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Siamo la copp(i)a più bella del mondo

E ci dispiace per gli altri ché non son piacioni, invece noi paciocconi ci baciam di pasticcini allo zabaione.

Voi quale di queste tre coppie preferite. Pitt il mascellone con la sua anoressica Jolie, Penn il taurino nanetto con la statuaria e stronzina Theron, oppure il medioevaleggiante Depp con la super troietta Amber Heard?

Eh sì, la scelta è ardua. Attori di fama e fame mondiale a cui, vestiti così arricchiti, prediligo il mio cavallo in zona (m)ungente me stesso, possibilmente in zona stesa. estendendomelo, a (di)letto di non patir le celebri tensioni da Dio li fa pieni di soldi e poi i paparazzi li fan (im)pen(n)are.

Comunque, fra il terzetto, Penn fa il suo porco di maggior fig(ur)a. La faccia di cazzo non smentisce il suo occhio fresco su tintura sbarazzina da cinquantenne rugoso che sa il fallo (cons)unto suo.

La bella e la bestia

La bella e la bestia

Orecchino in bella vista accostato a un ciuffo spavaldo

Orecchino in bella vista accostato a un ciuffo spavaldo

Borsetta su uomo che gira film rudi, la Theron morbida a consolazione dei reflussi gastrici del Penn sparviero

Borsetta su uomo che gira film rudi, la Theron morbida a consolazione dei reflussi gastrici del Penn sparviero

Mano con fazzoletto su pomic(iar)e da scopino

Mano con fazzoletto su pomo di Adamo quasi di gozzo rasato, da ingozzato Depp da scopino in pomice ammanicato

Amber ammicca, come a dire che lo ha inculato. Sì, a letto è lei il maschio

Amber ammicca, come a dire che lo ha inculato. Sì, a letto è lei il maschio, e Depp lo sa

Ridendo e scherzando, anche lei Depp si è rimbecillito. Insomma, un ex bello oggi spomp(at)o, regredito in zona popp(ant)e

Ridendo e scherzando, anche lei Depp si è rimbecillito. Insomma, un ex bello oggi spomp(at)o, regredito in zona popp(ant)e

Eh sì, il dito sa

Eh sì, il dito si mette in bocca con tatuaggio di bavetta già oltre i 50

Depp e il suo bastone della vecchiaia con semi-minorenne giovanissima stangona, salendo le scale di sempre più dolce e dunque salato

Depp e il suo bastone della vecchiaia con semi-minorenne giovanissima stangona, salendo le scale di sempre più dolce e dunque salato (s)fotterla

Depp quasi bolso, rimbambito, di sospetto nero eccessivo nella capigliatura corvina da corvo

Depp quasi bolso, rimbambito, di sospetto nero eccessivo nella capigliatura corvina da corvo su montatura di lei che lo (s)monta

Il culo stampato su guance mai ritoccate da Pitt che non ha bisogno di chirurghi plastici per conoscere il bacio sulle (sue) natiche in formato labbra aderenti, tirandosela/a

Il culo stampato su guance mai ritoccate da Pitt che non ha bisogno di chirurghi plastici per conoscere il bacio sulle (sue) natiche in formato labbra aderenti, tirandosela/a di mustacchio brizzolato

Angelina Jolie, la donna che mangia tutte le olivine degli omoni, dimagrendo da acciuga eppur li asciuga

Angelina Jolie, la donna che mangia tutte le olivine degli o(r)moni, dimagrendo da acciuga eppur li asciuga

Gel dal profumo a pelle macha, quasi marcio di fascino su occhiali da sole in abbronzato volto levigato a doppio mento da finto intellettuale (de)mente

Gel dal profumo a pelle macha, quasi marcio di fascino su occhiali da sole in abbronzato volto levigato a doppio mento da finto intellettuale (de)mente

 

Interstellar Poster e anticipazioni del trailer

Molto Incontri ravvicinati del terzo tipo

Molto Incontri ravvicinati del terzo tipo

 di Stefano Falotico

Introspezione interstellar(e)

L’umanità è nata sul pianeta Terra. Il che non significa che dovrà morire lì.

Così, recita il claim del primo poster ufficiale di Interstellar di Nolan.

Alcuni, in anteprima specialissima, hanno già visionato, e giurateci lo “vivisezioneranno”, il trailer del film suddetto, oh miei sudditi. Ove vireremo? A nord, a est, a sudate orbite d’una modernità lercia e (in) marcia…? Chi vivrà, vedrà. Chi vorrà morire, ne ha pieno diritto, essendo tal umanità, appunto, oramai poco (extra)terrestre (aveva ragione Finardi Eugenio, povero nostro E.T., avevi capito che non valeva la pena restarci, telefono casa insegna) e sempre più di balle spaziali…, oh, nostro Mel Brooks, se ci sei, batti un colpo. E la fiacca nostra terrai allegra, tirandoci su il morale con la tua geniale demenzialità.

