The Irishman: Scorsese conferma, again, il progetto con De Niro
According to nostro, eh eh, sacro Variety-à. Ah ah.
LYON, France — Interviewed by his pal Thierry Fremaux a few hours before his tribute at the Lyon Lumiere Film Festival, Martin Scorsese joked around and spoke candidly about everything, from his childhood to his aspirations as an independent filmmaker, his lifelong journey to find his place between the indie world and Hollywood, his upcoming HBO series “Vinyl” and his next project with Robert De Niro, “The Irishman.”
Scorsese confirmed he and De Niro were still aiming to reunite for “The Irishman.” “It’s Steve Zaillian writing and Bob and I are working out the schedule and the financing,” said Scorsese.
Fremaux, who was pitch-perfect in the role of the ace reporter, then asked if financing was still an issue when you’re Scorsese making a film with De Niro. Scorsese said, “If you’re doing well, you can do another film if 1) you agree with the subject matter and 2) if it’s a film that others want. If it’s a film you want to do with a few friends, you have to find a way to do it.”
Scorsese presented a clip of “Vinyl” and said he and Mick Jagger started working on the project in 1998 and initially envisioned it as a feature film rather than a series. “It’s very rock ‘n’ roll. It’s taking place in New York in 1973; there’s a lot of cocaine and great music. The (clip) is actually tamer than the pilot.”
About his next movie “Silence,” Scorsese said he took 10 years to work on the script, but “the legal problems with the chain of titles were so complicated” that the issue was not resolved by the time he finished. “After ‘Hugo,’ it became clear we could make ‘Silence,’ certainly not on the budget of ‘Hugo’ or ‘Wolf of Wall Street,’ but we knew we could get it made,” explained Scorsese.
Fremaux also asked why Scorsese had not yet made a film about Bruce Springsteen, to which Scorsese answered, “Say no more,” with a big smile.
Scorsese drew a round of laughter from the audience when he explained how his love for movies goes back to his childhood as a lonely boy from a middle-class Italian-American family who suffered from asthma. “The doctor said, ‘Don’t let him run, don’t let him laugh, don’t let him go out, don’t let him near trees.’ So I was in my room most of the time and then in the streets — there were no trees on Saint-Elisabeth Street at that time in New York. My parents didn’t know what to do with me, so they took me to the movies a lot.”
Speaking about movies that marked the ’60s, Scorsese mentioned Andy Warhol’s “Sleep.” “I thought, ‘I don’t need to see it, it’s a shot of one man sleeping I’ve seen already.’ But he had discovered a new language; he had a way to twist everything and it was a whole new world,” said Scorsese, who quipped that he didn’t always understand Warhol and was never able to get behind “the soup can,” for instance.
As the festival will screen “Goodfellas,” Scorsese said the movie was “about the allure of that life, the darker side. What’s interesting is that the darker side has a great deal of humor and is very seductive and by some friends and some filmmakers I was brutally reviled for making crime attractive. We were not allowed to go to certain Italian restaurants in New York anymore.”
He added, “The question I have been getting is, ‘Why is criminality so attractive? And that’s what we explore, and it’s the same in ‘The Wolf of Wall Street.’”
Scorsese said he works most of the time from his house and misses hanging out with his old friends. “That’s the biggest stress really, to spend time with my friends.”
The iconic helmer also confided that when he began his career, he thought he would “make it as a Hollywood director,” but he has always had the impulse to be independent, even if he admitted to making several Hollywood movies such as “The Aviator,” “Shutter Island” and “Hugo.” His biggest surprise was getting an Oscar for “The Departed.” “I don’t know what happened… It was not intended to be an Oscar movie. It was a statement on violence and the underworld. I tried to make as truthful a film as I could.”
