriva, retorica, campagnola e meschina, sbandierando ai quattro venti la great beauty soltanto d’una finta e artefatta grandeur retorica del Cinema a stelle e strisce più inutile.
Sono stanco dei miti imposti e dei cosiddetti mostri sacri intoccabili. Però mi piaceva da matti Maradona come calciatore ma l’odiai a morte quando a Napoli, al vecchio stadio San Paolo, oggi ribattezzato col suo nome, in onore della sua morte e del suo immortale mito calcistico da indimenticabile campione, su uscita a vuoto di Walter Zenga, nella semifinale di Coppa del Mondo d’Italia 90, il suo amico (credo anche di Coca…, forse quella di Vasco Rossi, forse no, io no, io no, io non ti dimenticherò, ah ah) Claudio Caniggia pareggiò i conti dopo il goal storico di Totò. No, non il napoletano principe della risata per antonomasia, ovvero Antonio de Curtis, bensì Schillaci. Erano altri tempi, ragazzi, quando si potevano mangiare anche le fragole… quando, ben prima della vittoria di Roberto Mancini ai recentissimi Europei, Mancini stesso col suo inseparabile amico Gianluca Vialli, il quale era all’epoca l’amante segreto di Alba Parietti, appena invece separatasi da Franco Oppini, forse sì, forse no, esultava per i trionfi della Sampdoria ma pianse dinanzi alla bomba di Ronald Reagan? No, di Ronald Koeman. Mi piace Sorrentino, malgrado non abbia mai finito di vedere interamente Il divo. Oggi forse sono L’uomo in più oppure l’idolo… delle folle. Fui, credetemi, vi giuro, non sto mentendovi, una grande ala destra ma mi spaccai la testa e persi ogni brocca e palla per molto tempo. Che brocco! Che tristo, così come dicono a Bologna. Che bidone! Ah ah. Ma io sono come Best, sì, l’ex calciatore incorreggibile, altresì impareggiabile e testardo più di un mulo. Ho sempre vissuto al motto di o tutto o niente. A proposito di Maradona, Diego Armando giocò anche nel Barcelona. E il Barcelona di Romario, allenato dal grande Johan Cruyff, fu distrutto dal Milan di Capello & Berlusconi. Cruyff era un genio del giuoco del pallone, così come lo fu Marco Van Basten. Mentre Berlusconi, anche trent’anni fa, non sapeva nemmeno pronunciare, in inglese corretto, la parola Google…
Capito, è stato il premier. Loro… lo votaste voi. Voi sapete. Abbiamo visto. Eh eh.
Nella mia vita, non calcolai mai Le conseguenze dell’amore e, da quando ricominciai ad innamorarmi delle donne, dopo molti giochi balistici in solitaria, in cui dribblai perfino me stesso e la mia coscienza che si salvò però sempre in corner, dopo molte balle raccontate alla gente per non ammettere di essere solamente un onanista e un amante non della Parietti e dei suoi sgabelli, bensì di Holly e Benji, divenni un fuoriclasse impari sempre più bello. Sì, in passato non ero classificabile, ah ah. Perennemente mi auto-ubicai fuori da ogni categoria a causa della mia impertinenza immoderata, della mia ingovernabile attitudine ai colpi di testa non però da bomber supercannoniere e da centravanti alto di statura, miei filibustieri… Giocai anche una vita da mediano alla Luciano Ligabue, in tutti i sensi. Sono sempre stato timido e poi spericolato come Johnny Utah/Keanu Reeves di Point Break. Spesso, ancora oggi, gli uomini boomer come Gary Busey di Un mercoledì da leoni, eh già, sparlano di me, pensando che io sia un coglione come pochi.
E dicono: – Mi hanno affiancato, al lavoro, un centromediano di merda.
Tanti anni fa, con una tizia andai a vedere L’amico di famiglia. Lei era convinta, già prima che lo acclamassi, che questo film mi sarebbe piaciuto alla grande, anzi, lei diceva di brutto. Difficile, comunque, essere più brutti di Geremia De Geremei, cari fratelli miei. Ah ah. A lei piacevo ma non capii perché quando, sullo schermo, io vidi Laura Chiatti, lei capì che Laura più di lei mi piaceva e mi diede un calcio sapete bene dove. Soventemente, sono un pagliaccio come Sean Penn di This Must Be the Place.
È meglio non provocarmi. L’altra sera, per esempio, quattro scugnizzi di Imola, sì, non dei quartieri spagnoli, bensì della piadina, no, pianura emiliano-romagnola, mi presero in giro, scambiandomi per uno che, dalla vita, vuole solo la pummarola! E mi urlarono: fallito, non sai manco dare un calcio a una palla! Ma ce l’hai… o no?
Al che, io risposi con educazione signorile e gentilmente domandai loro discretamente: – Posso unirmi a voi e scendere in campo?
Ho purtroppo, la scorsa sera, rovinato la vita di questi ragazzi. Erano cresciuti nel mito di Maradona, Pelé e Messi. Ho sconvolto ogni loro certezza. La realtà è scadente. Tutti i napoletani sono “pazzi”, tutti i napoletano sono dei geni, dei grandi fantasisti. Molti sono, in realtà, disoccupati.
Di mio, ammetto di essere un peccatore. Commisi falli di mano plateali, l’arbitro non se n’accorse e convalidò la rete. Non credo nella confessione e quindi, per perdonare me stesso, faccio il due a 1 allo stesso modo di Diego contro la povera Inghilterra. Ché non vince mai. Così come quasi tutti i napoletani.
Gente ruspante e verace, di troppa vita così vorace da venire poi inghiottita da delusioni più abissali del loro immenso mare, del loro sterminato cuore e del loro credere ingenuamente che, nel 2021, ai tempi di Instagram e porcate varie/affini, possa esistere ancora la parola amore.
Qualche volta, a proposito di riscendere in campo, ecco che spunta Bud Spencer de Lo chiamavano Bulldozer. E, dinanzi a tutti i cattivi e ai figli di buona mamma, alla domanda: – Non avevi giurato di non giocare più? – risponde…
MA QUESTA NON è una partita, amico.
Infine, all’ennesima provocazione del villain ostinato, cioè questa:
– Tanto non lo segnerete mai quel punto, Bulldozer.
Bud, Carlo Pedersoli, dice e fa qualcosa di epico:
– E allora preparati perché adesso segno.
Sì, sono infantile, a quarant’anni mi piacciono ancora i film con Bud.
E ho lo stesso fisico, la stessa agilità di una lince, cioè di Terence Hill dei tempi d’oro.
D’altronde, Lo chiamavano Trinità. Ah ah.
Chi pensava di avere capito tutto di me, dandomi per spacciato, rivedendomi così, pensa… non è possibile, non è umanamente concepibile.
E io rispondo: è stata la mano di dio.
Dio però non esiste, esisto io. E questa è la mia vita, nessuno più la sporcherà.
Paolo Sorrentino è il più grande regista italiano. Teniamocelo stretto. E, ai prossimi Oscar, ancora tutti uniti come durante la finale degli Europei: vincere e vinceremo!
di Stefano Falotico