McConaughey, guida nei campi di grano (cos’è, Signs di Shyamalan?), ascoltando musica classica. Procedendo nel cammino, col suo camioncino, s’imbatte in una nube di fuoco che sta bruciando donne e bambini vicini a un campetto, però stavolta di baseball. Matthew fa l’(anti)eroe, consola la figlia dicendole che non può salvarla perché dev’essere spedito lassù da un razzo, e saluta tutti con un “Fottetevi, umani stronzi, m’avete da tempo scassat’ ù cazz’. Come in Blade Runner… è tempo di morire, morti di fame! E di femmine, ah ah!

Questa, a “grandi” linee, la sintesi del trailer.

Modernità… che fottuta utopia dell’invero tragicomica, odierna, orrida e attualissima, fittizia, fintissima, sconcia (ir)realtà. Siamo realisti, suvvia…

Ché tanto il mondo non può cambiar’ e, arrivati tutti a una certa triste età, quella della cosiddetta ragione… fottuta, di stagna temperatura per pararsi ognuno il culo e a campar’ tirarsela bevendo il Campari, affondano i nostri sogni più vivi e reconditi di fantasia che fu lungimirante, da luminari col cervello e gran anima, qui invece affogata da ogni (fanta)scienza, da questo vostro patetico dir ché fra il farvi c’è di mezzo il mare, annacqua di tenuta bruciata, e non si guarda più con speranza alle stelle, bensì a lor, adesso meteore impazzite arse vive, si rivolge lo sguardo melanconico e oramai indurito, amareggiato e attraccato al porto cheto delle perdute chimere da borghesi mangioni sol frivolezza e frittelle alla marina(ra)… Mariniamo ancora, miei prodi, contro tutti i proci e i porcelloni, ammainiamoci da puri ché non gradiam gli gnocchi di patate né le patatine e neppure il purè, meglio i polentoni, noi, alieni nati. Sono io come Ulisse di Joyce, e farnetico più avveniristico di ogni Odissea di Stanley e di Omero.

Non ci farete a polpette! Noi v’insaccheremo, evirandovi il salsicciotto e poi spargendo altro veleno così come voleste impunemente violare, violentare il nostro lindo pasto nudo con pasticcini e carnali cene orgiastiche. Ostrica! Marinaie, cingeteci di salvagente su vostri baci alla scaloppina perché abbiam smarrito le scialuppe e vogliam far(vi) acquolina… in bocca da tutte le par(e)ti, rompendo gli iceberg delle vostre resistenze già sciolte in nostre effervescenti pa(de)lle. Anche tu, vecchia gallina, vai bene al nostro d’amore esser pene…, tutto fa brodo. E, se sarà cattivo/a, basta infilarvi il dado perché mai ci strozzerete nella vostra dimensione materialistica da culi alle braci(ole), basta con Il cubo di Vincenzo Natali, e tu bambino sei ora cresciuto per sapere che non ti basterà risolvere l’enigma di quello di Rubik se vorrai regredire, dunque evolverti da feto galleggiante come in 2001… di Kubrick. Di nuovo costui! Se giocherai un altro po’, finirai più cesso di prima, cagando storto ogni altro tassello delle tue scelte sba(di)gliate. Vai, bidone, a raschiar il fondo del barile tuo da faccia da ebete, di fece…, addobba il tuo abito che (non) fa il mon(a)co e il tuo appassito abete. Tu, invece, bella bambina, dove abiti? Ecco il mio cellulare, nonostante tu abbia un po’ di cellulite, so che il mio uccello con te sarebbe grasso, ops, volevo dire grosso. Eppur ti farai, pur se sei una merda nel tuo (non) facendo un cazzo.

Sì, in questa tua riflessione improduttiva, sei più prolifico di quelli che si spaccian per fighi. E basta vergognarti perché vuoi scoparti, com’è giusto che sia, una sana e selvaggia indiana da toglierle la foglia di gran figa. Rispetta però la fila e, quando sarà il tuo turno, mira da piccolo grande uomo alla Dustin Hoffman e non aver fifa. Senti come brucia… Cosa posso dirvi? Gli an(n)i passano eppur si muove… Galileo Galilei? No, il cedrone mio gallo in mezzo rotante come la Terra attorno al Sole, cioè la mia focosa donn(ol)a. Talvolta dondolo, (in) altre son nano come Mammolo, ma mi piaccion le mamme(lle). In quanto non so se uomo ma certamente un uovo di Colombo che ficca l’alzabandiera alla conquista di inesplorate zone forestali del pianeta femminile. Io mi farei, sì, Cenerentola, nel darle il cero(tto), ma anche la strega, nonostante la sua brutta cera. Sì, una volta gran tocco lo era. Adesso manda il malocchio eppur basta ritoccarla e tornerà da fav(ol)a. Ad alcune non riesco a piantarlo, e mi lasciano con un calcio piazzatissimo sull’urlo “Così, la pianti!, Ora, piangi!”.

