A Walk in the Woods, Robert Redford-Nick Nolte Trailer & Poster
Dalla sinossi del romanzo omonimo:
L’Appalachian Trail: un sentiero di 3.400 chilometri che si snoda attraverso 14 Stati americani, dalla Georgia al Maine. Il sogno di tutti gli amanti della natura e dell’avventura. Ed è proprio in cerca di avventura che, all’età di 44 anni, Bill Bryson, in compagnia dell’amico Stephen Katz, si cimenta nell’impresa di percorrere a piedi il leggendario sentiero, senza la minima cognizione delle elementari norme di sopravvivenza nella natura selvaggia. L’avventura dei due cittadini si svolge all’insegna di una divertita incoscienza tra bufere di neve, nugoli di insetti, incontri con gli animali selvatici e con una sorprendente varietà di individui.
Point Break – Official Trailer: evviva Bodhi di vera anima color puro Body
Depurato, disintossicato, liberato dopo che fui da scellerati ipocriti nelle emozioni ibernato per colpa della lor mentalità, questa sì, handicappata, abietta, ottusa e da pseudo-vincenti di una guerra sociale dalle lor teste bacate inventata. Libero, scrivo libri, non più recluso in etichette che diversificarono, stigmatizzando, la mia innata, armoniosa alterità giocosa, creatrice, magmatica, scevra da sindromi loro incurabili da borghesi marci, colmi zeppi di regole vetuste, da anni trenta, ove quelli come me, nati liberi, vollero che si ammalassero di depressione e castrassero i lor impeti vitalistici, veri, autentici, schietti, lontani dalle meschinità, dagli elettroshock delle lor castiganti palle papillari, ah ah, da falsi gustatori-mangiatori-(divora)tori, di (at)tributi da lerci carna(l)i. Abbasso la psichiatria con la sua inquisitrice (s)mania, questa sì ossessione-compulsiva e abusiva, di voler inquinare le anime nate biologicamente diverse, quindi, a mio avviso, in tal società tronfia e spargitrice di veleno nei cuori, superiori!
Mi arresteranno per oltraggio al pudore e mi concerò, camuffato ma non fin(t)o, come un Presidente degli Stati Uniti del cazzo.
Go go!
di Stefano Falotico
La grande bellezza secondo me
Svegliarsi dopo una festa altisonante, o meglio frequentata da ricchi (ba)lordi in pausa eccitata/nte del logo della Martini.
Spadroneggiar di oratoria e sopraffina dialettica scaltra da Jep Gambardella/Servillo, servito e riverito da un ipercinetico Sorrentino mai domo con la macchina da presa, fra zoom avanti-indietro, dilatazioni di dolly e giraffe riprese, diciamo, a squarciagola dello stupor nostro esterrefatto, non si sa se infastidito da tanta lentezza prodigiosa, da albe squinternate immerse nel falò della Luna vicina al faro, da elicotteri e fenicotteri danzanti sopra una terrezza che affaccia sul Colosseo, oppure colossalmente ingannati da carne al fuoco esagerata della critica alla borghesia alta, dunque bassissima, romana, compresa la regina Ferilli, baronessa delle cafone prima di sformarsi come la pavona, tronfia, decaduta Grandi Serena, in parto gemellato con lo sfatto, antipatico, distrutto Verdone Carlo.
La grande bellezza, fellinianamente smisurato e (im)pari, si destreggia così, sinistramente perfido di arguzia e furbizia manieristica un tantino (dis)gustosa.
Placida e turbolenta, turbata e non acchetata, si (ri)posa Roma, città di sante, cardinali ed esorcisti, di portieri di notte con la chiave dei migliori palazzi monumentali, di starlette magroline e stronzissime, di giramondo alla Jed dal fascino culturale indubbio, gobbo e con lo spiccato-spacc(i)ato senso di acchiappo per donne già rugose, in là con età e anagrafe non più giovanile, attempate, seducenti signore di lusso e lussuria alla Ferrari Isabella, ammodernate di antico sex appeal nauseante.
Antiche, la Via Appia, i pioppi, i c(ipr)essi, i viali e il raccordo anulare, Antonello Venditti stempiato con la parrucca, la fauna decadente di una metropoli sulle sue ceneri imperiali (de)ceduta.
Ed è poesia, forse un magico ricordo, la prima (s)volta non si scorda mai nel cinereo cor e mare.
Il resto è chiacchiericcio.
di Stefano Falotico
Black Mass, new Official Trailer
In 1970s South Boston, FBI Agent John Connolly (Joel Edgerton) persuades Irish mobster James “Whitey” Bulger (Johnny Depp) to collaborate with the FBI and eliminate a common enemy: the Italian mob. The drama tells the true story of this unholy alliance, which spiraled out of control, allowing Whitey to evade law enforcement, consolidate power, and become one of the most ruthless and powerful gangsters in Boston history.
