Al Pacino dice no ai pisellini, egli è come Pasolini! Buon sonnellino, miei falsi f(i)orellini!
Firmato Al Pacino, cioè Stefano Falotico
Le profezie di Pasolini, purtroppo, dico purtroppo, si sono sciaguratamente avverate… vi avvisò ma non l’ascoltaste e la cattiva coscienza l’ammazzò impunemente
Impugno la mia bandana da scritti corsari e, sguinzagliandola, non tengo a freno il “laccio emostatico” della sanguigna frenesia che, nei suoi stremati filamenti, recide la mia giugulare solo per tagliarla di piccole ragadi rabbiose, giustamente sacrali a radici amniotiche della mia pretesa, combattuta diversità temuta. Per quanto s’affannarono a volermi cambiare, mutare non posso ed è un mio volere potere ma non volere. Invertendo il detto stupido “Voglio ma non posso”. Perché vivo da sempre a modo mio e chi rompe sarà (cor)rotto più di quanto si ruppe. Chiaro, invertiti? Non provare a corrompermi, faccia da stronzo.
Quando ha avuto inizio tutto questo? (Righteous Kill)
Cito il film Sfida senza regole di Jon Avnet, non a caso. Che poi sia brutto come i “critici” l’annacquarono di superficiale ottica da miopi-tonti-topolini, è forse colpa della sua estetica registica da videoclip, in tal “tema” affiliata, sì, ed è un peccato riprovevole, alle modaiole esigenze di massa. Ma Al Pacino si ribella dal suo codice “morale” ed inizierà una taciuta e poi confessata guerra tutta personale, per il puro gusto appunto duellante nei confronti di una società cinica, omertosa, più cattiva dei “criminali” che blocca, ché poi sterza nelle chiacchiere al bar, ove c’è sempre un uomo, come me, che trangugia soffice e (ri)posato caffè “triste”, accavallando le gambe nel fumarsela di tutto (retro)gusto, tetro per voi, per me più alcolico dei vostri “bei” balli euforici di ‘sto paio di palle, da voi sempre esibite da tor(n)i (in)dotti a causa delle balle che di frivolezza stantia vi raccontate. Ah, che puzza questo acquedotto! Va spurgato e nessun Purgatorio come sconto! Un giorno, miei (I)cari, si tira a campare, bevendo il Campari, domani camperete sulle (s)palle di un altro, porgendogli un finto “(mal)occhio” caritatevole a dissimulare che, invero, nutrite orrore nei confronti di ciò che non capite e a cui “offrite da bere” la “colazione dei campioni”. Fottetevela e mangiatela alla sveltina…, avete sempre scopato così, con l’anima dei porci.
Ciao, sono Rooster, della squadra omicidi. Sono un eremita mascherato da poliziotto, volpe, lupo ma attento lupetto dei miei stivali, da italiota qualunquista qual sei a (non) quagliare, e al contempo vivo da “coglione” alla facciaccia bruttissima vostra, un cagone come pochi che vuol sol mangiarsi la pagnotta senza rotture di cazzo di fighi e figotte, preparo la mia pasta al sugo di tutto “pugno”, insaporendola, lontano dalle vostre rancide ricotte, con la mia voce arrochita da splendido farabutto, filibustiere che però si tien superbamente fuori dalle vostre stolte competizioni. Se vuoi (in)castrarmi nei tuoi giochetti (a)sociali, ti pianto una pallottola in mezzo ai tuoi (quattr’)occhi, così, da “avvenente” con lo strabismo di Venere, tanto apprezzato dalle tue cretine ragazzette sbavanti per il tuo cazzetto, oh mio cazzone, imparerai la lezione di Saturno che divorò proprio te, figlio di puttana. Un foro e poi potrai scrivere, dall’Inferno-“forum” in cui t’ho spedito senza ricevuta di ritorno, le memorie dall’aldilà dell’averti dato un sonoro e a me “sereno” calcio volante in culo. Sì, facci un grande post(eriore), trombone! A mio (im)modesto parere, me la faccio piacere come sempre mi parrà, anche sacrificandomi per un gesto ultimo perché adoro i kamikaze.