Eppur si va a fanculo, oggi sognando Venere e domani ingoiati come figli di Saturno.

Alla Luna, ragazza volubile e lunaticissima, che te le fa girare come poche, costringendoti alla stitichezza sessuale, da cui la gastroscopia dovuta al mal di fegato di non essertela scopata nonostante l’oroscopo promettesse ottime congiunzioni d’allineamento accoppiante-copulando stai attento a non generare un figlio nato sotto una brutta stellina, ho sempre preferito il mattino perché rosso di sera forse una bionda si sper(on)a e che Dio la mandi bona. Altrimenti, poca sborra e diamoci a tutta birra!

Buonanotte e sogni d’argento, perché è meglio arrivar secondi su una nuova galassia. Almeno, non corri il rischio di trovare un’aliena che t’inculi senza testimoni oculari. Poi, nello spazio, vigono altre leggi da Star Wars.

Dunque, che la forza sia con te. E con il tuo spirito.

Andate, figli di puttana, in pace et amore, mi aspetta un’altra giornata con poca roba nel frigorifero.

E, gelandomi, dimagrisco su faccia da yogurt troppo cremoso per poter anche rivendicare la sua scadenza.

Al banco dei salami non mi svendo!

Sì, non mi sono mai evoluto da sapiens sapiens, sono rimasto una scimmia, ma le donne amano la mia banana.

Ce la vogliamo dire? Molta gente guarda a Interstellar ma non osserva il suo intestino.

Ho detto tutto…

Di mio, mi gratto la pancia ma non ho la piena panza, miei panzerotti.

Evviva i Pampers.

Sì, sono un papero pachidermico, spellato, senza derma. Non fumo però l’erba.

Io non valgo nulla ma non giro cazzate come questo Nolan, miei boni a tutte.

 

Once Upon a Time in America (?)

Per non impazzire dovevi non pensare che fuori c’era il mondo, proprio non pensarci. Dovevi dimenticarlo. Eppure, sai, gli anni passavano sembrava... che volassero. Strano ma è così quando non fai niente. Ma due cose non riuscivo a togliermi dalla mente: la prima era Dominic, quando prima di morire mi disse “Sono inciampato”. E la l’altra eri tu. Tu che mi leggevi il “Cantico dei Cantici”, ricordi? “Oh figlia di principe quanto sono belli i tuoi piedi nei sandali”. Lo sai che leggevo la Bibbia tutte le sere? E tutte le sere io pensavo a te. “Il tuo ombelico è una coppa rotonda dove non manca mai il vino. Il tuo ventre un mucchio di grano circondato da gigli. Le tue mammelle sono grappoli d'uva. Il tuo respiro ha il profumo delicato delle mele”. Nessuno t'amerà mai come ti ho amato io. C'erano momenti disperati che non ne potevo più e allora pensavo a te e mi dicevo: “Deborah esiste, è la fuori, esiste!”. E con quello superavo tutto. Capisci ora cosa sei per me?

Per non impazzire dovevi non pensare che fuori c’era il mondo, proprio non pensarci. Dovevi dimenticarlo. Eppure, sai, gli anni passavano sembrava… che volassero. Strano ma è così quando non fai niente. Ma due cose non riuscivo a togliermi dalla mente: la prima era Dominic, quando prima di morire mi disse “Sono inciampato”. E la l’altra eri tu. Tu che mi leggevi il “Cantico dei Cantici”, ricordi? “Oh figlia di principe quanto sono belli i tuoi piedi nei sandali”. Lo sai che leggevo la Bibbia tutte le sere? E tutte le sere io pensavo a te. “Il tuo ombelico è una coppa rotonda dove non manca mai il vino. Il tuo ventre un mucchio di grano circondato da gigli. Le tue mammelle sono grappoli d’uva. Il tuo respiro ha il profumo delicato delle mele”. Nessuno t’amerà mai come ti ho amato io. C’erano momenti disperati che non ne potevo più e allora pensavo a te e mi dicevo: “Deborah esiste, è la fuori, esiste!”. E con quello superavo tutto. Capisci ora cosa sei per me?

 

di Stefano Falotico

 

C’era una volta…

Perché essere pleonastici e spendere abusanti parole nei riguardi dello strepitoso, immenso, magnificente capolavoro di Sergio Leone, C’era una volta in America?

Mi parrebbe, questo sì, enormemente sbagliato. Oso dire perfino delittuoso, criminoso quanto questa trama, tanto complessa e stratificata, da elevarsi oltre la mera fotografia di un’epoca da gangster story…

Tutti l’abbiamo visto, rivisto, forse anche odiato perché, quando si superano i confini della superba, immaginifica visione oltre…, l’ammirazione, già sconfinata, valica l’inespugnabile vetta che non devi toccare…

Apice sibillino, calice divino!

