A Walk Among the Tombstones, Trailer: Liam Neeson e i suoi detective action
di Stefano Falotico
Stupisce davvero questa svolta, oramai consolidata e solida, di Liam Neeson nel genere action.
Dopo Io vi troverò, compresi i successivi seguiti (il terzo episodio del francese franchise Taken lo vedremo a breve), e le collaborazioni con Jaume Collet-Serra, Unknown in primis (e anche in questo caso, presto assisteremo alla sua variazione sul tema, Run All Night), Neeson non si schioda questa fissa, in ambito cinematografico, dal color detection. E insiste, nonostante, da me il primo, non siam convinti che sia il genere di personaggi che possano valorizzare Neeson. Anzi, a mio modesto avviso, è anche parecchio ridicolo in certi ruoli. Questa sorta di vendicatore solitario alla Melville, andava bene appunto in altre epoche e con attori di altra tipologia, come Alain Delon. Neeson, invece, nonostante la stazza indiscutibile, nella parte del duro punisher, stona non poco.
Perché, sempre secondo me, non ha un briciolo del fascino di De Niro alla Ronin e non è carismatico come Callaghan/Eastwood.
Ma il botteghino continua a sorridergli anche se noi gli ridiamo in faccia. E così i produttori continuano a proporgli appunto la parte del revenant ombroso, fosco, crepuscolare e arrabbiato a morte. Già, il nostro Schindler è meglio che giri subito questo Silence con Scorsese e si tolga tali panni, onestamente patetici. Che tutti i contratti che lo legheranno a certa roba trita e ritrita, senza un grammo di eleganza dei film di un tempo, Schindler scinda. Così io ho deciso. E credo, caro Neeson, sia alla tua carriera un buon consiglio.
Ma la locandina comunque è bella, su questo non ci piove. Sebbene questi film, più che malinconici su plumbeo piovvigginare tra periferie fatiscenti, fanno spesso piangere e ci inducono a gridar alla schifezza fetente. E le lacrime beffarde a te, Neeson, noi facciam piovere (a)mare.
Racconti variegati come Woody Allen o forse come, agli anti(podi), Sly Stallone, comunque sia la vita è poesia per le donne
di Stefano Falotico
Ieri sera, credo d’aver patito uno dei sabati sera più aridi della mia (prei)storia. Insomma, andiamo con calma, ero assonnato, dormicchiai infatti nel pomeriggio, rinvenendo, fra i miei salubri incubi, un emozionale saliscendi di turbinanti emozioni, fra il rivoltante, inteso anche nel senso gastrico dello scombussolarmi, un agitato annacquato da Morfeo e varie ninfee appariscenti e gioviali all’agognarle desideroso d’amarle eppur toccandole solo nell’impalpabilità della fase REM, in cui “qualcosa” dorme ma potrebbe essere solo (in)sensibile polluzione. Volevo appiopparmele! Ma fu una (non) sentita, notturna pippa! Solitudine dello stato amniotico. Enigmatico sciogliersi sbattuto nel cuscino. Al che, svegliandomi di soprassalto, dopo che tal donne, tutte intimamente spoglie a concupirmi ma anche a prendermi per il culo, m’assalirono come messaline sul mio letto a castello, e “vessato” come fossi un erotomane vassallo, scappai in bagno, coscientissimo che neppure una scopai re(g)almente. Lavatomi il viso, post “spruzzatina” “sveltina”, schiumoso pen(s)ai: in qual stato catalettico cascai o fui nel sonno un patetico cascamorto? Va be’, son vivo, anche se ho ancora le palpebre mosce. Mi “disinfettai” dal sogno proibito di quelle donne allattanti, allettantissime, penetranti nell’inconscio, sì, ridestato, ma anche sempre anchilosato in fatue rimembranze, e compresi d’esser, come tutti, un “me(mb)ro” d’una società che sogna da merl(ett)i, stagna e soffre la “fame” della fata. Oh, perché avverso mi è anche il fato? Che esemplare fall(it)o, che modello che potevo essere nonostante i miei mille malesseri ma non posso, appunt(it)o, perché non mi regge il fis(i)co. E mi dissi: meglio sognare oggi che non sognare nella morte. Sì, il dormiveglia fa più sensualità fra le lenzuola.
