I disagi sociali odierni, Garrone docet
Oggi esce nelle sale italiane Dogman, film che, a prescindere da quelli che saranno i giudizi della Critica, che peraltro già stanno spopolando in rete, accenderà discussioni a non finire. Non solo se sia lecito mostrare la violenza più efferata al Cinema, questione oramai atavica, oserei dire, ma se sia giusto fare un film su un fatto di cronaca sconvolgente, se sia moralmente doveroso ritrarre le ultime ore di un uomo mite, un “bambino” col suo cielo in una stanza che, angariato ripetutamente senza pietà e schifosamente imbrattato nell’anima da un guercio senza cuore, alla fine si ribella in maniera tragica, eclatante, mostruosa più delle violenze psicologiche che, ininterrottamente, ha subito, avendo trattenuto sempre la rabbia, soffocando il grido di libertà che lo percuoteva nelle viscere ma che doveva reprimere per non combinare un “malestro” di cui si sarebbe pentito.
Ambientazioni squallide, luci corrosive dell’intermittente fragilità umana che radono il tempo, tra atmosfere plumbee e livide come la solitudine più inguaribile, come l’abbandono esistenziale che si trascina e arranca, come un uomo spaurito in un mondo di lupi, di facce sporche, di brutte persone che, impunite, continuano a far baldoria mentre un’anima spezzata si è già squagliata e detona nella sordità dei suoi silenzi inascoltati. Abissali. Ove non possono bastare le carezze ai propri cani per sviare da una vita deturpata, sciupata, per restaurare un’anima inesorabilmente lesa e danneggiata.
Ancora bullismo. Ancora una storia italiana ripescata dalla memoria. Ancora un oltraggio al pudore e la sanguinolenta furia animalesca che deflagra.
Al che, passeggio per queste strade. E l’ipocrisia alberga sovrana e incontrastata nello squittire monotono e fintamente allegro, mortifero dei giorni caduchi. Questa primavera sottile si fa brezza solitaria in tal lercio porcile. E la gente, una volta asservitasi e accodatasi al sistema più cinico e corrotto, al gioco pusillanime della vita “tranquilla”, sta zitta e fa le sue cose. E ridacchia, blandisce le persone deboli o sprovvedute, inesperte e ingenue, in una sarabanda oscena di altre canzonature terrificanti. E queste persone offese e umiliate possiedono la forza poetica di un vulcano. Ruggiscono nelle loro carni straziate e implodono, magma lavico di vite anonime, invisibili, trascurate, incomprese o solo snobbate dalla presunzione, dal circo(lo) degli orrori e delle maschere meschine e bugiarde, ove conta sempre la legge del più forte, del più danaroso, del più stronzo, di quello che meglio sa vendere la propria merce.
I giovani resistono eppur non tanto esistono. I “vecchi” sanno solo dir loro che il futuro devono costruirselo ma non hanno creato nessuna struttura sociale-lavorativa soddisfacente affinché questo futuro si canalizzi e si concretizzi. Mentre gente radical chic grida di giubilo a Cannes davanti a un’altra borghese schifezza, ribaltando ogni gusto e bellezza, le stelle della notte sono sempre più splendenti e si ode il mormorio crepitante di una potenza sconquassante nei cuori dei puri.
Questo è il mondo. È sempre stato così.
La gente sistemata, con la panza piena, sa porgere solo la più idiota domanda… ma, esattamente, lei cosa vuole dalla vita? Ah, vuole questo? È facilissimo, s’impegni per averlo e non rompa i coglioni.
Giovani, finché potete, siate sani contestatori, non adattavi al mercimonio di massa.
Perché dovete accontentarvi di fare i magazzinieri quando avete passato tutti i vostri migliori anni a sognare un mondo libero e migliore? Ah, ma in qualche maniera si deve pur tirare a campare.
Ah sì. Tirare a campare. Trovare un “metodo” di mera, bruttissima sussistenza e disinteressarsi di tutto, gettare alle ortiche il proprio preziosissimo sapere, sfanculare ogni coscienza, soprattutto la propria, nel torpido morir progressivo dei giorni laconici e auto-ingannatori.
E ricordate: in ogni caso, la vostra vita è bellissima. Perché è la vostra.
di Stefano Falotico