Mister Atlantic City
Mister Atlantic City, un mio romanzo che, di convergenze cinematografiche e letterarie, omaggia i grandi classici della Settima Arte
Ebbene, ho pubblicato un altro libro. Perché, in quanto prolifico come un vulcano sempr’eruttivo, mai domo, affamato di laviche emozioni, so sciogliermi a calor della brace della mia stilografica “futurista” immersa nella tastiera ergonomica dell’uomo cavalcante sempre poderosi, lindi e titanici lidi mentali e, a “sommersione-riemersione” di potenti crepitii del mio cuore ardimentoso, tagliandolo di ferite brade a sacral radice della mia romantica coscienza sapidamente naufraga nei sogni al fin che mai si spenga nella lascivia robotica dei morti viventi, gemo e germinerò sempre nel partorire nuove opere splendenti. Poiché l’uomo adattatosi all’abitudinaria pigrizia della routine giornaliera, prima o poi, s’accascia e perde i colpi. Mentre io metto a segno, per via delle mie (termo)dinamiche accorate all’anima turbolenta, scalciantissima e vivida come un diamante però con qualche grezzo angolo non smussato e non lo smusserò, mio “musetto” borghesuccio, in quanto la perfezione è solo l’utopia degli stolti, sì, metto a segno “pugni” di rinomanza stilistica degna dei grandi combattenti, intarsiati in una prosa ribalda, “pugilistica”, veloce e squittente come l’enorme Muhammad Alì, rapida come un gancio sinistro di Rocky Balboa a stenderti quando meno te l’aspettavi, poi schietta in retroguardia a parar i fendenti dei furbi e quindi via ancora di scaltrezza a imprendibile agganciarti e, sganciandomi dalle regole vetuste del tradizionalismo barboso, infierir sui vili mai creativi per ascender paradisiaco nell’empireo dei fighter della propria anima da falchi, un’anima intrepida, selvaggia, giammai stanca. Mi affrangerete con assalti indignitosi al mio decoro dietro le facili offese da chi si “batte” in una vita (s)comoda da impiegatini ma rafforzerete soltanto giocoforza, ah ah, il mio orgoglioso, sempre più agguerrito cantar fuori da ogni corte da damerini. Io, sì, conquisto la mia dama cantandole serenate fuori da lunghi nasoni vostri di gambe corte in bugie ipocrite e nel mio corale abbracciare quelli come me, come Nick Joad. Protagonista di questa triste, virtuosa, funambolica, precipitevolissimevolmente gagliarda favola nera dolceamara, da cantastorie come Bruce Springsteen.
Ecco la sinossi, chi non la capisce o, peggio, non vuol capirla così come s’ostina a volermi buttar al tappeto fingendo di non capirmi, è sol che un asino che io invece “carpisco” al volo e di jet getto al tappeto. Ring(hiando) da eye of the tiger, in quanto io sono il Survivor! Ti rigetterò sempre, villano, gettandomi nella mischia a mia grinta muscolosa!
Notte aromatica, non so se romantica. Tempestata da corvi che, sventolanti nell’alto dei cieli, il loro roseo ma ambiguo colorito, gracchiarono morendo sugli occhi appisolati degli avventori d’un bar.
Nick Joad, forse il fratello titanico del fantasma d’una celeberrima canzone di Bruce Springsteen, l’uomo che vive d’un sogno a occhi aperti, o di un roboante, fervido incubo. Il suo incubo migliore sarà sfidare il proprio demone ad Atlantic City. Un eterno duello che lo tormenta ma, nella sua pelle turbolenta, Nick Joad respira nel vento. Pugile in perenne, interminabile attesa. Ché il cielo delle sue ansie e dei suoi imperscrutabili patimenti, lastrato d’una visione salubre di gioia salvifica, miracoloso restauri l’antico, indelebile torto. E volerà paradisiaco ad agguantare la sua preda, laddove gli apparì diabolica di lungo, perturbante, angoscioso sonno immortale.