Al di là della (s)figa: quando il genio è genio e si manifesta in tutta la sua magnificenza, la società, in quanto “fessa”, si spaventa
Il ratto eppur re(tt)o Citti, ascoltando i fischi della massa, (indi)rizzati a Carmelo Bene, come l’apostolo Pietro dinanzi a Cristo, levò in al(i)to la mano e sostenne che Bene era un genio che sarebbe stato punito, come Pasolini, dall’ignoranza, difendendo la sua “crocefissione” a spada (t)ratta.
Credo che il mio “problema” sia sempre essere stato oltre la gente comune, abituata a “rammaricarsi” e poi far del mal comune un mezzo gaudio, nella “solidarietà” comunista non tanto solida, assoldata a pochi soldi e (s)tiriamo(ci) a “Campari”, come dico io, rinfrescando le nostre, più che altro vostre, (dis)grazie con un aperitivo scacciapensieri e una mocciosa che allen(t)i la nostra “tensione”. Già in questa mia f(r)ase, è insito il genio strafottente, nel sen(s)o che se le fotte tutte sotto i vostri baffi, in una beffa colossale da Wolf of Wall Street che poi, subissato di critica dalla società maldicente, “regredisce” nelle personalità multiple, di cui m’accusa(no), in forma, non smagliantissima, ma “ammaliato” nel malato Nic Cage di Matchstick Men, uomo che fa della sua metafisica alla Mishima schraderiana un al di là della vita per sconfiggere e superare i limiti della carnale tribù di suoi por(c)i, persone a cui dai un pel di figa e s’impalano, strabuzza(n)ti in sognar il lecca-lecca “al dente”, poco invero ardenti, io vi dico e “addito”, ma molto di “mano” masturbatoria, poche dita “lì in mezzo” e una vita da medi(ani).
La gente, spaventata dalle mie potenzialità re(s)e, dalla mia ostinata volontà, una “terrificante” vanità di volontà, vorrebbe rendermi vacuo, alquanto vano, rimpicciolendomi in una vita in “lor” pantofole sui (di)vani.
E io, così come già mi sbellicai, ancor belle mi (ri)be(l)lo.
Perché lor “signoria” pensa cose di cui io dovrei penar e invece, di “pene”, non son mai sazio, sempre più in là, oggi in una di lilla e domani di culo.
So che questo mio (com)portamento può suscitare invidie e antipatie, ma non posso farci molto, anche se assai me ne fo, (t)ergendole con la fonè, dirimpetto a tanti fesse.
Ammazza che fessa/o.
Questo Nic ride e piange allo stesso temp(i)o… piove oggi, domani si salvi chi può.
Di “mio”, fra le mi(n)c(h)ie, non mi salvo la vi(t)a “crucis” ma, “incrociandolo” lo “salivo”.
E “sale”, non tanto ascetico.
Ma neppure, come voi, poveri s(c)emi.
Sempre sia lodato. Anche lordato. Ah ah! Come godo/e.
di Stefano Falotico
Distretto 13, brigate della morte e la teoria dell’assedio psichico
Vani son i nostri sforzi e l’insita forza che ci pervade, sempre saremo (d)elusi dall’uomo “(au)reo” con le sue “ricche” frottole, dell’uomo con in bocca la frittella e l’uccello “frizzantino” che ci tedierà con le sue immonde, inevitabili però, blateranti richieste. Pretenderà da noi che ci omologhiamo al comune, meccanico ammorbamento della medietà più bieca, (in)f(i)erendo. Protervo, ci sgriderà ma sol aumenterà la nostra viscerale, incurabile ira, l’urlo “sereno” del nostro giammai impigrirci alle sue sciocche vanità, peccaminoso sarà di ricatti e “ricotta”, desideroso che alle sue “matte” voglie noi c’ammattiamo, (s)colpirà nel plagio del volerci modellare a suo volere stupido e torpido. Turbando le nostre sane “perturbazioni”, il nostro innato spirito guerriero che mai dorme, né mai si doma, noi, che al(a)ti volteggiamo e, celestiali, alle brutalità assortite del triste mondo (in)fau(s)to non c’assoggettiamo, no, non c’annichileranno alla loro ricerca del “felice”, ricattatorio “or(t)o”, non c’illuderanno, ingraziandoci con magre consolazioni grassoccie, non ci sfiancheranno dalla rocciosa autorevolezza della nostra, vivaddio grandiosa, bellezza di poesia parsimoniosa. C’assilleranno per far sì che, distrutti da tal grave incupirci con ingannevole concupiscenza, ci rendiamo arrendevoli.