 

L’abbiamo idolatrato in ogni sua versione, rieditata, d’extended cut riemersa in gloria con le scene eliminate e aggiunte nel montaggio “postumo”, ridoppiato in tante voci, che non sappiamo quale ci piace di più. Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta d’una vastità opzionale da lasciarci esterrefatti, quasi sconvolti, lubrificati ancora e poi ancora, immemorabilmente stupefatti, danzanti a sua ipnotica vetustà e dinanzi, inchinati, splendenti, illuminati alla luce mai affievolitasi della bellezza sua tanto abbacinante da “pietrificarci” come una sindrome di Stendhal idilliaca di nostro sguardo imprigionatosene… di eternità a era eterea da giovani in queste nostre trasformate età.

Da un romanzo di Harry Grey, “The Hoods”, ecco il capolavoro assoluto di Leone che, in circa quattro ore abbondanti, enuclea tutta la poetica della sua “breve” eppur interminabile opera omnia.

 

Una filmografia come poche, con pochi titoli, è vero, quella di Sergio Leone, ma son titoli così, appunto, stupefacenti e innovativi, coraggiosi e poliedrici, che (non) bastano siano “sigillati”, racchiusi nel lunghissimo minutaggio di Once Upon a Time…

 

Una fabula con continui stacchi ed esuberanti, vivi, temporali stacchi, tra flashback, fermo-immagini al ralenti, un perenne play emozionale fra un mettere in rewind, “ripensarlo”, rivederlo instancabilmente, soffermarcene incantati, anzi, “incatenati” nella luccicante “leccornia” d’un flusso stordente d’immagini “ballerine”, da fumatori d’oppio nell’ebetudine saggia a noi avvinta senza tregua, senza scampo, a “perdifiato” negli occhi stanchi e così suadentemente sempreverdi del perdente antieroe per antonomasia, il “loser” che nessuno dimentica, che tutti amano e ameranno alla follia sinché morte non ci s(e)pari, il combattuto, tormentato, erroneo, bigger than life… Noodles.

 

 

Il resto è poesia, è Proust ricalcato nell’ottica di Leone su “tagli” magmatici e plumbei, notturni e traslucidi di Tonino Delli Colli, è l’amicizia che imperturbabilmente si rovina, si squaglia, si punisce, si martoria, la vita che cambia, che invecchia ricordando la purezza dell’infanzia, è il crogiolo di questi infami senza lode, senz’arte né parte, è Deborah che balla nella nostra mente, nel nostro “stupro” che ancora fortissimamente ci violenta, ci ammanetta alla rinomanza dell’esistenza, nel suo yesterday (im)possibile, frenetico, poi languido, riflessivo, senile, senz’anagrafe o stazione in cui sostare, la vita che assesta batoste e pugni dalle ferite più lacrimanti ché nessuna carezza ammorbidirà in quel… sono andato a letto presto che, senza parole, a sua estasi, svanita e vanitosa allo stesso tempo…, c’arresta…

 