E ora, solo per voi, amici miei prodi, in “omaggio” l’introduzione più in regalo tutto il capitolo uno…
Eh sì, bando ai vigliacchi, qui si respira forza librante issante il coraggio dei vinti e dunque di chi lotta sfrenatamente per (av)vincere senza mai dar(si) tregua.
Le sponde inebrianti delle stagioni aride dell’amore s’intinsero nelle fosche scremature dei più furenti e bruni tramonti. Ove l’oceano lecca le palpebre agonizzanti dei suoi squali, l’intorbidisce in fluidi venosi d’ondosa riva marina combaciante con l’America tutta. Le aquile sventolano profumate il pallore degli indiani uccisi dallo storico massacro e i virtuosi piangono gli eroi crollati in battaglia. Nel putiferio di quell’infuocante morsa, i clandestini del loro sbilenco destino combattono agguerriti nelle palestre d’epocali dolori mai avvinti.
E le iridi si tergeranno sanguinanti nella catarsi sognante di Atlantic City?
On city by the sea,
revenge is a dark match
bigger than life
1.
Il crocevia del bieco plenilunio opaco
Notte aromatica, non so se romantica. Tempestata da corvi che, sventolanti nell’alto dei cieli il loro roseo ma ambiguo colorito, gracchiarono morendo sugli occhi appisolati degli avventori d’un bar. Quasi tutti macilenti, così come gli abitanti di quella spuria locanda. Arsa in alcol a me indigesto o forse troppo piacevole alle labbra. Spugne ch’espugnereste dal vostro raggio visivo, ma che mi strizzan di fegato simpatico, la loro bocca traboccherà sempre assieme al mio gaudio in euforico brindar con loro al piacere di deglutirci così. Come siamo. Gonzi ed avventurieri, eroi di un’era da cavalieri. Forse, ad Alcatraz, ove mi dissero che un certo Clint evase profetico al motto apocalittico d’un miracolo liberatorio. O qui, in questa latrina delle merde fatte cazzoni.
Un postaccio, pieno di rancori e lotte vanagloriose da falliti a malincuore di nostalgia che non so che effetto fa. Ove quando ci s’ubriaca, l’esistenza si fa ancora più amara perché è lucida di verità a sputarsela in viso. Incagniti, stronzi, con dei chili da svuotare dalle palle aggressive contro la moscezza che a me fa ribrezzo. E la brezza là fuori…
Poi, il mio occhio posa la vista sull’unico tizio davvero ancor sveglio e vispo. Robusto, sbronzo anche lui ma decorosamente pregno di whisky. Che dà proprio nell’occhio. Uno che ti conviene non prender a botte e che non borbotta, soprattutto.
Gli specchi viaggiano laconici su ombre marmoree di cadaveri nostri dei tempi ignoti…
Perdonate tale mia digressione che, scalando le vette umorali della mia astrusa e bellissima astrazione, così accigliato mi rivolgo allo sguardo del nostro beniamino, non so se amato o se lo amerete come io ora me ne son già innamorato. Qui, fra questi mesti, turbolenti liquori, vago d’occhi perlustranti l’invaghirmi d’anima appaiata a quest’uomo strano. Casualità degli incroci.
Cosa scorgo di lui? Un torturatore forse della sua psiche, un commovente camaleonte che indossa fiera pelle di serpente e si muove, anche fermo, sibillino di sigarette Chesterfield fumate di traverso, come un verme che ha la dignità del suo portamento, altezzoso, singhiozzante il rancido di tutto quello che avrà visto, come te o me, assieme festosi siam tutti perdenti di razza, e pendiamo da quel che sarà una vita di secchiate di stronzi.
Caparbio? Per il cazzo. Fresco di rasatura. Neanche per il culo della camicia non sfondata. Secco. No? Grosso come i muscoli d’un greco Dio vestito di pugni lesti in zigomi di cuoio e mente veloce come un raptor.
