L’infernale Quinlan
di Stefano Falotico
Touch of Evil
Demoniaco è il poliziotto ambiguo coperto dal tocco maligno della legalità al confine…
Il genio assoluto di Orson Welles furoreggia in questo turbolento, “calmissimo” e incendiante noir magnifico. Vetta iridescente e invincibile sotto l’egida fiammeggiante del “logo” della Universal, responsabile però di non pochi tagli e rimaneggiamenti, prima che questa monumentale, sesquipedale opera venisse restaurata nel suo antico, modernissimo fasto, grazie all’intraprendenza “amanuense” del carissimo Walter Murch.
Un’opera sconfinata, profetica, imbastita “solo” sul carisma mefistofelico del suo (non) protagonista, l’infernale capitano Quinlan, un Welles in doppie vesti “bifronti”, non solo da regista-attore su suo leggendario, mellifluo, inconfondibile stile sfrenatamente mastodontico di splendore barocco.
Celeberrimo il piano sequenza iniziale, una scena d’apertura vertiginosa, uno stupefacente, mirabolante lavoro minuzioso di perfezione formale mescolata raffinatamente al poderoso estro cineastico d’un Welles mai così ispirato, zenit furentissimo della prodigiosa virtuosità tecnica intersecata, a “chirurgia” visiva, nella cura certosina dei dettagli più “nascosti”. Simbiosi fra l’Hitchcock più sperimentale d’ottiche visive e appunto il nostro Orson illuminato, irrefrenabilmente immolato a superamento perfino della maestria stordente di Quarto Potere. Un’esagerata incursione d’avanguardia, che profuma di vivida materia cinematografica dal colore più limpido nel suo lancinante, parossistico, commovente, bellissimo talento liquido… Cinema nella sua luminescenza flagellante del puro incarnarsi ad apice inarrivabile.
La storia è “banale”, ma è Welles a plasmarla in qualcosa di così altissimamente affascinante, corrosivo, indimenticabile.
Un poliziotto messicano, Mike Vargas, è in luna di miele con la moglie. Entrambi assistono alla morte di un ricco imprenditore della zona, la cui macchina salta per aria. Vengono interrogati subito da Quinlan, “ispettore” che (non) la racconta giusta nemmeno all’imponenza autoritaria della sua maschera grottesca.
E la trama si tinge, repentina, di rosso vivido, emergono “delitti imperfetti” e qualcuno, la cui apparenza inganna, potrebbe essere la talpa, l’occhio che invero guarda…, rimesta nel torbido soffuso delle verità contraffate e (non) svelate.
Aleggia anche la spettrale, nerissima Tanya, dama-strega amante d’un personaggio oscuro, indefinibile… nell’apparizione memorabile d’una diafana, eterna Marlene Dietrich.
Come andrà a finire? Come “qualsiasi” altra storia di complotti e bugiarde macchinazioni…
Ma non è questo che conta, bensì la materia organica della struttura, una fitta rete gialla incardinata alla dinamica poliedrica della visione di Welles, creatore, possiamo dirlo, d’una rivoluzionaria concezione altra del noir.
La portentosa grandezza del genio… oltre le barriere temporali del Cinema, qui a noi ancora più avanti e da rivedere senza mai non stupirci del suo impressionante essere Welles, oltre.