La giovinezza di Sorrentino secondo il cannense inviato Anton Giulio Onofri
YOUTH, di Paolo Sorrentino. Scrivere del nuovo film del regista de La Grande Bellezza rischia di diventare, invece che un elogio dell’opera, una filippica in sua difesa contro l’ormai corazzata schiera dei suoi detrattori. Ma come ignorarli, o almeno fare finta? Antipatico e stupido suona infatti l’odio ideologico di certa cinefilia soprattutto nostrana verso chi ha deciso, con risultati che gli hanno dato ragione ben oltre l’atteso, di PIACERE AL PUBBLICO senza rinunciare al dovere sacro dell’artista, che è poi quello di PIACERE A SE STESSO. Dico subito, tuttavia, che non ho tanta voglia di imbarcarmi in discussioni che si moltiplicheranno come spermatozoi impazziti qui su Facebook e nei mille altri rivoli della rete, e piuttosto taglierei corto dicendo che ANCHE stavolta Sorrentino ha firmato un film magnifico, sontuoso, di eleganza e leggerezza supreme, maneggiando, insieme a quello che è il suo mestiere, anche quell’altra cosa che insieme al Cinema è alla base della mia sana e onnivora bisessualità: la MUSICA. Non che di musica si parli molto, in YOUTH, anzi. Di Fred Ballinger, direttore d’orchestra britannico in ritiro somigliante, per via della montatura gambardellesca degli occhiali, a Sergiu Celibidache, Olivier Messiaen e Luciano Berio, veniamo a sapere poco della sua attività di Maestro del podio (per quarant’anni, racconta ad un messo di Elisabetta II venuto ad annunciargli la sua nomina a baronetto, ha diretto una fantomatica “Orchestra di Venezia”, pretesto forse per una sequenza onirica di acqua alta in Piazza San Marco di bellezza fulminante, ma anche perché là è sepolto Stravinsky, conosciuto in gioventù, e omaggiato sulla sua tomba nel cimitero di San Michele), mentre ascoltiamo qua e là frammenti delle sue giovanili Simple Songs, uniche sue composizioni rimaste nel ricordo del pubblico e della critica, in virtù della loro gradevole semplicità di linguaggio. Ma ciò che maggiormente preme di raccontare a Sorrentino è la vita privata dell’ormai anziano musicista, in vacanza con sua figlia in un resort svizzero che è poi lo stesso sanatorio della thomasmanniana Montagna incantata. Tra gli ospiti del lussuosissimo albergo, tutti in pensione o in “pausa di riflessione”, un Pibe de oro sfatto come un ippopotamo, un Johnny Depp in rehab, una schiantosa Miss Universo, uno stralunato Reinhold Messner, e una carrellata di varie umanità in età d’argento, compreso un santone buddista sempre in procinto di lievitare, e un regista cinematografico, sodale di Ballinger fin dagli anni dell’adolescenza, insieme alla sua ciurma di sceneggiatori. Non succede granché, nella placida vallata elvetica, ma si parla molto, proprio come nel romanzo di Mann, tra una passeggiata nei boschi, un concerto di mucche e di corni delle Alpi, un massaggio e una sauna, un incubo e un temporaneo idillio, un pranzo e una cena nella magnifica veranda vetrata dello Schatzalp di Davos. Qualcuno ha detto infatti che è un film “troppo scritto”: a me suona buffo, perché di rado si sono visti, almeno di recente, film così carichi di immagini mozzafiato, prive di qualunque patinatura, inquadrate e riprese, stavolta, con una macchina da presa sobriamente assai meno mobile di quella che aveva tanto innervosito i puristi dell’immagine fissa per ore e ore su nuvole o sigarette, ne La Grande Bellezza. Per chi si aggira per mostre e biennali d’Arte (contemporanea e non), la festa per gli occhi secondo i criteri dell’estetica post-postmoderna e 2.0 è garantita e grondante di invenzioni squisite e prodigiosamente sature di armonia ricercata con voluto e dominato artificio. Il senso di vecchiezza al termine di una vita lunga e ricca, ora minata dal decadimento fisico e dal progressivo distacco dalle cose del mondo, pervade con cinico struggimento l’intero film, indicando nell’Arte un’arma a doppio taglio, che può rivoltarsi contro il suo creatore (come nel caso del regista/Harvey Keitel), o fornire lo strumento di tornare a recuperare l’energia della giovinezza attraverso la Musica, che ha necessità di “essere eseguita” per non restare inerte sui fogli della partitura, come nella lirica, sognante, assurda e surreale ultima sequenza di questo film meravigliosamente cialtrone, straordinariamente presuntuoso, incredibilmente bellissimo, com’è diventato il Cinema di un autore ormai destinato a dividere e a rompere amori e amicizie.