Mi ricorda, non so perché, Marlon Brando di Apocalypse…
Per come il suo volto, maturo e incassato in un corpaccione quasi spiritualmente intoccabile, vetustà immane da Dio inviolabile, si raggruma tutto nella potenza ferina eppur angelica d’occhi nerissimi. Come se, alla nascita, sin dal suo primo fiero e fievole respiro, fosse stato baciato da un cherubino. Un dipinto dell’astrazione sua e della mia così stramba immaginazione?
Sì, sta seduto, beve come una spugna ma par non accusare nessun colpo. Come se fosse davvero impenetrabile, un fantasma fra tanti spettri, fra tante ombre e luci, soprattutto sue. Tramontante ma sopravvissuto a qualcosa. Come se stesse celando qualcosa, come se nella sua anima racchiudesse un mistero che va oltre la segretezza della sua figura ectoplasmatica, del suo ombroso figuro.
Taciturno, zittissimo, beve, continua a bere e pare che se ne freghi.
Poi, accenna al barista, con un cenno impercettibile, altro…
E, mentre smuove le labbra in un vedo-non vedo di labiale perfettamente invisibile, sembra che stia pronunciando ciò… udite bene, aprite le orecchie per intenderlo…
Il suono nostalgico di qualcosa ch’è andato perso e non tornerà, non può tornare né credo voglia(te) che torni.
Un rapimento della mistica delle sue ermetiche, impressionanti iridi. Accigliate, alla torva simmetria rugosa d’una fronte spaziosa, come la vastità imperturbabile di Brando…
Mormorante al gregge di pecore… venite a me, ungendo le mani non caste degli sconci peccati di cui l’umanità sempre si macchierà. Marceremo, non marci ma illuminati dal chiarore evanescente della soave limpidità, attraverso le tenebre di questa folle umanità me(ge)ra. In congiunzione con la ricerca parsimoniosa d’alte, via via più spiccate, nostre nevrosi. Iridescenti ai baci nel marmo cheto del ruscello nostro a superbia dell’elevata divinazione. In nowhere, navigheremo d’ere eroiche, d’intrepidezza feroce. Genesi d’ogni orgoglioso amore divelto dall’averlo arso nell’apparente aridità ch’è invece divinità. Gemendo genuflessi, piangeremo prima, io già piansi e maestro vi tergerò la pioggia lacrimosa come la carezza di Dio alla Madonna, poi, inchinati all’osannante celebrarci addolorati, vivremo e vivrete sazi. Perché, solamente nell’empia essenza della profonda vacuità, noi e voi saremo felici ed eter(n)i.
Disgiunti dalla frenetica goliardia d’un Pianeta già invaso, alle origini erronee della scintilla mostruosa, da quel disgustoso invero amarsi finto che io combatterò sin da quando decisi di vincerlo e non perire dietro l’illusoria vitalità di tale putrida e rivoltante, triviale viltà.
In tanti tentarono di dissuadere questa mia visione della vita, tacciandomi di follia, ma io son ancora più convinto d’ancorarmi alla psicosi totale, a istruzione delle autodistruzioni nostre.
Io ho sempre odiato, sin dall’età del discernimento della prima adolescenza a me già foriera d’elevatezza grandiosa, ciò che volli e vorrò con infermabile volontà crescente.
L’ascesi di quella che chiamate, con enorme altra spaventevole superficialità, pazzia.
Io vi vedo invece la forza del tuono più acuminante e universale, ché Dio si nasconderebbe per la vergogna d’aver solo osato pensare di crearmi.
Io odio, perché nacqui diverso dalle vostre carni, e quindi insisto nella repellenza oscena. Con incredibile spirito di sacro affrangermi perché soltanto soffrendo io vivo.
Il resto è la vostra merdosa sopravvivenza. Ché oggi avrete da lamentarvi per altre inezie e domani vi crogiolerete alle ridicole rugiade delle vostre commozioni. Emozionali soltanto all’unta, presuntuosa sapienza dei po(ve)ri.