No, noi denigriamo tal imposta(ta) “normalità” da (impos)tori. Ribellandoci sinché il fremito della carne si mescolerà ribaldo e giovane al metafisico mai adattarci dei vecchiacci. No, no alle cremosità delle lor cer(tezz)e bestiali, di tavole luculliane imbandite, noi saremo i b(l)anditi!
Allorché, allo scoccar della mezzanotte buia e vividissima, languidi, come spettri di un’altra dimensione, (s)coperti in vol(t)o d’angelo, pioveremo sopra le lor cas(s)e da già morti. Imperituri, “pericolosi”, mille facce aggressive delle lor facc(iat)e (s)porche. Imbratteremo i lor muri omertosi, le loro “dinamiche” socialmente “vive”, nel dar luce al colorirci d’arcobaleni che davvero, pulsanti, inietta(n)ti di sangue e bri(vid)i, brillano e brillino come giocosi birilli, saremo noi a burlarli, saremo grulli e bulli, spaventandoli perpetuamente con le nostre terrorizzanti apparizioni “sbullonanti”.
Questo, fratelli, non è “terrorismo”, ma combattimento per i nostri già lesi (di)ritti.
Parola di Cristo!
A white–hot night of hate!
di Stefano Falotico
Lo stagista inaspettato (The Intern), recensione, review
Lo stagista inaspettato
Incipit melodico, cadenzato da Ben (un sorprendente, “unexpected”, magnificente De Niro) che racconta alla gente, anche agli spettatori, come se ci trovassimo dinanzi a un film di Woody Allen (non a caso, una delle attrici preferite della regista è Diane “Manhattan” Keaton), la sua noiosa vita da pensionato. Le ha provate tutte per “evadere” dalla sua età, per esorcizzar il “profumo” di morte e la depressione “bergmaniana”, si è iscritto a corsi di lingue, ad esempio, ma ciò, anziché alleviare il suo “bofonchiante” rancore e la sua sin troppo languidezza mesta del suo (non) rassegnato animo, ancor leggiadro invece, intimamente “agguerrito”, nel voler inseguire lo sfuggente, inesorabile tempo battente, ha finito, se non a inacidirlo, a “spossarlo”, lui che, vedovo, non è più sposato ma fin troppo (ri)posato, a fargli perdere il vitalistico fuoco sacro del sentirsi “ardente”, vivo, euforico, a rammollirlo nel cuore. “Turba” di cui molti pensionati soffrono, cioè quella di provare l’inadeguatezza oramai d’un vivere “(ir)regolare” senza molto senso. Giornate appunto noiose, nel pedissequo cercar (in)van(itos)o di “forgiarsi”, “foraggiarsi” almeno in qualche impulso creativo per far vibrare un’esistenza “agli sgoccioli”, arrugginitasi, infiacchita, che ha smarrito il mordente dei respiri “vulcanici” e s’è melanconicamente opacizzata in grigi albeggiare dei dì ripetitivi per aspettar la già inoltratasi notte “inutile”, insonne.
