Racconti di Cinema – The Double di Michael Brandt con Richard Gere
Ebbene, oggi recensiamo un film passato abbastanza inosservato ai tempi della sua uscita quando la Eagle Pictures lo distribuì in Italia il 9 Marzo del 2012, ovvero The Double con al solito uno splendido Richard Gere.
Sì, avete letto bene. Ho scritto… al solito uno splendido Richard Gere. Chi scrive questo pezzo, infatti, e non me ne vogliate, considera Richard Gere, come già espresso più volte, uno dei grandissimi attori di Hollywood più sottovalutati di sempre. Un uomo che lo scorso anno ha compiuto sessantanove magnifiche primavere e che, per tempo immemorabile, è stato assai equivocato. Scambiato semplicemente per un sex symbol poco dotato dal punto di vista attoriale. Un uomo che, dopo I giorni del cielo di Terrence Malick e American Gigolo di Paul Schrader, è stato pressoché unicamente imbrigliato nel piacevole quanto limitante e ingrato ruolo del piacione carismatico per gentili signore, subito identificato a vita con lo Zack Mayo di Ufficiale e gentiluomo o l’Edward Lewis di Pretty Woman. Diventando un idealizzato fantoccio mercantile desiderato dalle capricciose voglie femminili.
Provate invece a riguardarlo in Cotton Club di Francis Ford Coppola, in Schegge di paura e soprattutto nei suoi recenti Gli invisibili e L’incredibile vita di Norman. E constaterete che è stato defraudato per più di tre decadi abbondanti del suo reale valore recitativo e semplicisticamente etichettato soltanto come l’aitante, fascinoso ex compagno di Cindy Crawford.
Ora, chiariamoci, questo The Double è un film abbastanza mediocre e Richard Gere si attiene solamente a un compitino di ordinaria amministrazione, recitando dialoghi piuttosto scontati, appallottolati in una storia tanto inverosimile quanto hitchcockianamente poco convincente.
Sì, perché la trama basilare di The Double è questa, su per giù.
Paul Shepherdson (Richard Gere) è un agente della CIA in pensione. Che viene richiamato in servizio dal suo capo, Highland (Martin Sheen), poiché è stato assassinato un senatore presidenziale e l’intelligence è convinta che il responsabile dell’assassinio sia un killer sovietico dal nome in codice Cassius, Cassio nell’edizione italiana. Tutti erano fermamente sicuri però che Cassio fosse a sua volta stato ucciso proprio da Shepherdson. Il quale ha sempre sostenuto di averlo ammazzato molto tempo addietro.
A questo punto, Shepherdson si vede costretto a tornare sui suoi passi e a ripartire daccapo con le indagini al fine di catturare Cassio, a quanto pare ancora vivo e vegeto. E viene affiancato in questa sua missione da un ambizioso agente, Ben Geary (Topher Grace), laureatosi, neanche a farlo apposta, con una tesi su Cassio.
Ecco, non rivelo nessuno spoiler nel riferirvi che, dopo soltanto mezz’ora, noi spettatori apprendiamo che in realtà Shepherdson e Cassio altro non sono che la stessa, identica persona. Ciò peraltro veniva chiaramente esplicitato nel trailer americano.
Dunque, al palesarsi di questo telefonato colpo di scena, a noi spettatori non resta altro che attendere l’evolversi della trama e aspettare di lasciarci possibilmente coinvolgere dai risvolti action e drammaturgici che tale bizzarra, ennesima variazione spionistica del tema del doppio (da cui ovviamente il titolo della pellicola) inevitabilmente ha scatenato nella nostra stimolata curiosità di vedere come andrà a finire.
Accennavo a Hitchcock. Sì, il maestro Alfred era, come sapete, specializzato in storie di questo tipo ove i suoi personaggi possedevano multiple personalità o la cui vera identità, poi clamorosamente rivelata, si celava dietro maschere infingarde e traditrici. Peccato però che l’esordiente Michael Brandt, sceneggiatore assieme a Derek Haas, suo immancabile compagno writer anche di Quel treno per Yuma (la versione “remake” di James Mangold, con Russell Crowe e Christian Bale, e non quella con Glenn Ford) e di Wanted – Scegli il tuo destino, non possieda la magistrale genialità di Hitchcock e, alla sua opera prima dietro la macchina da presa, si dimostri assolutamente incapace di riuscire a gestire un assunto così invece ricco di potenziali, intricate sfumature narrativo-psicologiche. E risulti sconcertantemente manicheo e stupido nel non essere stato affatto in grado d’infondere il ritmo giusto e impartire sufficiente appeal a un twist tanto affascinante quanto da lui sviluppato con troppa superficialità, scritto con sciatteria e pieno zeppo di spaventosi buchi narrativi, nonostante la sola ora e trentotto minuti di durata della sua pellicola.
Esistono serie televisive che, a mio avviso, potevano venir tranquillamente sintetizzate in un normale lungometraggio, in quanto dispersive e colme di digressioni inutili e superflue.
Al contrario, esistono film che, per via della complessità della loro intrigante tesi di partenza, anziché stringatamente esser compattati in minutaggi ridotti, ché comprimono e strozzano, semplificano a dismisura, giocoforza, il materiale ben più meritevole di eventuali, ramificati sviluppi, dovevano diluirsi e dilatare la storia, in questo caso così soffocata e banalizzata, intrecciandola a una maggiore e più dosata mistura estesa di sotto-trame interessanti e avvincenti.
Sì, The Double è un film che, tutto sommato, non appassiona perché strozza la complicatezza di una vicenda che meritava tutt’altro approfondimento e purtroppo è stata strangolata nella convenzionalità sciocca d’un thriller di cassetta, buono solo per un dopocena da entertainment insensato e sempliciotto.
Martin Sheen si trova qua a interpretare in forma mignon il suo Queenan di The Departed, Topher Grace non ha un briciolo d’attrattiva personalità, la bella e fotogenica Odette Annable (accreditata come Yustman), sì, quella de Il mai nato, viene liquidata a mezza comparsa di cinque minuti.
Eppure The Double ha comunque il suo validissimo motivo d’interesse. Che è appunto Richard Gere. Nonostante sia obbligato da esigenze contrattuali a incarnare un personaggio tanto potenzialmente sfaccettato quanto invece paradossalmente tagliato con l’accetta, malgrado sia capitato in una pellicola tutt’altro che memorabile, grazie al suo epidermico, irresistibile fascino e al suo elegantissimo aplomb, riesce a tenerci incollati allo schermo ed è un delizioso piacere vederlo muoversi con tale graziosa sicumera, ammirarlo nella sua felina andatura felpata. Adorandolo per la sua potente espressività gustosamente snocciolata con pacata sordina da straordinario performer davvero da applausi.
di Stefano Falotico