Questo è Nick Joad, questo è il suo nome. L’avrei imparato molto tempo dopo ma nel frattempo questo era, così almeno appariva. Un’aura di seducente, ammaliante ingombrarlo del suo stesso personaggio, avvolto nell’ombra dei suoi contorni.
In mezzo ai morti, o forse lui il primo morto ma vivo, almeno.
Poi, devo dirvi subito un altro paio di cose. Dietro questa maschera da tiratardi e gaglioffo bastardello, ravviso un uomo scacciapensieri. Avete letto bene. Uno di quei tizi che sarebbe meglio evitare, non incrociare ma che… se ti caccia un pugno piazzato, il resto è sconquasso e gran applausi.
Scroscianti.
Fargo nella versione serie televisiva
Sì, oramai le serie televisive stanno quasi soppiattando il Cinema. Non è un “bel vedere”, come si suol dire? No, lo è. Dopo True Detective, un altro fenomenale colpo messo a segno, la “trasposizione” reinventata, allungata, nuovamente immaginata di Fargo dei Coen, qui per il network FX che “assume” il film omonimo e lo mette nelle mani di Adam Bernstein, affidandolo a una strepitosa coppia d’interpreti, un Billy Bob Thornton oscuro, cupo, torvo, misteriosissimo e l’imbranato dalla “doppia” personalità, il perdente per antonomasia, deriso da tutti, Martin Freeman.
Gustiamo il dietro le quinte.
E aspettiamo le prossime puntate, quella pilota vale davvero.
Chiamami Rupert Pupkin: per gli autografi, aspetta la mia vita che non ci sarà eppur da Festival di Venezia e Carnevale, ah ah!
Gli attori che ho visto dal vivo, ad alcuni dei quali ho stretto la mano e di cui, da reporter caustico e senza peli sulla lingua, vi narro qui…, io me li inculai anche se tu continuerai a non cagarmi!
Sapete, col tempo ho imparato non solo ad apprezzare Robert De Niro ma a comprendere che son sempre stato il suo Rupert Pupkin, cacciatore di vite altrui per rifuggire da una società, annessa quella di Hollywood, forse la più peccaminosa di tutte, orrida e spettrale.
Al che, da king of comedy, ho vissuto sempre un’adolescenza “proiettata” al grande schermo dell’incarnarmi nei volti celebri altrui. Non però VIP da quattro soldi, a me dei personaggini da varietà italico è sempre poco importato, con buona pace di Pippo Baudo e Raffaelle Carrà di sorta.
Diciamo che ho sempre prediletto i miei attori prediletti, i favourite actors per dirla all’americana.
Ma, essendo io un uomo sofisticato che poco si accontenta, ho fra questi selezionato ancor più di scremarli.
Credo che da un ventennio circa abbondante, dilapido tutto (me stesso) a Venezia, sì, anziché spender soldi a Riccione, Rimini e riviere marine mediterranee varie, nonostante Marina Ripa di Meana (presenza fissa da puttanona), caraibiche o da Ibiza, ove le ragazzine ballano sul “Cuba Libre” dei marpioni ad “abbronzarglieli” da “manesche-amanuensi-molto cresciute-facendoli… crescere”, ho risparmiato i miei già “miseri” soldini nello spenderli qui, dunque da miserabile alla Victor Hugo gigantesco, a differenza di voi, nani senza neanche l’appeal romantico del gobbo di Notre-Dame, ché non sapete neanche idealizzare non solo i vostri smeraldi, la Costa Smeralda ed Esmeralda ma neppure la pornostar Esperanza Gomez, una da Ibiza comunque, e qui divento Pinocchio ché voglio si chini, parafrasando Elio e le storie tese, la mia Fata Turchina…, da cui quella Azzurra di Cannes. “Impalmerei” Esperanza con tanto di “champagne” spumeggiante!
Tali soldi “centellinati” spesi io, spendo come spenderò da vero mercenario, sì, sono un expendable che predilige la vita underground da indagatore dei cazzi tuoi, “buttandoli” al Festival di Venezia.