Al che, dopo esser andato a far la spesa, in una mattina come tutte le altre, “insignificante”, Ben legge un volantino in cui c’è scritto che “da qualche parte” assumono persone senior per (re)iscriverle al “volenteroso” (apprendi)stato…
Ben, signore appunto compi(u)to, compunto di un’altra epoca, old–fashioned, classico e “firmato” d’eleganza d’antan, “stagionatosi” in tante allegro-morigerate stagioni del cuore sull’orlo se non dello spegnimento, forse, del morir dentro. Che sceglie accuratamente, con estremo gusto, le cravatte da indossare, il suo abito da “biglietto da vis(i)ta” anche se deve, semmai, sol incontrare per strada il vicino di casa. Perché è stato educato così. È di quella generazione lì…
Ben tenta così l’impossibile avventura, trepidante e intrepido, cavaliere senza macchia e senza alcuna paura, ché la saggezza delle tante esperienze l’ha fortificato nella sua amabile gentilezza gioviale intimorita da nulla ma vogliosa di questo capriccio (in)sano, uomo discreto, sen(sib)ile, che certo non è spaventato dal ributtarsi nella mischia e di affrontar a viso aperto una nuova, rinnovante, “rilucidante” occupazione a settanta primavere “suonate”, non ancora però da suonato. È vispo, “ode” scoter la sua anima di stimoli che possan ridonargli gioie rifulgenti che credeva per sempre persesi nell’abitudinaria vecchiaia smorzante.
E incontra, dunque, la radiosa ma nervosa Jules (una grande, naturalissima, come mamma l’ha bellissimamente fatta, Anne Hathaway).
Caro lettore, te lo scrivo col core, se t’appresti a leggere quanto segue e a “inoltrartene”, scoprirai presto, sin dalle mie prime righe, che questa non è solo una recensione standard, ché vidi il film in anteprima, alla premiere londinese, domenica scorsa, elegante e vestito a festa, ma forse non l’ho, e qui cambio il tempo in passato prossimo dal (re)moto che fu, veduto, eppur ne narro. Auto-biografizzandolo, “(di)stil(l)ando” ciò in data 2 Ottobre, aspettando che esca, e possa (ri)vederlo, nel giorno della sua italiana uscita, il 15 sempre di questo mese, caduco, autunnale, piovigginoso, “sdrucciolevole” come le scale bagnate dall’amor rosato, mischiato a baci “grezzi” d’amanti, poco adamantini ma istintivi, “increspati” nel lor “giogo” di cacciatori e prede stronzette coi cazzi nella testa.
In verità, o invero se preferite, non conosco Ben né ho “visionato” il suo stagismo in tal agenzia di moda.
Partirei con…
L’ironia che fa del tempo perduto un goliardico sberleffo leggero
Da che mi ricordi, sono anni “insanabili”, di mia “bile”, che vivo un precoce, (in)sano pensionamento, e non noto nella mia personalità né evoluzioni né (cambia)menti. La mia mente, per evadere dalla noia della mia “vedovità” inconsola-bile, appunto, ha tentato di spremer le meningi nella “cura” della creatività, mia culla, per me, oramai da sempre “allocco”, per risorgere in un ritorno della giovinezza (in)sperata. La mia barbetta, ramosa, “rubina”, quasi da rabbino, si sta ramificando a ogni dì (de)crescente, anziché esser invecchiato nella senilità po(l)t(r)ente, mi sto “umoralizzando” d’atmosfere empatiche col Creato a me prima nauseante, sento infatti riscoccar dalle mie tempie il perduto tempo, ché perito lo credetti, crepato e, invece, dalle crepe sta rinascendo una bella, “tangibile”, succhiante voglia di fresco cioccolato “spiaccicante”, indosso gli scarponi e faccio col pane la scarpetta, sono un (non) vivente mascarpone, dolce alla Up, “vecchietto” furbetto e i giovincelli strafottente, sì, che si fottessero, ora mangio un’altra “caramellosa” crêpe, così di Nu(te)lla ripiena. Ho il panciotto pienotto e do di botte piena e moglie mai o forse avuta, eppur son fradicio ubriaco, (s)fiorente, praticamente un demente. Mi dimeno e tutto in fretta dimentico, a niente oramai credo se non a lasciar che la barca vada ove lo stomaco un po’ deborda e, incontinente, la prostata si alla(r)ghi. Vorrei prender lezioni di Mandarino ma invece sbuccio solo un pompelmo, d’altronde, gente saggia come me sa che la vita è Arancia meccanica, non è più tempo delle mele né dei limoni, per una “limonata” sì, succ(hiott)o-“saccottino” di vero zucchero mio “incarnito”, rincagnito, sono alla frutta e quel che mi resta son i resti dei miei passati, tanti (ri)cor(di).
