BUSSANO ALLA PORTA (Knock at the Cabin), recensione
Ebbene, essendo in tal sede, stavolta, sganciato da vincoli editoriali, posso scrivere di questo film in totale libertà senz’attenermi dunque a esigenze standard in chiave SEO. Anche se debbo confessarvi la verità, cari invidiosi e maligni, solitamente mi attengo sol a me stesso, recensendo secondo il mio unico stile peculiare. Apprezzato o ingiuriato, ridondante e/o eccessivo, odiato che sia, mal oliato, illeggibile o piacevole da leggere, non è la mia una scrittura leggera. Ah ah.
Andiamo avanti!
Finalmente, a scoppio ritardato, come si suol dire, essendo io peraltro un conclamato ritardat(ari)o, appunto, no, scusate, forse semplicemente uno poco inizialmente interessato a tal film di M. Night Shyamalan, vidi tale suo nuovo opus. Da molti osannato, incensato, glorificato, forse sopravvalutato e fin troppo ingiustificatamente magnificato. Eh già, oltremodo. Poiché, a conti fatti, mi ha deluso, perlomeno parzialmente. Sì, è “carino”, si lascia vedere volentieri ma sostanzialmente non è un granché, eh eh. Shyamalan ha fatto decisamente (di) meglio anche se, in buona fede, credo nell’Altissimo? No, penso fermamente che non realizzerà mai un capolavoro in quanto, pur riconoscendogli di essere resuscitato da cineasta redivivo dopo essersi, professionalmente, seppellito vivo, in seguito ad alcuni suoi kolossal mal riusciti e conseguenti sonori flop colossali, sono convinto che il suo Cinema non ascenderà mai in paradiso e non andrà al di là… d’una certa mediocrità. Perdonatemi affinché possa io ricevere la salvazione eterna, no, padrone dell’universo, Padreterno, no, pardon, mi spiego meglio affinché possiate concedermi una cristiana, miei poveri cristi, assoluzione, voi, fedelissimi, sì, aficionados inossidabili del regista di E venne il giorno per cui reputate Shyamalan un dio.
Ora, a parte gli scherzi (da prete?), tal Knock at the Cabin (questo il suo titolo originale), sceneggiato, come consuetudine, dallo stesso Shyamalan, stavolta assieme a Steve Desmond & Michael Sherman, è il libero adattamento del romanzo di Paul G. Tremblay, intitolato The Cabin at the End of the World e da noi edito col “title”, eh eh, La casa alla fine del mondo.
Per quanto concerne la trama cinematografica, beccatevi questo link da Wikipedia e, dato, ripeto, che ivi non debbo usare parole mie, leggetevela, se volete, in tutta la sua interezza. Se incorrerete in qualche spoiler, altresì sappiate che possedete il libero arbitrio. Dunque, non accusatemi di essere Satana se ciò qui vi dico… il personaggio di Jonathan Groff, alla fine, si suicida:
https://it.wikipedia.org/wiki/Bussano_alla_porta
D’altronde, Keyser Söze, alias Kevin Spacey de I soliti sospetti, è il diavolo e io non sono un santo, ah ah.
Mentre Shyamalan la dovrebbe finire di realizzare film col climax–twist finale da paraculo che, spacciandosi per geniale, sceglie, così facendo, paradossalmente le strade più scontate e (b)anali.
Dave Bautista sorprende ma so da tempo immemorabile che era bravo. A differenza di voi, miscredenti e come San Tommaso. Groff è altrettanto ottimo e, parimenti a quanto appena sopra dettovi, anche questo sapevo dopo averlo visto in Mindhunter. Stesso discorso dicasi per Eric Bana. Ah no, perdonatemi ancora. Volevo dire e scrivere Ben Aldridge, cioè il fratello zotico, no, Falotico, no, monozigotico, omozigoto, di Ettore in Troy. Non capisco però perché Bana e Aldridge non portino lo stesso cognome. Ah, ora capisco. Il primo, cioè Eric, è muscoloso come Brad Pitt/Achilles (latinizzato e in english) mentre il secondo ha, come “figo”, no, figurativamente parlando, più talloni di Achille. Essendo fisicamente un po’ meno dotato. Comunque, la formula di Shyamalan è sempre la stessa e la CGI degli aerei che si schiantano al suolo, purtroppo, pessima. Ma sorvoliamo…
La migliore del cast è la bimba Kristen Cui. Nikki Amuka-Bird assomiglia alla pallavolista, dapprima ritiratasi e ora ritornata anche in Nazionale, Paola Egonu, mentre Rupert Grint è antipatico e non ha molta recitativa grinta.
di Stefano Falotico