Il grande Lebowski legge Pippo e il pesce magico…

Lebowski

di Stefano Falotico

Da sol(it)o (ig)noto “balordo” ma non (s)porco, alla Tim Roth di Pulp Fiction

Una delle mie esperienze più tumefacenti la mia anima illibata, prelibatissima, ambita, rarissima e pregiata, fu imbarcarmi nelle teorie “psichiatriche”. Insomma, di come quel matto impotente di Freud attentò al mio “uccello” sguinzagliato connaturatamente e volle imbrigliarmi, a causa dei fedeli suoi “adepti” di cul(t)i borghesi, nel friggermelo in pa(de)lle. Ma, da quel pantano, così sfiorato in cui rischiai d’affogare come un “salame”, il mio salatino, ah ah, si disincagliò ancora una volta, perché è leva che sempre leverà le ancore e non si svende per “be(lant)i” balli “ululanti” da strappa-mutande. Tagliatemi il cetriolo, orsù, miei orsi! E, dato che sono “debole” e “malaticcio”, pallido in viso, datemi pure da volgaroni, quale siete, dell’ossobuco. Datemi del dolce again, sono da “bagnare” al liquore, miei da “cuoricini” soffici d’ipocrisia mielosa. Vivo con mamma e papà perché mai essiccherò il mio pregnante non voler ingravidar nessuna e dunque accasarmi da domeniche “al bacio”, con la partita di Calcio da potassio d’uomo “duro” che ammira dei coglioni nel prender a calci il pallone di “rete” sociale diarreica come l’indigestione di babà e pasticciacci tutta la settimana. Eh no, il “mio” non transige, e non va… mercificato per far sì… che si (con)ficchi con tre marce fighette stagne. Già m’avvicinai a questa fase “colante” quanto delle mie sognatrici lune calanti, e stagnai in una pozzanghera limacciosa d’una donna spos(s)ante che volle violentemente “farmelo”, profumandomi, ah ah, di dopobarba Fahrenheit per “aggradarmi” come un militare della “Fiamma Rossa” a sbarbato mo(de)llo Big Jim per la sua Barbie ascoltante canzonette sfigate cantate da cantanti “figaccioni”, senza “fifa” ma da fili tardo(ne)-adolescenziali, dalle gole di “golosità” invero leccante soltanto le sceme adult(er)e all’arrabbiata con contorno di acidità… su spruzzatine dimagranti d’insalatiere smaltanti da lavapiatti bagasce. Si, da darle una “botta” in pancia di secca ascia! Ed è per questo che mi identificano col Bruce Campbell del “reparto ferramenta”, Ash! Uno che con le donne è “delicato” come il DASH! Eh sì, questo “Belpaese” n’è florido, una fauna intestinale, femminea da batterio e “coperti” di batterie e stoviglie perché, si sa, l’ex casaling(u)a oggi è donna in carriera e usa il “detergente” di carta straccia comprata da laureata su risata “pulitissima” d’emolliente in sua lavanda(ia) gastrica “emancipata” di monologhi da frust(r)ata della vagina nel cucinotto speranzoso di maritarsi con un buon “partito” da finta (eh sì, finge a di-letto del suo cucinato “buongustaio” che la limona grazie alla liquidità…) sinistroide, lavoratrice di scopa e aspirapolvere ogni verme strisciante come me “insaccante” e poi, dopo l’inchiappettata, rosolandomi in patatine di più sal(s)e.

Non so se avete mai letto la fav(ol)a di “Pippo e il pesce magico”. Mi fu regalata in innumerevoli co(rnuco)pie dai miei zii dopo che, da bambino, svenni vicino al lavandino per aver ingerito del “veleno”, cioè una marmellata da me troppo (r)osata di linguaccia già all’epoca sbocc(i)ata. Sì, tale libricino veniva venduto dall’edicolante sotto l’ospedale e i miei zii, molto “fantasiosi”, essendo l’unico regalo disponibile (non) adatto a un bebè ricoverato per indisposizione, già a quei tempi in lotta col suo fegato da “stronzone”, pen(s)arono bene di comprare tutti il medesimo presente.

All’epoca, non avevo ancora iniziato le elementari ma, come detto e spu(n)tato da dentini da latte già in mio licantropo, ero molto avanti e sapevo già leggere. Non potevo però prevedere la marmellata andata a male per colpa di quella scaduta garzona degli alimentari! Sulla confezione c’era scritto “Ottima confettura”. Cosicché non avevo scusanti e, finita una copia, leggevo l’altra per appurare se le versioni erano “cornute” o combaciavano solo nei fac-simili con apportate modifiche.

No, erano copie perfettamente identiche, create da quel “falsario” delle innocenze di nome Walt Disney. Uno che abusò degli animali, rendendoli antropomorfi, cioè impressionando le purezze infantili nel già prospettar loro la vita (dis)umanamente bestiale, per farli… adattar precoce(de)mente alle suzioni delle milf alla Nonna Papera.

Quella… non me l’ha mai raccontata savia, nonostante girasse da “santa” di piagnisteo di salviette “a portata di mano”… da “smanettante” vecchietta caritatevole verso le Giovani Marmotte, dispensando loro i “biscotti” dell’allattarli nella già (av)venuta… corruzione di massa(ia).

Da cui la “bona” ex che, “crescendo(li)”, è oggi tutta “rotta”. Che notti!

Ebbene, torniamo al gaglioffo Pippo, un “gufo” forse buffo, un po’ goofy e un po’ “cagnolino” che ti manda “placidamente”, sogghignandosela da nasone, a fancul’. A dimostrazione che la fiaba di Pinocchio è ancora imbattibile, previo battone alla Fata Turchina, la migliore, non ci son cazz(ar)i che tengano.

In “Pinocchio” v’è racchiusa in sintesi (clorofilliana e antibatterica, appunto) tutta la vita “adulta” da giardini ammuffiti. La storia di uno di legno, che vien obbligato alla “crescita” perché un giorno diventi un maiale come Mangiafuoco, si vizi di carne arrosto e canne… fra i Balocchi con Lucignolo, e impari a rubare “onestamente” come il Gatto e la Volpe, dall’“alto” dell’“autorità giudiziaria”, per niente giudiziosa, guadagnata da barzellette sui carabinieri come la nostra facile… Italietta che giudica… Molti, sia ben (in)teso, difensori sani dell’ordine sono, altri solo cattivi tenenti dal “potere” ricattatorio e “leguleio” di manganelli.