E, a Settembre, di consuetudine oramai annuale, anale forse a fottermi dell’adorar celebrità di s(ucc)essi, alcune son dei cessoni, lor goduti alla facciaccia mia che li “alza” ancor di più perché quelli maschi, arricchendoli, possan abbassare, forse anche “abusare”, quelle delle colleghe lor mondane-“mondine” da “immondi” lucky bastard.
Ma a me non “sbatte” e continuo a tributar loro applausi a iosa, nonostante le mie spine e le poche ros(s)e femminili.
Eppur si “muove”…, affittando appartamenti al Lido e prenotando biglietti da Sala Grande o Palabiennale.
Ecco, di attori dunque ne ho visti tanti. Alcuni di razza, dunque cotanti, altri solo famosi di contanti…
Ma comunque, fra gli innumerevoli, ho perso il conto… Infatti, a forza di dilapidare il mio “patrimonio” in quel della kermesse, non ho più neanche un Euro per un caffè. Andiamo a farci un bagno, come suggeriva Noodles di C’era una volta in America, non ho i soldi, mia Deborah…, per raccontarti “balle” didietro… l’Hotel Excelsior. Al massimo, posso offrirti un “affogato” su mia risata al cioccolato. Poco “fondente” in mezzo alle tue gambe cremose ma pur sempre enorme, sì, ce l’ho grosso, da “fetente”. Vuoi (con)statarlo o preferisci George Clooney? Ah, capisco il tuo (ri)fiuto, vuoi la casa sul Lago di Como. Io posso darti solo un comodino e staresti peraltro, con me, scomoda.
Ma torniamo agli attori.
Non starò ad elencarveli tutti, altrimenti ci perderemo in mille e una notte…
Ma voglio qui stilare la classifica di quelli che a me son piaciuti di più, dei più fighi, come si suol dire, appunto, anche di soldi miei elargiti loro.
Cosa mi hanno lasciato in cambio? Ciò che il Cinema deve lasciare, cioè emozioni. Ché della vita lasciva da affaccendati quotidiani in vostre lotte vane(sie) da piccolo borghesi, lasciai, anche di scia di “peti”, perdere quando m’innamorai di Robert De Niro di Taxi Driver. Sono un animale strano…
E, unendolo al Pupkin, abbiam fatto il mio re per tutta la notte, fra note, autografi e qualche donna a cui donai la foto, da me scattata di Brad Pitt, e lei mi rispose “Grazie, preferisco il tuo…, basta che la gente non sappia che sei un fall(it)o, voglio un amore dal significato uguale al tuo cognome, Falotico, che appunto, da vocabolario della lingua italiana (anche se è meglio il bacio alla francese), significa bizzarro”.
Ecco comunque la hit:
1) Matthew McConaughey: visto, come da foto “insospettabile”, durante la proiezione di U-571. All’epoca, recitava come il culo, oggi è Rust Cohle di True Detective e premio Oscar. Vedi la vita?
Insomma prima il “sommergibile” di una carriera mai davvero emersa, oggi sommerso di riconoscimenti.
2) Nicolas Cage: visto sia per Matchstick Men sia per Bad Lieutenant di Herzog. Checché se ne dica, cari detrattori, uno dei più disponibili e simpatici. Sarà che, essendo così criticato, i fan deve “sostenere” se vuol reggersi la parte… Nic(chia) fa orecchio da mercantone alla Shylock, come Pacino presto sotto, ah ah!
3) Robert De Niro: visto per Shark Tale, uno stronzo mondiale, si è limitato a un “Ciao” con la manina e poi si è eclissato, passeggiando via portandosi appresso un panzone all’epoca dovuto alla sua cura, simil Cortisone, per via del Cancro vicino ai “coglioni”, cioè alla prostrata. Ma “durò” da duro e ingravidò di nuovo sua moglie, una nera, una di quelle che attizza… anche se servì l’artificiale inseminazione. Da cui oggi, dopo tal girini, i suoi film del cazzo.