No, parliamone di questa società. Tentò di spedire in manicomio le persone che volevano farsi un quintale di cazzi loro perché, moralisti-giudeocristiani di merda, non amano chi si fa le seghe, soprattutto se sono mentali, vi leggono in ques(i)to delle “allarmanti”, ah si capisce, “pericolosità” da probabili “pervertiti”. Ci chiamano alienati. Di nostro, fu uno sbaglio esser qua, in tal mondaccio, nati. Ma contro di me non si dovevano (o)mettere di bugiette, volendomi sedare con farmaci e bugiardini. Tacciono ancora il crimine e, in cuor loro, arido e putrefatto, s’augurano che mi spari il prima possibile, così li lascerò girare a piede libero e potranno, “tutti insieme appassionatamente”, condannare alla Passione un altro “povero” Cristo.
Con me non attaccò, sono io che li attacco alle loro responsabilità. In ciò mi distinguo da Gesù. I perdoni tardivi non hanno scampo, miei ladroni!
Nella mia vita da “peccatore”, concepito di loro non voler ostinatamente concepire come voglio vivere, vidi innumerevoli troie assolut(ist)e. Ed è tutta lor (s)fottuta salute! Buonanotte, mignotte!
Donnette sicule laureatesi solo per pararsi la panza, sposate a mariti da soggiogare peggio dei ragazzi che (dis)istruiscono in scuole di “ragioneria” come le Rosa Luxemburg di Bologna e “(af)fini” istituti da macellai di coscienze da insals(icci)are di patatine gnocche fritte e hamburger da bavosi, assediandole con le loro didattiche lezioncine da ex frigide con la montata… lattea da mule ora “adulte”. Eh sì, masticando i cracker sotto la lavagna, stuprando di gastriche lavande le meglio gioventù allo “scopo” ché tutti scopino da “perbenisti” bastardi coperti dal titoletto di studio da paraculi come lor “insegnano”, riscuotono lo stipendino e la tredicesima. Ma con me non fecero 13. Sono nato di Venerdì 17, porto “sfiga” a tali figaccie scriteriate. Sono delle feci.
E io ancora glielo faccio, mio fecciume!
Allora, preferirò sempre dire la verità, anche quando dico le bugie.
Mi chiamano Tenente Colonnello Frank Slade e questa cicatrice che vedi sul mio volto è il fregio di tutti gli “sfregiati”.
Dove cazzo vai? (Scarface)
Andate in tormento, questo è il mio Teorema, offerto in sacrificio ai vostri orifizi.
Poesie di Simone Osmari lette da Stefano Falotico
Profumo
Il tuo profumo
illumina ogni
mio respiro
trafugando leggerezza e vitalità!
Accendendo
tutta la mia vitalità
Vivendo senza
più nessuna pietà!
Giri intorno
alla mia vita
senza
essere però mai
un’ombra sgradita.
Mi luccica il viso
dopo averti rivista
dopo averti sorriso.
Rimane il desiderio
di vederti, ballare,
nuda su quest’altare,
di vederti
nuotare
nell’ambra
bagnata
gelata
da millenni storici…
Su nuvole gonfie di solitudine
con un aquilone per guinzaglio
come una vespa senza spillo
Periodo nero
Dati i suoi lunghi sospiri
ammaliati da cedro d’alloro,
dati i lunghi sguardi
persi nell’oceano
della sua triste speranza
repressi da cavilli tentatori e
da mille altre soluzioni…
Tesori imbalsamati da scheletri umani
pieni d’amanti,
con diamanti,
che brillano ancora:
nell’ombra della stessa verità,
nell’ombra della falsa verità,
nell’ombra della vostra fottuta slealtà!
Analisi Distorte
Come aria,
che taglia,
i già lenti imbrogli,
sospesi,
tra le notti
insonni e piene di incubi irrisolti,
di lanci
di scoppi
di risvolti e di botti.
Fermo da lontano ogni falso schema
che tenta di risolvere qualsiasi mio teorema.
Il lancio dei coriandoli
Nessun fiore mi hai fatto cogliere
dal tuo immenso giardino.
La terra dovrebbe così bruciare
Per aver rinnegato il nostro amore.
Prese di mira te,
già così debole,
gettandoti nel circolo vizioso della tua incoscienza…
Vera,
rimane,
l’assenza
che per sempre
veglierà
l’anima mia.
Pian piano i petali di rose cominciarono a parlare,
ma il vento si fece sentire ed io non capii…
ora sono morto, ora sono veramente morto.
Lacrimosa
Pensate davvero che i nostri tanti sforzi
Alla fine ci portino a qualche via d’uscita?
Percepiamo il nostro salario
accontentandoci
della miseria più misera.