In questa favola, Pippo se ne sta per i fatti  e “falli” suoi a coltivare il suo orticello, metafora che per vivere felici basta crearsi il proprio spicchio d’or(z)o. Da cui il caffettino senz’amarezze da troppi “coloranti”. Ma, durante una delle sue (s)battute di pesca, “rinviene”… una sorta-“sorca” di squalo… tentatore come quel Lucifero nel Deserto satanico della parimenti parabola cristologica che i nostri catechisti già ci fecero imparar a memoria per poi farci…vedere, una volta maggiorenni, quello secondo Matteo di Pasolini. “Ostia”… che “bott(an)a”, non solo la Maddalena, porca M… onna!

Altro che litorale di “s(c)andali” nelle “formative” storie bibliche, tutte le nostre certezze manichee oscillarono in bilico, e da allora cominciammo ad assurgere in “Osanna, Santo Cielo!” d’abbisognanti, non tanto più sognatori, più in culo… e incluse cure psicologiche crocifiggenti e fummo addormentati a base di Litio da monchi… di clausure previo la monaca di Monza. E si scatenò contro Iddio la lite! Piovvero le rane di Magnolia!

Sì, Pippo viene circuito dal pesciolone che gli mostra, in modo “paradisiaco”, come sarebbe la sua vita se avesse più possibilità. Quella di un “adorabile”, “sacro” mostro! Prima, gli fa credere di essere il Re del mondo ma Pippo gli risponde che non crede ai messia, tantomeno a Gesù di Nazareth né ai politici che promettono, da Montecitorio, al pollo popolino la moltiplicazione del pane e dei pesci, appunto. No, quelle… son solo “buon(ist)e” (pro)mess(alin)e da festini per darci solo più “pene”.

Al che, stufato da quell’infermiera che, anziché medicarmi, s’attardava nel ripostiglio col medico e il suo “segreto deontologico” dal camice “intonso”, come Arancia meccanica docet di fredda doccia per stomaci “forti”, m’alzai san(t)issimo appunto a maniera di pesce non fritto, nonostante qualche inevitabile f(r)itta(tata, e fui salvo dalle grinfie di quegli abissi “taumaturgici” da volerti (ar)rendere sol “ometto” di più “traum(atologic)i”.

Eh penai ancora per molti an(n)i, sinché a una certa età compresi che la mia vita, in questo mondo corrotto sin all’osso, da attimo fuggente di coglier tutto il “midollo spinale”, sarebbe stata solo la “povertà” esteriore da Big Lebowski, con tanti “sogni” da “bandito” alla Tim Roth credibile quanto un’inculata tremenda eguale a quella che rifilai allo psicologo e a tutto il suo reparto.

Da cui il film The Ward del grande John Carpenter!

Molti credono che io sia un genio. Io credo che loro abbiano torto. In fondo, essi vivono… io non “ho una vita”.

E sulle mie ragioni potrebbe illuminarvi un “luminare” che è ricco da “matti” solo perché sa riempire il modello 740 a mo’ burocratico più “furbo”.

Ho detto tutto…

Se non ti sta apposto e “composto”, chiama l’ambulanza. Per darmi un T.S.O.? No, perché è l’unica tua speranza prima del carrozzone… funebre.

Al massimo, pigliatelo di supposta!

Che tristezza…

E, come Benigni-Pinocchio, davanti a una (s)vacca(ta, permettetemi di urlarle “Lei mi turba!”.

Previo “controllo” agli organi di controllo preposti ai miei genitali.

Comunque sia, i miei genitori mi amano.

Se non fosse per loro, oggi sarei ancora al centro di salute mentale perché gente che, a differenza di me, non ha mai scritto un libro, mi giudicò prim’ancora che oggi mi trovassi con molte opere all’attivo e loro puniti da passivi. Da cui le lor (v)u(l)ve passere, il passeggi(n)o, oh, che bel paesaggio da mus(e)i degli orrori e la brutta cera dopo il passato di verdura perché quello squalo voleva avvelenare la fagiolata di Pippo, promettendogli in cambio prestigiose, ah ah, cenette!

Ah, non si preoccupassero del mal di testa e del dolorino, ah ah, ai “testicoli” da “uomini” con le “palle”. Chi la fa, l’aspetti.

In sala d’aspetto, date a quel “signore” la pensione d’invalidità.

Sono cattivo?

No, sono un cazzone…

Se tali ipocriti non “digerirono” il mio cartone sbattuto a muso duro, dite all’infermiera loro di sintonizzarsi sui cartoni “animati”.

Previo reparto d’animazione…

Scusate(mi), non ho mai tollerato le (im)posizioni… fasciste!

 

Racconto di Natale d’inizio Maggio, forse sono il nuovo Charles Dickens…

A Christmas Carol

di Stefano Falotico

A volte, me la racconto da russo siberiano, in realtà, anche favolistica, con mio grande rammarico e al contempo immane gioia, ho scoperto di essere Ebenezer Scrooge

Quello alla Jim Carrey dello zemeckisiano A Christmas Carol.

