Matthew McConaughey, il Paradiso negli occhi

Tanto di cappello!

Tanto di cappello!

McConaughey, un fenomeno vivente. Sembrava sepolto nella “tomba” delle commediole in cui, ironicamente, ammiccava da figo mai arrivato davvero a essere il nuovo Paul Newman, così come lo definirono i soliti “critici” annoiati che adorano tanto “eguagliare” di similarità i tem(p)i attoriali. La somiglianza c’è sempre stata, se non fosse che Matthew non ha mai posseduto l’incandescenza azzurro “smeraldo” di Paul lo spaccone. I suoi occhi sono caldi nel tramontante, soffici di romanticismo fra il robusto fottersene delle regole, quindi sempre trasgressivo in pantaloni consunti del portentoso pettorale “addomesticato” in sorrisino dolce, d’immediata simpatia, il tenero proprio consumarsi fra un oscillante gaglioffo e un bronzo di Riace, dinanzi al quale le donne più mature crollano “tumefatte”. Ma i maschi, proprio per questo, lo snobbano.

Una differenza di fondo, insomma. Anzi, profonda… Paul, da me mai molto amato, sta perdendo ai punti contro il “mio” Matthew. Il cui comeback è epocale. Ne stanno parlando tutti, stupiti da questo prodigioso ritorno assolutamente imprevedibile. Una svolta storica, raramente s’è mai assistito a una riemersione di tali proporzioni. Considerato “finito”, relegato appunto nei film “USA” e gettali via subito, in quelle robette da “spallucce”, carine come il suo faccino bello però così così, ma presto dimenticabili.

Invece, nel giro di pochissimo, eccolo alla ribalta, anzi a ribaltare ogni pronostico sfavorevole. Il grande colpo avviene con The Lincoln Lawyer, pellicola che doveva essere diretta da Tommy Lee Jones, ma poi data nelle mani del più “anonimo” Brad Furman, che invece azzecca un grande film. Altra previsione smentita. Da lì in poi, McCoanughey esplode in modo travolgente. L’epica, eccelsa prova in Killer Joe di Friedkin è un altro strepitoso apripista.

Una manciata impressionante di great performances e il gioco di Matthew si tramuta, dalla nostra “indifferenza”, sempre perplessa di fronte al suo attore “bravino” ma mai davvero convincente, a sconfinata, “incurabile” ammirazione. Incontenibile!

Prima di vederlo protagonista dell’attesissimo Interstellar di Nolan, aspettiamoci la sua candidatura, pressoché certissima, ai prossimi Oscar. Una mutazione mimetica da cardiopalma, emozionante, da “commozione” anche “cerebrale” perfino per chi non l’ha mai “fumato”. Sto parlando del suo Ron di Dallas Buyers Club, passato ieri al Festival di Roma. Un’interpretazione che ha “distrutto” gli spettatori e i detrattori più testardi.

Da quanto leggiamo, questo suo Ron, malato di AIDS a cui i medici diagnosticano erroneamente solo trenta giorni di vita, è un loser “spostato” che, dall’imminente tragedia annunciata, risorgerà con tutta la forza del Cuore. Non s’arrenderà al “laboratorio” che lo vorrebbe, appunto, subito al cimitero. E, per l’irreprimibile desiderio di sentirsi ancora vivo, miracolosamente vivrà, uccidendo il suo “morto dentro”. Sarà proprio vedere la morte cogli occhi ad accenderlo insperatamente, in maniera disperata per fermarsi nel pianto, deflagrare di rabbia, virare di ritrovate energie e (soprav)vivere per il sogno di se stesso.

Signore e signori, un Ron che fa, è il caso di dirlo, un baffo al Randy The Wrestler di Mickey Rourke.

Chi poteva aspettarsi questo Matthew così tosto? Così Mud?

 by Stefano Falotico

 

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