De Niro è The Comedian per Mike Newell
Riportiamo qui sul nostro mulholland tal estasiante, magnifica, esaltante notizi(on)a.
Dopo la dipartita di Sean Penn in cabina di regia, si torna a parlare di questo progetto, The Comedian, film con De Niro in quel che si preannuncia uno strepitoso, epocale one man show, per la direzione di Mike Newell, subentrato, stando alle maggiori testate giornalistiche cinematografiche di oltreoceano, appunto,dietro la macchina da presa.
Le riprese, inoltre, sempre rispetto a quanto leggiamo, dovrebbero partire abbastanza presto in quel di New York. La data è fissata per Novembre, infatti.
Rispettivamente da Variety e da Deadline, citiamo, copia-incollando, quanto attestato dalle rassegne stampa di entrambi i giornali online.
Dave McNary
Film Reporter@Variety_DMcNary
Mike Newell has come on board to direct Robert De Niro’s drama “The Comedian,” based on Art Linson’s script, with plans to begin production in New York in November.
Linson will produce with Courtney Solomon and Atmosphere’s Mark Canton, who are both financing.
De Niro will play a Don Rickles-style standup comic who specializes in insults, with the script’s standup material written by Comedy Central Roast mainstay Jeffrey Ross.
De Niro will be seen later this year in Warner Bros.’ “The Intern” opposite Anne Hathaway and in David O. Russell’s “Joy,” playing the father of Jennifer Lawrence’s character.
Newell’s credits include “Great Expectations,” “Harry Potter and the Goblet of Fire” and “Prince of Persia: Sands of Time.”
De Niro is repped by CAA. Newell is repped by WME and Independent Talent.
The news was first reported by Deadline Hollywood.
EXCLUSIVE: The Comedian, an Art Linson-scripted drama that Robert De Niro has been sweet on for years, has come together with Mike Newell at the helm. I’m told that the film is now a reality, with De Niro in final talks to start production in early November in New York. Linson will produce the film along with Courtney Solomon and Atmosphere’s Mark Canton, both of whom are providing the financing.
De Niro, who played the iconic stalker/aspiring comedian Rupert Pupkin in The King Of Comedy, here plays an accomplished insult comic, on the order of a Don Rickles (with whom De Niro starred in Casino). The project has been in the works for several years, and the stand-up material was written by Jeffrey Ross, who provides consistently bright spots in the Friars and celebrity roasts on Comedy Central. Linson previously wroteWhat Just Happened?, the Hollywood saga that starred De Niro.
De Niro has been in the middle of a productive patch. He next stars alongside Anne Hathaway as the title character in The Intern, the new film by writer-director Nancy Meyers. Hands Of Stone, the film he stars in with Edgar Ramirez for director Jonathan Jacubowicz, just sold for a bundle to The Weinstein Company during the Cannes Film Festival, and he recently wrapped the Scott Mann-directed heist film Bus 657, and the David O Russell-directed Joy, with Jennifer Lawrence and Bradley Cooper. He’s currently starring with Zac Efron in the Dan Mazer-directed comedy Dirty Grandpa.
De Niro is also coming off a close of his Tribeca Film Festival that featured a restored version of Goodfellas, his masterpiece collaboration with Martin Scorsese. De Niro is repped by CAA, Newell by WME and Independent Talent.
Sicario da Cannes, recensione di Anton Giulio Onofri
SICARIO, di Denis Villeneuve. Alla fine di Incendies, visto a Venezia 5 anni fa, ero l’unico a sostenere che il gran punto di forza del film fosse il testo teatrale di Wajdi Mouawad, e che la regia dell’opera prima del giovane canadese fosse sì, buona, ma poco più che “di servizio”. A seguire, non ho visto Enemy e Prisoners, dei quali ho sempre sentito dire un gran bene. Ma questo ultimo Sicario, in concorso a Cannes, è veramente poca, pochissima cosa. Divise tra enfasi e ovvietà francamente irricevibili in un film del 2015 (“Mi ricordi mia figlia, morta sciolta nell’acido”), le scelte registiche di Villeneuve denunciano una fastidiosa tendenza all’enfatizzare i toni di una storia torbida e darkissima sul traffico di cocaina tra Colombia, Messico e USA, come se non fosse già sufficientemente drammatica di suo. Ne viene fuori una Serie B che per i volti (Blunt, Del Toro, Brolin) e i mezzi impiegati vorrebbe gonfiarsi a Serie A, senza mai riuscire a dissipare la sensazione di guardare un film “all’americana”, che un regista statunitense esperto di action movie avrebbe realizzato in maniera molto meno coatta. Bocciato.