E la prendo a ridere, (rim)piangendo solo i miei sba(di)gli (in)volontari delle “violente” esperienze addoloranti ma sanamente (dis)istruttive, rierto in piedi, sopravvissuto dopo molti infam(ant)i colpi, “senilità” mie precoci ricercate da “wanted” del mio scomparire e riapparire più bello dentro e anche più figo fuori, ritorni al futuro ancora in tempo anche per pigliarlo in quel posto un’altra volta com’è (in)giusto che sia “normale”, fuori tempo massimo per “tirarmela” da trentenne triste alla Gabriele Muccino ché l’ultimo bacio lo darò quando sarò spossato in quanto io giammai mi vedo ancor sposato e dunque invecchiato d’amori borghesi, più giovane dei miei oramai “ingobbiti” coetanei perché nell’animo sempreverde mi sento più che mai vivo. E come sarà il domani? Sarà quel che fui, fiuterò, ancora d’altri rifiuti non sarò un impeccabile cane da tartufo “pregiato” ma, vivaddio, annusando anche i miei errori da perenne cavaliere errante del mio destino da mastino, combatterò sino alla morte in Mandela invincible. E questo piacevole, gagliardo, euforico sentire, mi congiunge serenamente a un mondo qui a me riconciliato(mi), che tante volte disprezzai per pura superbia e me ne distaccai da straniero camusiano su linee d’ombra (dis)incarnate nel martire-eroe Travis Bickle di noi altri… Ancora qui a “orgasmizzarmi” per sbarcare il lunario e credere che il plenilunio mi renda fantasioso come un amante rigoglioso e grintoso, d’ululato cinefilo alla Joe DanteBugiardo bugiardo perché crescere non significa rincoglionirsi ma darsi più valore nelle chance da Yes Man, optando talora per il mio “infantilismo” protett(iv)o da The Truman Show in cas(c)o mi perda di nuovo in tante personalità da meccanismi d’autodifesa simil Io, me e Irene. Molta gente, ascoltando la mia voce, l’accosta, quando sono brillante, meno fumatore e quindi roco d’ugola da “carta vetrata” nelle (mie) corde…, a quella del compianto doppiatore di Jim Carrey, appunto, Tonino Accolla. E talora m’impigrisco alla Homer Simpson, spaparanzandomi sugli allori del mio “pensiero debole” nel qualche volta imbolsire di troppo lasciarmi andare e trascurarmi in barba incolta eppur accavallando le gambe sul divano (s)comodo.

Ebbene, vi racconto questa. Stamane, dialogo con un mio amico su Facebook. È stato un piacere (ri)sentirci, temevamo entrambi che, con la maturità, non (ci) sentissimo più. Sapete… quando passan gli anni, ci s’infreddolisce nell’animo e si diventa spesso egoisti o, peggio, aridi. A noi questo non è capitato, perché siamo eternamente capitani…

Ci conosciamo da tempo “immemore”, eppur dal vivo non ci siam mai visti. Ma siamo vivi, siamo poco tromboni da chiacchiere e “adult(er)o” vin(ell)o…

Lui mi chiede solo ora dove abito. E io gli rispondo che “staziono” nella periferia di Bologna, in un quartiere oggi tranquillo nonostante qualche trascorso, dalle mie parti…, criminoso. Gli narro delle tristi “imprese” della Uno bianca che un ventennio fa spaventò il nostro “vicinato”, prima che identificassero i loschi suoi “guidatori” e li arrestassero per direttissima da ergastolo sacrosanto.

Di come, quando giocavo a calcio, un mio amico delle medie, negli spogliatoi ce lo fece diventar “duro”, riferendoci che consegnò la pizza d’asporto al Marco Dimitri dei Bambini di Satana, anch’egli residente in zone nostre limitrofe. Della serie… sfatiamo, come Roman Polanski, questi “falsi” miti della cronaca nera e infanticida.

 

Io e il mio amico di Facebook ci scherziamo sopra.

 

– Ahah. E, quando Dimitri l’ha accolto per dargli la mancia, che gli ha detto? Benvenuto in mia casa come Gary Oldman del Dracula di Coppola? Ah ah.

 

Eh sì, anche gli adoratori di Lucifero mangiano la pizza capricciosa con la pummarola al “sangue”. Incluso il sovrapprezzo della mozzarella.

 

Questi divertenti, “angosciosi” aneddoti, mi fan capire che essere un “coglione”, quale sono, è cosa buona e giusta.

Viviamo nella solita Italietta che mai cambierà. Se uno, come me, è sempre (in)sicuro, gli si dà oscenamente del Fantozzi. Dicasi, appunto, stereotipia dei più superficiali e cafoni luoghi comuni. E questa è repellente idiozia di massa.