Devo rimettermi in forma, non son un cassa-(dis)integrato, posso ancora dare molto, in fondo del “barile”, alla società. Devo rischiare, non “raschiarmelo”. La mia maturità può portarmi “ritto” e arzillo a una Rene Russo da cucinarmi, gallina che fa buon brodo, e a un’amicizia platonica con un’Anne Hathaway del più sweet femminismo da chick flick. Speriamo in un happy ending, dopo tanto mio cinismo (ba)lordo, sono buonissimo e non m’incazzo neppure sotto le peggiori torture psicologiche e mille in faccia torte da “schiaffi” (im)morali. Ho molto ancor d’insegnarvi, ragazzini che mi prendete per il popò se il “mio” s’erige per il (ri)tocco della massaggiatrice, ah ah, magari me lo (m)assaggiasse con le sue mani “tornenti”, per il “venir torrenziale e sc(r)ollato”, mani guar(n)enti, delicate, un “toccasana” a uno come me, pensionato non tanto (mal)sano, ché me la tiro di camicia linda e stirata.
Vi metto tutti in “righello”, non siete più “lunghi” di me, la so lunga, so parlar forbito di lingua finissima e “incravattata” da puro gentleman d’aplomb che non si spazientisce mai. Ben rasato, senza baffi eppur col sorriso (non) compiacente d’un De Niro superbo, beffardo come quello migliore del vino d’annata.
Procederei, pertanto, con…
Anch’io ho, a mo(n)do mio, amato, odiato, la mia età rinnegato, la mia anagrafe distorto, i miei occhi emozionato/i, la mia anima naufraga(ta/o)
Come chiunque, nella mia (non) adolescenza oltraggiata, aberrata, tribolata, mal partorita, a metà e appieno vissuta, triturata, dagli “adulti” scann(erizz)ata, mal vista, acerba e altra, oltre e sempre altrove, m’illusi che 8mm di Joel Schumacher, con Nic Cage, fosse anche un buon thriller “catartico” ma poi, avvedendo la mia (re)visione, sentenziai a perpetua, eterna, finché morte non mi s(e)pari, che sia, perennemente sarà una pellicola fascista, reazionaria, piena zeppa di luoghi comuni sui serial killer, propugnatrice di vendetta giustizialista del peggior Charles Bronson.
Ci fu anche un tempo nel quale pensai che Stanno Tutti bene, sia nelle versione originale di Tornatore mastroianniana che in quella “remake” di Kirk Jones, col “mio” De Niro, fosse un piacevole viaggio “felliniano” agrodolce di rara/e raffinatezze e (ri)sentimenti positivi, ma lo rivalutai, in peggio svalutando me, recensore giudicatomi “alla buona”, e svalutando entrambe le opere del loro insignificante, patetico, nullo “valore”. Se mai l’ebbero, se mai vissi, se(m)mai sa(p)rò.
Trascorsero stagioni magre in cui, “inculato” da mille pensieri dannati, danneggiandomi, sì, io stes(s)o, mi persuasi che l’amore davvero esistesse e che non fosse soltanto l’illusione dell’uomo, creatura contradditoria, nata per sua natura, alla Taxi Driver, solo e senza Sole.
Passarono gli anni e m’incoraggiai, talor scoreggiando da “fattone”, persi la mia indole viscontiana e la mia primordialità da “vampiro”, da Conte tra(s)mutai in principe, poi divenni rospo e sputai sul piatto in cui mangiavo.