Al che, “imbracciai” la macchina e volammo lungo le desolate periferie di questa città sull’orlo delle baraonde da weekend coi non morti. Mi fermai a un caffè e ne ordinai tre, li bevvi con far disordinato, quindi m’asciugai le labbra, immaginando che la barista me le sorbisse come un sorbetto su mia incolta barbetta. Mi urlò invece: “Barbone! Voglio anche il resto, altrimenti, laverai il pavimento con le pezze(nti)… mie schiavizzate, cioè le mie figlie. Io sono la padrona di tal locale e obbligo, sfruttandole, le mie figlie a crescere con tali modi “femminili” da donna con le palle. Sì, oggi son delle minorenni schive ma, “educate” a tal “manesco” insegnamento, una mano lava l’altra, vedrai come si faranno incazzate ma non mi rompessero il cazzo, io servo solo i clienti che si fanno i loro, e per di più me li faccio, “rovesciando” loro i bicchieri se mi porgon, sbavanti, della avances di apprezzamenti al mio didietro da bricconi troppo (re)spinti, quindi rompo le lor teste di coccio, bevendo la mia superbia che ha perso la brocca. No, abbasso i maschi brocchi. Povero coglione, berrai solo gli amari ma non disperare, mai dire ma(n)i. Ora, levati di torno, prima che ti scopi a terra! E rammendati, cioè volevo dire rammenta, sono io la demente ma i miei insegnamenti daranno alle mie figlie i loro “crescenti” frutti, la banana dei lor futuri marit(ozz)i che “verranno” da me, “facendoli lievitare” come la crescenza, evitandoli come la peste fra una pasta al pesto e la mia donna impestata. Cresci! Ed esci! Altrimenti, chiamo l’usciere e, non facendoti più entrare, non potrai mai più pensar di penetrarmi. Fottiti! E da me neanche gli scaduti alimenti! Animale!
Incassai, rincasai e mi scassai le palle. Comunque, fra il suo dire e (non) fare, mentre gridava come una ludra, non si accorse di nulla ma le rubai tutta la cassa(ta) e pure la Nutella, leccandomi il furto da siciliano che conosce Amarcord di Fellini, perché io amo le lasagne con la besciamella ma anche la mia “tartaruga” mentre vi fate le pere. Però, capperi, che “uomo”. No, grazie, di mio preferisco l’uovo al tegamino. E ti alzo il medio dito!
La vita si pesante, la vita è un bilanciere. Sollevando, tiriamo su il morale, pensando che domani si alzerà. O nel mezzo, così (s)pompati, ci rimarrà solo un edonismo da pesi morti.
Sì, il parassita fa più sexy. Tutte le infermiere vogliono me(n)dicarlo.
Il Cinema è come una languida sigaretta
Johnny Depp, nuove foto da Black Mass, sempre più giovane-vecchio
di Stefano Falotico
Ebbene, sono in pieno svolgimento le riprese del film Black Mass, diretto da Scott Cooper.
E arrivano nuove immagini dal set che ritraggono un Depp spaventosamente imbruttito per calarsi nei panni del losco, (ex) storico criminale Whitey Bulger, un gaglioffo imbroglione che negli anni settanta seminò il panico, assieme a suo fratello e alla sua banda di spietati outlaws. Un gruppo di simpatiche, mica tanto, canaglie, a cui neppure J.Edgar Hoover col suo FBI riuscì a tener testa, che alla fine lo incastrò ma solo dopo molti anni di sue squallide imprese impunite.
Un Depp in pole position per una futura nomination ai prossimi Oscar. Sempre che riescan a finire il film per presentarlo entro Dicembre, scadenza massima per poter appunto competere alla magica notte delle statuette.
Johnny Depp, personaggione. Indubbiamente, ribadisco, anche sotto questo trucco pesante, soprattutto di capelli non poco stempiati, diciamocelo, praticamente pelato e anche leggermente imbolsito con tanto di macchie (anti)cosmetiche sulla pelle del viso per farlo entrar appunto meglio nei panni sporchi del vecchio Whitey. Depp, famoso per le sue mille collaborazioni con Tim Burton, per essere sempre stato un divo discreto, tanto da copertina quanto però spesso da film di qualità, che molti però associano frequentemente a characters puliti. E qui sbagliano. La sua filmografia, specie da qualche anno, si è notevolmente arricchita di maschere non tanto collimanti con questa erronea idea di integrità morale. Naturalmente, mi riferisco, spero sia chiaro ma non è mai esagerato sottolinearlo, proprio ai suoi personaggi sul grande schermo. Ci mancherebbe, signor Depp, che le dessi del criminale davvero. Ma voglio ricordarvi, però, non vorrei infatti che cascaste in tale grave dimenticanza, questo promemoria di sfumatura nera. A differenza, appunto, della capigliatura di Depp in tale Black Mass. Più tendente, diciamo, al platinato scialbo da lupo delle più bieche notti da manigoldo. E quindi non tanto da albi né di argento né da podio, sempre moralmente parlando. Da volpe che finirà arrosto fra le sbarre come il più stupido pollo. Ma che ve lo/li ricordo a fare? Che ve lo dico a fare, come diceva Pacino al suo ambiguo Donnie Brasco. Depp è più nemico pubblico di quel che si potrebbe pensare, cari miei.