4) Al Pacino: visto per Il mercante di Venezia e per Wilde Salomè. Un “salame” di grande charme.
Ma il migliore, fuori da ogni categoria di cul(at)oni vari, fu Clint Eastwood di Space Cowboys.
Ora, guardate attentamente, costui nella foto. Sono io e avevo circa 20 an(n)i. Matt Dillon mi faceva un baffo.
Infatti, oggi ne ho 34 e lui una cinquantina. Ho più peli di barba io rispetto a Matt.
Il che contraddice il luogo comune che chi è famoso è pure macho. Da cui In & Out.
In attesa di Sin City 2, breve monografia in 7 film iconici sul grande Marv, cioè il mitico Mickey Rourke…
Da me ribattezzato “La maledizione grida pugilistica sfasciandosi in fasciante, masochistica pelle di serpente viva”… come il rosso, abrasivo nitore dei suoi occhi languidi, tendenti all’infuocato se osi toccarlo ove è, per nascita ansiogena e inquieta(nte), toccatissimo, fra il matto, il merlo maschio, il sexy travolgente, il rifatto “penzolante”, lo sbraitato pagliaccio da guitto d’avanspettacolo, mai damerino e soprattutto sempre incattivito perché in fondo autentico.
Sì, Mickey. Come stai? Quante cuciture liftate sul tuo viso spappolato, e ancor però furente digrigni i denti fervidi, “infermi” e colpisci il Cinema stupendoci. Almeno, io m’incanto sempre, così sarà anche nell’aldilà, quando godo della tua magnifica visione in ruoli tuoi epocali, quasi biografici, perché alcuni li hai “adattati” tu (a te) stesso, da sceneggiatore “balordo” al tatuartene proprio a viso aperto, nel tuo sempre ribellistico, bellissimo fuck the world netto, che non batte ciglio ma a cui basta alzar le tue crespe, ondulate sopracciglia per far innamorare, anche adesso, sì, che sei rotto, “inguardabile”, migliaia di donne sbrodolanti ormoni caldi come le tue guance d’angelo stronzo, con quel naso (di)strutto a piagnucolar miseria e invero, lo sai, batti ancora un po’ da gigolò cafone e forse da intellettuale incompreso. Rannicchiato a tua monumentalità, Mickey, ti domando come va? Di merda, vero? Lo so, lo intuisco da come recit(av)i da Dio eppur sciorini stronzate con la faccia tosta di uno a cui succhiartelo subito, perché piaci anche agli etero con qualche dubbio se ti ammiran così in geniali tuoi capolavori inarrivabili. Ricordalo a questi figli di puttana, vieni dall’Actor’s Studio e Cimino non era un fesso a chiamarti “pupillo”. Già, con quelle pupille, che te ne fai di passar alla Storia come attor di “palle”, allor ti butti via. E a me sta bene così. Andiamo a ubriacarci, la notte è scura ma non vogliamo il giorno degli spenti e dei dannati.
Firmato Stefano Falotico
Johnny il bello
Enigmatico, intenso, fenomenale. Anche da baraccone. Sbaraglia tutti pur essendo nato sbagliato.
Angel Heart
Angelo mio, ove ti perdemmo? Qui sei il figliol prodigo nelle mani del demonio.
Homeboy
Eppur (non) ti (s)muovi. Farabutto bastardissimo, con quegli occhi ti è permesso di cazzeggiare a bordo ring e alla (s)finita tua vita riniziata. Again.
The Wrestler
Che vi devo dire? Sean Penn ti ha rubato la statuetta.
Sin City
Frank Miller non avrebbe mai immaginato che potesse esistere un Marv più grande del suo.
Orchidea selvaggia
Dirti che sei brutto e imbolsito in questo film, è solo la pura invidia di gente cattiva.
Tu chiamali, se vuoi, detrattori. Secondo me, son peggio dei ratti. Dai, Mickey, aziona il trattore e mettili sotto.