Loro a caccia ogni domenica,
noi a spasso ogni mattina,
loro al Casinò di Montecarlo,
noi al bar di zio di turno
a giocare già al verde un’altra mano
pensando di vincere prima che la bufera dei debiti soccomba.
Tornare tardi a casa
più poveracci di prima,
dormendo grazie a fiumi dominanti,
che rasserenano la notte.
Corpi stravolti, fatti dai decibel drogati
Dopo ore di balli proibiti
Sudati, con le lingue addormentate
L’uno distante dall’altro come avvolti in un unico sballo.
Calice Piangente
Balbettano sensazioni biochimiche
nate da allucinanti viaggi cosmici.
Che puoi saper tu della vita,
che non hai mai pianto.
Che puoi saper tu della vita
che non hai mai goduto.
La mia voce è così
cavernosa e spettrale.
Agita la mente,
sta per scenderti
un getto velenoso su tutta la schiena.
Tutto quello che vedi,
è solo un’ombra affogata della realtà concepita.
Prigioniero di me stesso
Pianti infiniti accresceranno
il mio dolore per la nullità del tuo pensiero
Infinite bestemmie soffocheranno le tue orecchie e insofferente accetterai il tuo destino.
Chinato su questo tappeto già pulito altre mille volte dal vomito denso.
Questa poesia finirà mai?
Quando la gente dice che sei finito
Quando ti dicono che non sei più uguale a ieri
e ti senti stanco delle solite parole
Prima di odiare tutto quello che c’è in giro
mi farò un paio di bicchieri di vino
e dopo alcune sigarette lasciate a metà
forse
ti scoperò nuovamente…
Finirà prima o poi questa poesia?
Finirà prima o poi questa Odissea?
Bocca d’angelo senza vento e senza fiato
Mastica e sputa questa gioventù
senza ideali e né virtù
Come la sera di primavera
a casa non si torna
e un bacio si spera
Luigi cantava
il vero amore
Ma con troppo buio e con timore.
Per caso la vita
ci tradisce
masturbandosi sulle nostre disgrazie?
Portami in un giorno più blu
Dove tu sarai solo mia,
per lo più io ti leggerò come se tu fossi una poesia
e portami in un giorno più blu
dove tu sarai solo mia
per lo più ti leggerò come se tu fossi la mia ultima poesia.
I Miserabili
Il tempo che passa,
l’arrivo dei giorni
e il mondo che uccide le nostre menti migliori
per rendere omaggio a questo schifo di volgarità.
Dispersi nella notte
dormono di già
vicino a qualcuno che poi pagherà
tirano caffè a tutte le ore
e senza un vero perché.
Credo che il sole possa ancora amare
e che dovremo credere ancora nelle persone?
I progetti futuri di Leo DiCaprio
di Stefano Falotico
Credo che, come tutti, dopo la mania nei suoi riguardi scatenatasi da teenager troppo “(ri)bollenti” d’ormoni maliziosetti post “allagamento” di Titanic, nutrissi un’invidiosa, ammettiamola, malignità nei confronti del bel Leo. All’epoca era sbarbatello eppur a scioglierle tutte coi suoi occhi azzurri color “oceano efebico” da sex symbol adatto all’età acerba delle femmine in r(ic)otta di collisione con l’“iceberg” delle loro vogliettine capricciose a temperatura “stagna” solo se il calore sarà tenuto a bada nel “bagnomaria” della vasca con l’ochetta non surriscaldabile dal fringuello ché, dirimpetto all’appeal di DiCaprio, appunto, potrebbe prestissimo “c(r)ol(l)are”… a pru(gn)a nella sua trappola seduttiva d’attore iper-promettente sulla rampa di lancio.
Gli anni son passati e Leo, grazie al beneplacito di maestri come Scorsese, di grandi film ne ha girati. E non me le fa dunque più “girare” di gelosia perché son uomo che sa riconoscere il talento e, davanti all’evidenza inconfutabile della sua incontrovertibile bravura, è passato dall’altra parte, da “perfetto innamorato” così come lo furono quelle adolescenti in “brodo di giuggiole”. Sì, ammirando Leo, mi sento quasi giulivo. E questa giulività mi rende gioviale, amante… d’un attore oggi cresciuto ma forse ancor più affascinante. Perché la sua bellezza, maturando in ruoli dal portamento indubitabile di levatura artistica, ha assunto i connotati della grandezza indubbia.