Ma è or ora di creare l’intervallo…
Pubblicità
Pensionati, liberi dagli obblighi sociali e “scolastici”, vi siete meritati una gustosa, sciolta, disinibita colazione col cappuccino della Ciobar, in vendita nei migliori discount. Perché noi, “esercenti” di questo regime da esercito, non eserciteremo su di voi, “parassiti” rincoglioniti, altri abusi alla già vostra cagionevole salute, minata, come sappiamo, d’acciacchi e da fissazioni bislacche, da manie compulsive, ché l’Eros della gioventù s’è trasformato in paranoico avvicinamento al Thanatos, da cui il “proteggervi” dietro i rituali e le abitudinarie “convenzioni” dell’io “desessualizzato”, per esorcizzare la (di)partita a carte alla bocciofila.
Fate come Ben Whittaker, dopo essere andati a far la spesa, entrate in una tavola calda e chiedete solo ed esclusivamente una bevanda della Ciobar, per una colazione “nutriente”, ipocalorica, anti-colesterolo. Non dovrete pulire la dentiera e non vi verran le carie se userete quello di canna, alla faccia dei ragazzi di McDonald’s che si fan le canne.
Alle prossime elezioni culinarie, salvo alzate di testa e di “uccelli”, da cui le putrescenti, inacidite vostre erezioni, dai il tuo voto alla lista “Ciobar”, per uno Stato più “cremoso” di saccarosio, senza tartari, persone che da un centenario rovinano il mondo con le lor labbra secche da meridionali incazzati.
Experience never gets old
(De)pressione (a)sociale
In data di vigilia dall’uscita nelle “saune”, no, sal(s)e, ancor medito sul nostro cam(m)ino così denso di “modernità” sconvolgente, a me, “pensionato”, non più coinvolgente. Gente… che vivacchia, bivacca di “comfort”, il film è “confortevole”, mette di buon umore, “pasticciando” di sentimenti positivi-(bi)polari negli occhi rassicuranti dell’Hathaway, sublim’attrice che, così giovine, (ar)redattrice, ha già le apatie patenti del nostro mondo pa(r)tito, in cor(po) suo (s)magr(it)o, sublimato, fatto sì, di distinta silhouette siffatta, che non “venisse” sfatta, di bel (porta)mento amorevole, grazioso, come il film “delizioso”, tanto da non esser stucchevole ma(i) truccato dietro la furbizia della Meyers che usa molto “trucco” per non far sì, forse no, che Ben invecchiasse patetica-mente sulla demenza. Mette d’accordo tutti, a ogni mo(n)do, c’è chi è (s)truzzo e chi rozzo, chi lo fa pa(r)tire ad azz di razzo e chi ama di più un thriller “tosto”. Ci sono poi quelli che non si cas(s)a-integrano, i disintegrati…, insomma, i pazzi! Di mio, non so, rimango nel dubbio dello sguardo compassionevole, forte d’un De Niro misurato e il caffè, come questo film (non) troppo dolce, miscelo di mia zucca, senza zucche(ro).
Non accetto ulteriori con(s)igli.
I meravigliosi tocchi geni(t)ali della Meyers: ove il femminismo è sweet armonia
Furba, sì, Nancy, ma anche “retrograda” di nostalgico impianto che si riaggancia stupendamente al Cinema “desueto” d’un passato hollywoodiano scomparso, che lei fa riapparire fra squarci d’una periferia d’élite, illuminata da sprazzi solari tendenti alla plumbea notte “ubriaca” e l’omaggio commovente a Gene Kelly, scena d’antologia, con un De Niro incommensurabile, “piangente”, sull’orlo d’una emozionalità “superata”, da vecchia scuola appunto d’un Cinema (s)travolto da “social network” asfissianti e dal logorio frenetico d’un “progresso” che, nella sua superficie dolciastra, è meno potente del suo Cinema dolcissimo, garbato come una carezza a una bambina vestita di ros(s)a.
di Stefano Falotico