A Star Is Born, recensione
Ebbene, in concomitanza con l’uscita in Blu-ray, recensiamo A Star Is Born, opera prima di e con Bradley Cooper affiancato da una raggiante ma incerta Lady Gaga.
Film campione d’incassi della stagione il cui successo, visto anche l’insistente battage pubblicitario e il bombardamento mediatico, è culminato con la candidatura a ben otto premi Oscar. Cifra ragguardevole e indubbiamente spropositata, onestamente, al di là del contagioso trasporto della diva Lady Gaga, qui al suo vero e proprio debutto cinematografico da protagonista dopo una miriade di video short, Sin City – Una donna per cui uccidere, Machete Kills e naturalmente la serie televisiva American Horror Story.
Fortissimamente voluta e caldeggiata da Cooper che ha fatto carte false per convincerla a rivestire i panni della sua eroina Ally.
Come sapete, questo è un aggiornamento-remake di tre, a mio avviso, superiori precedenti sfavillanti, tutti regolarmente tradotti in italiano col titolo È nata una stella.
E nonostante, ripetiamo, il largo apprezzamento di pubblico e i plausi della Critica, soprattutto d’oltreoceano, ammaliatisi sin troppo dinanzi alle patinate, furbastre spericolatezze del suo intraprendente, intrepido ma poco convincente metteur en scène–anfitrione Cooper, tale contemporanea, luccicante trasposizione è senz’ombra di dubbio la meno affascinante. Un’operazione creata a tavolino per giocare facile agli Oscar e ottenere una marea di nomination che, infatti, puntualmente, metronomiche sono arrivate come da programma, rispettando gli studiati calcoli della volpe Cooper.
Trama… ovviamente ricalcata in rifacimento sui generis dei celeberrimi film predecessori, allestita sulla potenza canora della fantasmagorica Lady Gaga. Che se l’è cavata, ha carisma ma ci ha comunque lasciato perplessi. Bravina ma di certo non eccelsa.
Jackson Maine (Bradley Cooper) è una rockstar ancora amatissima dai suo beniamini ma è oggi alcolizzato e depresso. Dopo un’esibizione, si ferma in un bar e rimane ipnotizzato dalla cantante che si esibisce nel locale, la talentuosissima Ally (Lady Gaga). Una donna dalle potenzialità vocali esagerate ma mai davvero lanciatasi con coraggio nello show business per colpa della radicata sua mancanza di autostima e di troppe patite delusioni.
È amore a prima vista fra i due. E Jackson, folgorato da Ally, la invita a un suo concerto ove, a sorpresa, le fa cantare un pezzo inedito da lei scritto. Da quel momento in poi scoppia fra i due la passione, esplosiva, irrequieta e bruciante.
Ecco, se sino a questo momento, il film aveva discretamente retto, affidandosi a qualche svolazzo pindarico della mobile macchina da presa di Matthew Libatique, proprio al detonare e scoccare della storia d’amore, troppo romanticamente ruffiana e allineata ai canoni caramellosi del mainstream più scontato, forzata e sveltamente ampollosa, assai poco attendibile, A Star Is Born frana imperdonabilmente.
Ci è apparsa infatti troppo repentina e ingiustificata la celerissima mutazione di Ally da cantante di un night a star della musica da palcoscenico con tanto di folla gremita da Woodstock accaloratamente infoiata ad applaudirla. Come se d’incanto, soltanto illuminata dalla forza dell’amore, Ally avesse cancellato ogni sua paura e timidezza, ascendendo a paladina sfrenatamente irreprimibile, accendendosi in una grazia armonica tanto sfolgorante quanto incredibile da lasciar basiti. Una metamorfosi piuttosto banalizzata in un’ovvia progressione drammaturgica psicologicamente insostenibile. E il personaggio di Cooper, non sostenuto peraltro dalla sua vanitosa performance mielosamente stereotipata da insalvabile, maledetto cavaliere del suo patetico cuore selvaggio ai limiti della perdizione più prototipica, dissoluto ma di gran cuore, ci è risultato estremamente fasullo e gigioneggiato languidamente dallo stesso Cooper in maniera spesso insopportabile. Solo negli ultimi venti minuti diventa emozionante, con tanto di finale che strappa qualche commozione.
Toccante anche la scena dell’ultimo addio tra Jackson e Bobby Maine. Quando il personaggio di Cooper, per tutta la vita in complice lotta col fratellone, prima di salutarlo definitivamente, tentenna parecchio, quindi, strozzato nella voce, gli confida sottovoce che si è comportato così, cioè in malo modo, perché lo ha sempre nascostamente invidiato e voleva, in cuor suo, assomigliargli.
A Star Is Born è un film che si lascia innocuamente vedere, alcuni numeri musicali vanno a segno, sebbene la già famosa Shallow sinceramente, riproposta in questi mesi sin allo sfinimento nelle radio di mezzo mondo, non è che sia poi un granché. Ed è stata appunto enfatizzata a dismisura dalla campagna promozionale. Una mediocrissima canzone invero scarsamente memorabile, raffazzonata per orecchiabili ascolti, come si diceva un tempo, da cassetta. Ma niente di artisticamente elevato e in verità commovente.
Ha vinto l’Oscar, ma non c’entra niente.
Così come il film stesso, esempio di un Cinema demodé probabilmente superato e oggigiorno poco emozionante perché inoltre, ribadiamo, messo in scena da Cooper con una palese scarsità d’idee, in forma mercantilistica, modaiola, confezionato a uso e consumo di una storia d’amore da stellare box office ma facilmente dimenticabile, strimpellata sdolcinatamente nello strizzar l’occhio al botteghino e non ai sentimenti profondi e credibilmente pregnanti.
Il marketing gli ha dato però prevedibilmente ragione.
Eppure Lady Gaga rimane una bruttina che inevitabilmente piace e con la voce ci sa fare.
Non facendoci rimpiangere molto la somigliante, fisicamente e non, Barbra Streisand.
di Stefano Falotico