“The Elephant Man”, Review

Il suono invisibile della sensibilità, la spirituale danza “nascosta”

Od(i)o, da remote dimore della mia anima, un guaito via via ad ascender d’accensione.

Come un Cuore sacro, segregato, squittente tremori mansueti di docili contemplazioni. Dal baglior incendiato della mia più intima lividezza, dall’intimidita cenere tersa del mio sangue frenato, smorzato, ferito… risorgo in auge su tanti scintillanti diamanti.

Anima!
E poi grido “Animali!”.

Oh, ridacchiate, annusanti dolore a pelle, scuoiate nelle beffe con aguzzina arroganza. E non vi pentite!

“Arguti” arrostite, di rossa fiamma a scalfirvi son ora colore vivo!

Al mio urlo vi spaventa(s)te, fuggite adesso impauriti dalle umiliazioni vostre testarde a specchio mio dardeggiante?

Perpetraste con la pusillanimità più turpe del bestiale “incatenarvi”, oh miei “manichini” antropomorfi mai incantati da nulla più a slegar sol vostre aberranti carni, ad afflizione sbraitata nell’orripilante, feral e bieco sfregiare senza freni.

Oh, fregiatevi di “vitali” respiri, mordete con maggior “coraggio”. Azzannate! Spellandomi, “esornerete” l’odore delle marcie marce. Oh, son qui, dinanzi a voi, nudissimo e creaturale.

Tal craterica, tuonante e irrequieta ribellione v’ha turbato?

E cosa ne sapete voi del turbamento?

Di com’avvolsi la mia “cera” perché avreste rabbrividito nel vedermi davvero com’ero.

Deforme o prodigiosa Natura “strana”, la mia percezione diversa è deviante?

E chi siete voi per uniformarmi a un principio tremendo, tristissimo di presunta “normalità?”.

Son qui, John Merrick, nato così, figlio del (non) concepirmi a immagine e somiglianza di voi tutti somiglianti. Serpenti, vermi striscianti, suonatemele a sonagli! Ragliatemi contro, oh sì, miei sommi somari! Di serpentina ingannante, oh sì, scagliate!

Scatenatevi!

Durante la mia ignota prigionia, nel buio bianco e casto della rarità unica e perlacea, ingrandii la mia anima.

Notti nelle quali sfamai l’ansia altera d’un essere… già altrove.

Perché così era per voi.

Quindi, miei idioti, puniste sin dall’inizio.

“Infil(z)ai” la tetraggine indotta a carnagione mia scarna per scagionarmi dalla paura d’esser un mostro come voi!

Cultura assetata di Bellezza, me ne cibavo di sopraffino gusto superiore.

Avete mai assaggiato una tal melodica, dolce prelibatezza?

Ma la violentaste. Voi non volete volare!

Voi siete affamati di potere, di “ribalde” e stupide competizioni ciniche, ove domina chi ha più “palle” di pelle esibita, orrida in così sfrontato mostrarvi “forti”.

E la vita perdete dietro folli rincorse.

Quando mi fermerete, non più mi ferirete!

E sarete fermi di fronte al vostro vuoto che oggi vi appar fortificante! Accaniti, oh oh quanto arrivisti e poco elastici, v’imploro di colpire, “scolpitemi” e non scappate adesso a mio infervorato inferocirmi, ché espiri massacrato un “esecrabile” mio esser non nato a pari vostre crasse classi da cene crematorie.

Sapete, siete tutti uguali.

E dov’è finita la peculiarità di quel che dentro è il nerbo vivido del distinto, florido non prostituirci alla discinta, appuntita “uguaglianza?”.

Vomito, vomito nel macerar la mia “maschera”.

Truccaste il mio Cuore ché sol indagarlo v’avrebbe scosso di vostra dura “corteccia”.

Un medico mi ha scoperto. Soffro della Sindrome di Proteo.

Una sorta di distrofia muscolare degenerativa. Questa malattia altera il già “sfigurato” mio corpo neonatale e notteggiante, che vien progressivamente “cosparso” di borchie, crescono erosive, laceran le braccia, scarniscono il volto.

E son “costretto”, per farvi piacere, ah ah, a (s)coprire.

Così, rendo “ricco e felice” Bytes. Bytes è il direttore del circo… degli orrori. Mi abbaia di far il cane! Sono ai suoi “servigi” perché incarno… l’attrazione più stupefacente offerta all’ignorante gente proprio animalesca. La cattiveria di Bytes è sproporzionata quasi quanto le mie informe proporzioni…

Mi soprannominano infatti “Elefante”, “gobbo” e di proboscide a cartilagine slabbrata, soprattutto nell’escoriata anima.

Disarcionata, pensate?

Non è in “bianco e nero”, è variopinta, coloratissima.

Ma nessuno, tranne il dottor Frederick Treves s’arrischia ad avvicinarsene… tutta superstizione, non sono un lebbroso.

Sono un Uomo!

Be’, molto diverso da voi “uomini”. Voi siete “tosti”, malvagi ubriaconi dei divertimenti più sconci e sporchi di porci.

Conciatemi per le feste. E che il suicidio, non so se mio, sia il… supplizio! Non ditemi che vi fa schifo tutto ciò.

Non vi credo. Questa è forte, adesso è molto forte.

E morde!

(Stefano Falotico)

 

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