E quindi, stimandolo a più non posso, a spron battuto, innalzo la sua cavalcata affinché la carriera sua gli sia sempre maggiormente fortunata ed elevata.
Mi scappello… a Leo e vi parlo dunque qui dei film in cui presto lo vedremo.
Bando alle ciance, d’invidia si muore e ci s’ammorba. Io non sono invidioso quando, ribadisco, che colui che ho di fronte è un campione di razz(i)a. Perché Leo sbaraglia la concorrenza e, a mio avviso, da tempo non sbaglia un colpo. Con buona pace dei detrattori di Shutter Island che, invece, è film altissimo. Forse, non è Shining, ma è molto più importante di quanto superficiali critici snobbarono, dimenticando la lezione di Hitchcock e di tanti “folli” visionari da corridoi della paura…, di cui invece master Scorsese è sia erede e sia monster di regale, omaggiante “piumaggio”.
Scorsese insegna enorme Cinema perché bene imparò la lezione, evviva il maestro. Leo è oggi, anche grazie proprio a Martin, comunque va sottolineato e non trascurato, attore adulto, non solo un “orsacchiotto” per quelle delle “magistrali”. Il ragazzo ha dimostrato che ha saputo reggere e battere… la competizione, come vuole il pelo… sullo stomaco….
Ma basta con le sciocche(zze), concentriamoci, e dico anche a voi, allocchi che ancora ostinatamente siete sfigati-sfegatati dal fegato appunt(it)o spappolato dinanzi a Leo ingelosente, golosoni… da “volpe e l’uva”, di ascoltarmi e leggere quanto segue. Basta con le vostre seghe… mentali e non a cercar appunto quello nell’uovo vostro da strapazzati. Leo è oggi un uomo e ancora lo dimostrerà, friggendo in pa(de)lla chi del suo carisma non è degno ma sol da cena di cretino s’abbufferà di pari cretine, vinello e non può ambir a essere il capotavola come Leo il divino. Né mai potrà. Impotente!
Ebbene, a Settembre girerà The Revenant di Alejandro González Iñárritu, la storia di un ragazzo, appunto, lasciato da dei morti di fame nei boschi dopo la caccia all’orso…, che si vendicherà in modo altrettanto brutale da Conte di Montecristo.
Perché tutto ciò che non uccide… rende l’uomo più forte.
Quindi, pare che girerà il biopic su Steve Jobs. Dopo che David Fincher ha deciso di abbandonare il progetto, per il quale aveva pensato di designare Christian Bale per la parte del compianto “geniaccio” informatico della Apple, la regia sembra che passerà nelle mani di Danny Boyle.
Augurandoci che non venga fuori un pastrocchio come la loro precedente collaborazione, The Beach, spero invece funzioni come l’unica sequenza “computerizzata” di quel film. Quando Leo vive un’esperienza videoludica…
Leo DiCaprio e la sua panza piena, che pena, più di quella insaziabile del lupo di Wall Street
Eccolo lì, mano nella mano in spiaggia e in riva al mare con la nuova biondina, il nostro lupo di Wall Street perde il pelo (anche se è sempre, a quasi quarant’anni, abbastanza glabro) ma non il vizio del “panzone”.
Eppur si vizia con questa nuova modella, che ha quasi un ventennio meno di lui, infatti è una ventenne con l’an(n)o in più di Leo, una “sfilatina” da sfilate Victoria’s Secret. Ma, da queste foto di “Vanity Fair”, caro DiCaprio, c’è poca vanità di cui (non) deve andar fiero di possedere.
Lei ha sempre avuto una tendenza all’appesantimento. Ma ciononostante è sempre capace di esser frizzante e anche leggero anche nei film cosiddetti “pesanti”. Sarà che a me piacciono i film da mangiar con gusto, le prelibatezze alla Scorsese. Che starà a voi sullo stomaco, alcuni detrattori non lo digeriscono e scrivono che da Casinò gira sol cagate da “lassativo”, a me sta invece perennemente al “tiramisù” come l’antipasto che non mi sfama. Già, anche ora che la filmografia di Martin è abbondante, aspetto il primo perché non mi accontenterei mai. Figuratevi il dolce che capolavoro! Sono un insaziabile di “bontà”. E mi faccio i tuoi cazzi, Leo. Mi stai facendo incazzare di oscillante peso tuo sulla bilancia.