Buon compleanno, Clint Eastwood, nato il 31 Maggio del 1930
di Stefano Falotico
Ebbene, sì, oggi il grande Clint compie gli anni. A quest’uomo ho dedicato perfino un libro, acquistabile su lulu.com, “Clint Eastwood, ghiaccio arcano di romantici occhi”, e ne scriverei a iosa, senza mai fermarmi.
Dinanzi al cavaliere io m’inchino e gli offro la torta ottimamente guarnita dell’aver addolcito la mia vita anche se spesso ha girato capolavori “amar(ett)i”, imbastiti su storie forti, senza speranza, ove l’American Dream vien fatto sobriamente a fette, mangiato da vero buongustaio obiettivo e senza fronzoli, alle volte di confetture “artigianali” come lo chef “mestierante” che bagna di liquore sanguigno le sue trame avvolgenti, incupendoci o fra le lacrime a farci singhiozzare per un semifreddo asciutto, che essicca gli occhi d’emozioni nel vero bignè ad anime nostre invece spesso impastate da barzellette e vanità frivolette, (s)cremato dal suo cinismo ponderato, dal suo realismo però poetico che, senza retoriche e melensaggini varie, fa dell’esistenza una stratificata mille foglie. Perché Clint svela il dolciume falso e stomachevole, rivela il marcio, ammiccandoci nell’insaporir le profondità a nostro cuore spalmato di verità. Noi, che spesso andiam in panne, abbiam ancor bisogno di Clint, perché Clint non è un montato ma giustamente mi mette su un divorante appetito dolce-salato, mi esalta. E dei suoi film ho sempre fame.
Molti gli dan del vecchio e credono che i suoi film sian negativamente antichi. Avercene di queste Antiche Gelaterie del Corso.
E Clint, soddisfandomi, dopo Jersey Boys, sta già completando le riprese di un altro filmone, American Sniper.
Sì, qui lo vediamo sul set con la barbetta, e io mi lecco i baffetti.
Clint Eastwood films American Sniper
Un Clint che, alla quasi veneranda età di 85 anni, è perfettamente in linea anche dietro le linee nemiche, come la Storia (non) insegna.
Dopo Maps to the Stars, doveroso excursus poetico (e)temprale nel bisturi del Cinema di Cronenberg
di Stefano Falotico
Incantato, com’è giusto che sia. Io, dinanzi al Maestro, sempre m’inchino sebbene questo suo ultimo, per me capolavoro, non abbia riscosso i consensi pressoché umani delle sue opere precedenti. O meglio, diciamo che i cinefili, dopo la visione di Maps to the Stars, si stan a mio avviso semplicemente contendendo lo “scettro” di chi scrive(rà), come sovente avviene in questa società competitiva d’esibizionismi futili, la recensione più stroncante ma appunto “esposta” di bella argomentazione da risultare incorniciabile e da “Ma sai che, sì, pensandoci, meditando sulle parole di ‘sto tizio, non è un granché?”.
Ecco, io non do retta ai detrattori di maniera, figuratevi se do “udienza” ai ratti del “dolce stilnovo” per quattro applausi su qualche blog ove si leccheranno a vicenda di condivisioni “Mi piace”. E apprezzamenti ruffiani.
Cronenberg è ben oltre le dicerie e, a tal proposito, ancor omaggiando il compianto Philip Seymour Hoffman, vi ricordo la sua “predica” ne Il dubbio, in cui con encomiabile classe sfotteva i creduloni dell’ultima ora che, di maldicenze appunto, seguono i pecoroni, persuasi a lor volta e a forma di squallido involto da tali cattivi pastori, che scelleratamente si fan chiamare recensori, e in verità di dico di non bestemmiare in nome di Dio. Cioè David. Perché David, come insegna la bibbia, accecherà i miopi, che si trastullan da giganti della carta stampata e invece verranno accecati soltanto dal mangiar le (lor) mentine da Golia…, caramellandosi balsamici, e imbalsamati, nelle didattiche presunzioni “linguistiche” da chi sol fa prender aria fresca alla bocca. Ah ah.