Poi, prendi Carré Otis e fottila anche di lato.
Dai, spogliati.
9 settimane e 1/2
Ecco, il film fa schifo. Trash da zoccole. Ma diciamocela! Non ci sono DiCaprio o Johnny Depp che tengano se ti tocchi il labbro col pollicino. E le donne si bagnano a decenni di distanza.
Homeboy, recensione
di Stefano Falotico
Getta la spugna nella giostra luminescente della vita, accendi il cuore di carne sanguigna…
Il ring(hiante) rabbioso… l’anima brada romanticissima di un loner man ai bordi della sua riva esistenziale.
Johnny Walker, freak d’una fantasmatica città, forse “immaginaria”, accasciata nel buio mistico degl’impietriti uomini in doppio petto. Lui fischietta l’amarezza “marcia” fra labbra anestetizzate dinanzi alle vite orripilanti e senescenti dei morti, quelli che “vincono” contrabbandando la dignità in cambio di fallace e caudina morbidezza danarosa futile.
Non si svende, Johnny, che invece sogna le carezze asciuganti i lividi della sua anima lacerata, morsa da una vita asfittica che, con le sue castiganti regole crudeli, graffianti impunemente e tristemente ammansenti il cavaliere che sei dentro, soggiogandoti al “rettilineo” delle “dritte” vi(t)e “giuste”, castra l’indole dei guerrieri puri. Dei lottatori sfrenati, soprattutto inneggianti vitalità immensa nel proprio sangue viv(id)o che un tempo bramava enormi sogni che or sembrano esser sfumati dall’opalescenza mortificante della condizione umana, cattiva e lapidaria come uno squartamento ferino al tuo cuor mai domo. Il cuore di un leone che dormicchia, si allena fra ire solitarie sputanti l’aroma affranto d’un grande amore però ancora più grande della stessa vita, la vita (dis)illusa, sbriciolata, macellata da chi “agguantò” i tuoi guantoni solo per sfruttar un po’ il tuo talento e poi lasciarti marcire nel rivolo languido del tuo melanconico barcamenarti arrancante, sterilizzato per troppe ammaccature alla tua anima, afflitta da un invisibile dolore “a pelle”, sdrucita nella tua coriacea, (in)distruttibile, testarda faccia di cuoio. Eppur sudi, sputi voglia di donna e fuga impossibile. Vivila, vola via!
Ma un’altra sanguisuga è lì a fiutar l’occasione per usarti come carne da macello, ti getta fumo negli occhi, Johnny, ti vuol far credere che puoi ancora vincere e buttar al tappeto innanzitutto la tua “codardia”. No, non sei un vigliacco, ma un coraggioso, uno che non vuole morire sul ring soltanto per quattro spiccioli corrotti.
E ti sei innamorato d’una donna che sta al parco giochi, entrambi fanciulli di un’era (e)stinta.
Anime che rivendicano la libertaria voglia di selvatica lindezza.
Stai lì, maschera addolorata e (rim)piangente, posseduto però d’aneliti portentosi della schizzante bellezza tua inimmaginabile e intimissima, seduto su una panchina, “ergastolano” nel rimuginare tutti i pugni dei suoi trascorsi “cialtroni” da rissaiolo, un po’ barfly-ubriacone e forse mai davvero guascone, d’indole malinconica dondolante di qua e di là per non immischiarti fino in fondo alla vita sociale che a te schifa proprio e t’appare solo un putridissimo, orrido manicomio di false e (de)nutrenti ambizioni logoranti quanto inutili e pian piano assassinanti l’anima.
È tutto un sogno, una ballata fra due innamorati invaghiti della magia delle stelle, del plenilunio ardente in lor cuori un(i)ti in abrasione dal furioso mordente, il bacio levigante della vita tonante all’unica virtù davvero importante, la tonalità della propria innata, turb(in)ante libertà (im)mortale.
E sfumerà…
Questa è poesia, questo è un grande film incompreso!