Ti ricordi quando Martin ti obbligò alla cura dimagrante per la parte di Amsterdam in Gangs of New York? Lo giraste a Cinecittà e tu, Leo, appena arrivato nella Capitale, molti bucatini all’amatriciana ti mangiasti da animale… da set e anche da ristorante “Un americano a Roma” perché, come Alberto Sordi, quegli spaghettini ti provocarono e tu, appunto buongustaio, te li pappasti in quattro e quattr’otto più un quintale da smaltire d’addominali e corse di “complanare tra(n)s-Tevere”. Eh sì, correndo, diciamocela… anche i viados ti prendevano per il culo, urlandoti: “Aho, Leo, t’è venuto il panzon’!”.
Ma sei giovane, “crescerà…”.
In questi film, non ci stai dentro. Tendi allo sformato.
Gangs of New York: robusto, sì, efficace.
The Aviator: troppo dimagrito, sembra uno storpio.
Romeo + Giulietta: efebico, una modella.
Buon compleanno Mr. Grape: quando da bambini nessuno aveva problemi di obesità. Poi, mancando i soldi per gli alimenti, si beve e la panza va che è una bellezza. Una volta cresciuto, eh già, Grape berrà solo la grappa. E vai di grosse chiappe. Che chiatto, il fisichetto diventa sempre più solido, ah ah, di fiaschette. E, come tutti gli ubriachi, fischiettando va grassa.
Voglia di ricominciare: faceva bene a sgridarti Bob, mangiavi già allora troppa marmellata.
The Departed: in carcere le flession fan su e giù.
The Beach: ho detto tutto.
Una buona patonza questa nuova fidanzata ma spunta, caro Leo, di nuovo la tua panzona!
Al Pacino, 25 Aprile 1940, Happy Birthday!
vengo qui con questa mia a dirti che, con un giorno di ritardo, scusa, me ne ero vergognosamente dimenticato, ti porgo il mio omaggio di auguri, inchinato a tuo divin insegnamento.
Ecco la mia lettera. Mi chiamo Stefano Falotico. Tu non mi conosci, ma io ti ho visto dal vivo due volte e conosco da vicino i tuoi occhi. Molte persone ritengono che io e te siamo molto simili.
Abbiamo una voce simile e da giovane tu credo, Al, che mi hai rubato più volte la parte.
Ma ti perdono e ti concedo questo dono.
Al Pacino, un mito che continua ad affascinarmi perché vive di protervia, è superbo, incalza di voce, appunto, arrochita da una marea di caffè americani (im)bevuti di rabbia ancor ora che è “senile”. Aggettivo che a lui non si addice perché fieramente cammina con croce “tamarra” sul petto di capelli nerissimi con sfumato-brizzolato naturale di levatura attoriale enorme, che sa mescere l’enciclopedia sua mnemonica da Shakespeare imparato a memoria appunto per il suo Teatro anche tanto amato, da noi purtroppo sconosciuto tranne per i fortunati che son volati a Broadway per applaudirlo a scena aperta, alla vigoria di performer istintivo, dosando il tutto con la classe, anche spocchiosa, perché no, da (ex) povero… stronzo, come tutti, che s’è fatto il culo e sa il fatto suo per affermare la sua statura recitativa e (ab)battendo chi si pensava superiore a lui solo perché più “alto” di centimetri dal basso che invece è rimasto artisticamente sempre parlando.
Non ha bisogno di ulteriori presentazioni il nostro monsieur Al.
Egli cammina orgogliosamente impettito, anche talvolta “ingobbito”, in incarnazione qui da Riccardo proprio del suo Bardo… portato con rispetto riverente e di gran portamento sul palcoscenico, e io sfilo per voi qualche foto a misura appunto della sua grandezza.
Happy Birthday Al!
Se a qualcuno non piaci perché è invidioso, gli sfodererai il monologo da avvocato del diavolo…
Perché il tuo peccato preferito è la vanità. Così come quando consigliasti a Charlize Theron l’acconciatura adatta affinché rilucesse più il suo bellissimo viso, se uno si pensa migliore di te, l’adocchi, sfoggi un po’ di linguina tua raffinata di eloquio e poi beffardamente te la ridi sotto i baffi, sussurrandogli “imbrodandoti” d’averlo fottuto col tuo “è bello avere ragione”.
Ah ah!
Ah ah!