David(e) è sempre più svelto e raggira i maligni, dunque le malelingue, essiccandoli di “pasticche”, trattandoli come i personaggi putrescenti e viscidi del suo capolavoro lucidissimo.
Ora, io non sono il messia, Dio me ne scampi, perché David invece lo è e m’illumina. Dunque, con grande umiltà, io siedo alla destra del Padre, benedicendolo. David, cioè (D)io, ah ah, m’intima a confessare e a rivelargli il segreto del suo Cinema. Ora, molti “dotti”, che come abbian sopra detto han rotto, si fissano che David abbia le fisse della psicanalisi. No, Freud e Jung ben poco centrano col suo Cinema, diciamo che sono un altro fondamentale basamento teorico della sua sviluppata poetica. Se un tempo si disse di Lui che fu un rivoluzionario per visioni crash, oggi lo rinnegate e lo accusate di prendersi troppo sul serio e d’esser la(g)noso, di ribadire l’ovvio già contenuto nei libri proprio psichiatrici.
E invece l’acqua calda, che (ri)bolle in pentola nella mente sempre prolifica di David, va ancor (s)coperta.
Perché è proprio sul concetto di tempo che io mi concentrerei. Sul cerchio della vita.
Che mi dite de La zona morta? Di Spider? Non sono forse due mo(n)di horror di concepire come noi la viviamo, quindi la vedemmo, anche se le nostre alterazioni potrebbero indurci a tornar, con la memoria, indietro?
Sì, è così.
E non è forse A History of Violence un ritratto del tempo che, (s)fortunatamente, ritorna e di violenza turbinosa (di)strugge l’animo come un tornado?
Sì, David credo che ami la canzone degli Eurythmics, rimembrando che here comes the rain again.
Così è.
Sia lodato. Sempre sia lodato.
Lucky Town
di Stefano Falotico
L’uomo rinasce disperatamente, come il grande Bruce “Boss” Springsteen di Lucky Town
E tu che cazzo ne sai del concerto di Stoccolma con la chitarra solista d’un animale non solo del palcoscenico?
Well here’s to your good looks
baby now here’s to my health
here’s to the loaded places that we take ourselves
when it comes to luck you make your own
tonight I got dirt on my hands
but I’m building me a new home
Down in Lucky Town
down in Lucky Town
I’m gonna lose these blues I’ve found
down in Lucky Town
Ieri notte, ero triste, ho afferrato il volante e, schizzando sulla strada bagnata della mia ruggine psichedelica, immaginifico ho sognato il Paradiso, alzando il volume del mio viaggio sin al termine…
Dinanzi a me, la baia di San Francisco e la mia pelle del viso lacerata nell’oceano, poi il profumo terso della chete dopo la tempesta, della pioggia negli scrosci della mia anima. Mi son tuffato, agguantando il mio squalo fra le tenebre luccicanti delle profondità, l’ho morso letalmente. E, ferendoci, siamo riemersi lucidamente terrificanti di bellezza, modulandoci nell’incanto della vita oltre ogni confine. Non più incatenata a nessuno. Libera, a costo di schiantarci. E chi se ne frega!
Quindi, ho ripreso la mia macchina e, passeggiando tranquillamente, mi son ricordato di chi mi ha fatto male.
E non ho voluto perdonarli. Perché non tolleravano Bruce Springsteen. Gli davano del cafone e dell’ignorante. A detta loro, dovevamo essere “incravattati” nei modi furbetti degli stronzetti acidi e dovevamo menarcela da vincenti. Io invece voglio essere un loser dei miei speroni, un cazzo di perdono, no, no, no, sì, speronandoli, speranzoso che tutto (non) cambi, tanto quei figli di puttana insisteranno sempre di merda, e io invece sempre mi scaglierò rabbioso contro lo stivale italico e con cento chili di muscoli a spaccarti il muso.
Se non ti piaccio, neanche tu.
E ora giù pugni.
Così non va? Non va bene?
Invece va benissimo, proprio piazzato e (s)comodamente asse(s)tato!