 

Così, se uno come me ascolta “The Ghost of Tom Joad”, gli si dà del “Povero sfigato, mette in stereo Springsteen e le ballate da rimbambiti, scemo, scemo, scemo!”.
Che ridere, eh?

Di mio, preferisco mantenermi sano di mente, a costo di avere molti rimpianti. Sempre meglio che farsi passare per figone e poi andare da Cesare Ragazzi per tener su l’impianto…

Sì, sono uno che al bar offre ai bambini le caramelle e poi ordina un cappuccino mentre i miei coetanei mi prendono per il culo perché vorrebbero solo “zuccherare” la barista in battute di (in)dubbio gusto. Ma sono quelli dolci e leccati, si capisce.

Poi, torno a casa, e mi ricordo che “David Copperfield” non l’hanno letto in molti.

Si riempiono la bocca, millantando di conoscerne ogni passo a memoria. Credo, invero, che non si spinsero oltre paginetta due. E oggi leggono al massimo le previsioni meteorologiche per sapere se domenica possono andare tutti al mare con le chiappe chiare…

Che volte farci? Se mi chiam(an)o Il Genius, un motivo c’è.

Comunque, questa mia vita è un’Odissea alla James Joyce. Sempre meglio avere il proprio tallone d’Achille che non sapere cos’è l’omero e pensarmi un uomo “amaro”.

Jim Carrey Zemeckis

 

New York, New York, recensione

New York De Niro

di Stefano Falotico

Sempre più solidi, Scorsese e De Niro, dopo Mean Streets e Taxi Driver, collaborano ancora per questo insolito musical nostalgico… una sarabanda di colori saturi, un film (sovra)impresso nella malinconia purissima come le gambe sciolte d’una Liza Minnelli d’assoli indimenticabili, scoppiettante come la frenesia d’un De Niro, appunto, sorprendente, che ammicca di neo suo celeberrimo stuzzicando il sassofono nella smorfia travolgente dell’eterno corteggiatore un po’ imbranato e un po’ spaccone da gaglioffo irresistibile. Tutto ha inizio nella pirotecnia fluorescente e quasi psichedelica d’una enorme sala da ballo, d’una festa piena di dame un po’ tristi, un po’ puttane, un po’ “malelingue” di sex appeal fra gonne lunghe che sbuffano tra sigarette decadenti e la voglia impagabile di far l’amore col primo che a lor si presenterà originale. Perché da molto tempo non trombano e hanno le iridi degli occhi velate dal capriccio tipico d’una “mestruazione” durata troppo a lungo.

Si celebra la resa del Giappone in questa notte variopinta del 2 Settembre del 1945. E Jimmy Doyle (De Niro), arrapato come non mai, si guarda attorno e posa il suo sguardo sulla sola soletta Francine Evans (Minnelli). Lei è una cantante di gran risma, di voce unica e intonata già alle corde armoniose del sovrano amore librante nell’alto dei cieli, lui uno sfigato semi-spiantato che non la pianterà un istante.

Ci gira attorno… e pian piano l’adesca con far mandrillo di suo sorriso esuberante, sfacciato e di camicia sgargiante su strizzatine ero(t)iche da balordo bello e impossibile. Un po’ stronzetto, un po’ cafoncello, eppur molto bravo come sassofonista, oltre a suonarsela… e cantarsela, arrivando, dopo mille peripezie e sani schiaffi in faccia, a sposarla e regalarle un matrimonio da favola. Di loro, in giro per gli states, con la jazz band d’ordinanza e le melodie “corazón” di due oramai promessi sposi finché morte non li separi. Eppur la vita avanza, il sentimento “stona” e i cuori lentamente si sfibrano, come sovente accade. Lui le tenta tutte per riconquistarla ma sarà solo una notte di dolce addio, con una grandiosa, soffusa serenata vicino a un fievole lampione impregnato della luce scolorita del loro amore purtroppo svanito o forse talmente tougher than the rest da preferir il mai più… come un corvo alla Edgar Allan Poe, una finestra che profuma d’ultima tentazione…,del passo stanco, affranto di Jimmy che le concede il suo struggente ultimo valzer… e poi, forse piangendo, si congeda nel ricordo di quel che già fu, di un’altra era, di una Once Upon a Time in America prima del suo Noodles di Sergio Leone.

Gershwin fa capolino a monumentale capolavoro imperfetto, troppo lungo, troppo tagliato, di tante versioni restaurate, corrette, di Scorsese indeciso di vari director’s cut perché troppo, probabilmente, innamorato della sua Liza da poter troncare, spezzare il flusso anche esagerato, prolisso dei suoi primi piani adoranti, pedanti, eccessivi, retorici, oltre l’immaginazione dell’amore e del ventaglio alla pavonessa Liza.

Ma rimane un bel vedere e la fotografia del mitico  László Kovács fa il resto di brio lucente.

Come non magnificarlo, nonostante i grossi difetti.

New York New York

 

 
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