Robert De Niro, l’intoccabile
di Stefano Falotico
Negli anni settanta, Hollywood si rinnovò e spuntò, dalle nebbie d’un Cinema retrogrado e oramai consunto, sull’orlo del collasso perché incapace di ammodernarsi, dalle opacità appassenti d’un nitrato d’argento troppo arrugginitosi, sì, spuntò Bob De Niro. Così, Bob, noi l’apostrofiamo di primo nome simpatizzante d’empatia nostra amicale.
Bob De Niro e il suo neo distintivo, marchiato a volto inconfondibile che subito s’impresse nella memoria, radendo al suolo i visi impostati d’attori del passato già sorpassati. Li surclassò, beffandoli con la sua risata ambigua, fra l’ammiccante pensieroso a (non) discernersi ma (s)mascherarsi nudamente traspirando una smorfia enigmatica, dallo stupefacente chiaror lunatico nell’arsione levigata di labbra “argute”, peccatrici dell’unica colpa d’esser un Dio della recitazione, erede già designato di Marlon Brando. D’altronde, il destino è firmato di Oscar per lo stesso personaggio che interpretarono, appunto, in epoche diverse, cioè Vito Corleone, ma collocato d’egual carisma altisonante, magnetico, impossibile da scordare.
A scorticarci dentro nei fiammeggianti, sfumati colori d’una sottigliezza altissima d’attori nati divini.
E De Niro ci divinizzò a suo insegnamento, sol aggrottando la fronte d’asimmetriche rughe incorniciate a virtuosa e funambolica sua unicità mastodontica. Anche solo “masticando” la pelle del suo volto in abrasione nostra a congiungerci amanti dei suoi sospiri di diaframma denso, sanguigno, iroso o arrossendoci di tale forza penetrante d’ardore camaleontico da raschiarci e scuoiar le nostre pulsanti vibrazioni interiori.
L’emozionalità della grandezza empatica, il flusso caloroso del transfert attore-spettatore.
In adorazione, lo celebrerò…
Lo strepitoso finale di True Detective
di Stefano Falotico
La crisi di Rust Cohle e l’impeto vibrante della catarsi finale di True Detective, apice che vale tutta una vita e la sua sofferenza “nichilista”
Ebbene, Rust e il suo compagno danno la caccia un mostro per un decennio abbondante, alla fine lo staneranno nel covo di Carcosa. Un duello sanguinario, allucinatorio, che spezza fragorosamente il muro del suono delle nostre emozioni semmai assopitesi per troppa spazzatura odierna che c’è entrata sottopelle, avvelenandoci con la sua estetica patinata, con le furbizie bieche con cui si ricatta emozionalmente lo spettatore, adattandolo allo sguardo indotto nella tentazione di ceder alle lusinghe false a distorsione di tutto. Rimbambito dal buonismo moralista della visione “obbligata” che oggi par far sfracelli, l’idiozia dell’anima.
In quell’attimo, quando Rust si libera nel pianto, narrando al suo amico-collega quanto ha visto quand’era in coma, non sta in verità raccontando solo di un’esperienza pre–mortem, bensì si sta “vergognando” di averne passate tante. Sfibrato, distrutto, angosciato dal tormento dell’orrore, che lo perseguiterà, di brutti incubi, sino alla morte, pare che sussurri che forse il risveglio è stato più ferale del colpo letale di morire davvero nelle grinfie del killer satanista.
Un’esperienza spossante, che l’ha cambiato ancor più di come, già all’inizio, era segnato. Dai casini già asciugati, essiccati, come anche no, dal suo nichilismo per ridere in faccia alla beffarda, puttana vita che non risparmia gli innocenti ma continua, omertosa, il suo show carna(scia)le(sco), nel bisbiglio di tutti che fingon di non vedere e s’accontentano, credendo di “godere”.
Un’emozione terrificante. Credo che sia uno dei finali più belli che io abbia mai visto. Lo si è accusato di essere conciliatorio e non in linea, appunto, con lo spirito cupo della serie.
Niente di più sbagliato. Mette i brividi proprio per la “gioia” disperata di Rust. Un uomo che continuerà a vivere col ricordo latente, inestirpabile del crimine osceno che ha combattuto e l’ha sfinito.
Ridotto a una maschera di lacrime, ci lubrifica nella nostra memoria. Delle gioie e dei dolori che ognuno, inevitabilmente, ha nel cammino di questa vita. Alle volte tranquilla, altre volte durissima.
Capolavoro.