Questa è la vita – La patente con Totò
di Stefano Falotico
Questa mia recensione si “limiterà”, inimitabilmente, a “narrare” dell’episodio La patente, diretto da Luigi Zampa e interpretato, con sublime gagliofferia raffinatissima, dall’immenso Principe della risata, l’inconfondibile e tutt’ora imbattuto Totò, con buona pace dei nostri (tra)passati e odierni emuli che, in verità, non son altro se non delle brutte copie comicarole patetiche del nostro unicissimo e appunto invincibile.
Tutti gli episodi del film son tratti da omonime brevi novelle di Pirandello. Nel nostro caso, trattasi appunto della trasposizione “sintetica” della commedia in due atti “’A patenti”.
Ebbene, un episodio corto corto ma “lungo” come insegna il racconto (im)morale del Luigi nostro caro.
Rosario Chiarchiaro, da anni, vede affibbiarsi la patente, appunto, di iettatore. La gente del paese, appena lui passa per strada, fa gli scongiuri, si tocca e, superstiziosa a morte, lo evita in ogni modo. Ciò, ha un bel peso sulla sua reputazione così quanto influisce negativamente sulla sua vita privata. Declassato, anzi, licenziato in tronco soltanto per “paura del contagio”, “marc(h)iato a vista”, quasi sorvegliato speciale per i cittadini, il povero Rosario, accusato di tale ignominia da appestato, schivato da tutti come fosse un lebbroso, confinato a causa dell’ignoranza, vede così crollare le sue finanze e non ha quasi più nemmanco i soldi per mantenere la famiglia.
Al che, stizzito, si ribella nella maniera più geniale e inaspettata. Poiché la gente bigotta lo accusa, diciamo, di “stregoneria”, ecco allora che si reca dal notaio-“giudice”, sporgendo “querela” affinché ufficialmente, ah ah, gli venga “abbottonata” proprio la benedetta-maledetta patente tanto “vituperata”, quella proprio dello iettatore. Così, con tale nomea messa in “carta da bollo”, annotata, registrata agli atti giudiziari, ah ah, potrà sbarcare il lunario, cioè campar(vi)ci.
Zampa si limite a dirigere un Totò, ripeto, al solito sconfinato per nel ridotto minutaggio, applicando semplicemente la poetica di Pirandello. Un episodio-racconto imperniato attorno appunto ai temi cari al nostro. La società, minata alla base da pregiudizi spesso infondati e discriminanti, si basa sulle apparenze, sulle maschere e sul valore che attribuiamo alle persone che le “indossano”, così come la strepitosa “maschera” di Totò, e mai scelta fu più pertinente e azzeccata per il ruolo grottesco da “infame”, si presta di straordinaria mimica a cui basta un “cenno” della fronte accigliata, l’allungamento del collo oppure la consueta smorfia beffarda e celeberrima per sintetizzare al meglio, senza troppo aggiungervi troppo di parole, non necessarie, il significato che sottende l’opera.
Insomma, basta lui a far di tutta una (r)esistenza la pirandelliana “nefandezza” della vi(s)ta nostra così assurda e incredibile. Totò, solo lui, l’incarnazione vivente e parossistica della stranezza della nostra società, l’occhio che (non) si duole, che “marionetta” si muove come un burattino allo stesso tempo burattinaio.
Aspettando Maps to the Stars, The Dead Zone in memoria(m) di Ayrton Senna
Maggio 2014: la domenica mi trasmette un senso d’insopprimibile tristezza e vagheggiamento nostalgico ma, in questo mese, esce Cronenberg e morì vent’anni fa Ayrton Senna, The Dead Zone
Decalogo 11: mai accelerare di troppe ambizioni, (s)voltando potresti bruciarti…
Non molti credono a questa mia storia, sì, “assassinai” di morte “trasmessa” Ayrton, iridato campione brasiliano, schiantatosi contro una curva “mozzafiato” di Imola, ben più “impattante” delle Escort che si scopava da “campione”.
Sì, correva l’anno, è il caso di dirlo, 2004. All’epoca, essendo io un “classe 1979”, mi ricordo questo. E ve lo voglio narrare in ogni (det)taglio, avvertendovi però che i vostri stomaci devon esser “rinforzati” di “paraurti” in caso di troppo spingere mio sul vostro fegato molle. Sapete, io vado a mille, senza sprezzo del pericolo pur stando “in folle”. E, quando sei fuori da ogni carreggiata, puoi sorpassare tutti, sbandando a tuo rischio e pericolo, tanto sei già arso vivo dalla nascita per predestinazione genetica ché, crescendo, la gente “normale”, quella bardata sempre dalle cinture di sicurezza del “vai piano e vai sano e lontano”, non farà altro che evitar di passeggiare con te, in quanto predilige(rà) la via retta, tanto dritta che sarà una morte in diretta… di vitarella. Sì, arrivati ai trenta, quasi tutti s’iscrivono a un partito radicale per “fomentare” la lor “caduta libera” di “radicali” su capelli giù (s)tinti e passeggino con prole a carico e moglie da “innaffiare” di “acqua piovana” domenicale, portandola a spasso uggiosamente per farla rilassare, dato che durante la settimana hanno altro da “fare”, cioè adocchiare le colleghe occhialute e sognare “erotismi” proibiti “nobili” quanto ritirar lo stipendio di ti(mb)rato cartellino, con annesso quello rosso in caso di espulsione-pressing del direttore spacca-menischi di “fair play lecito”, non soddisfatto del “tornaconto” delle gare a ping–pong fra un caffettino e uno “zuccherino” di parole crociate su immaginar di “scrollarlo-scrosciarlo” alla segretaria scosciata.
Ecco, all’epoca ancora bazzicavo una compagnia “residua” dai miei compagni di b(r)anco delle medie, ma già, se non rammento male, avevo (s)voltato. Dopo essermi iscritto al liceo scientifico Sabin succursale, nauseato già da quei miei coetanei frivoli e classisti, boriosi e porcelleschi, come esige la tradizione “perbenista” della città “universitaria” per antonomasia, m’ero di malavoglia iscritto al “parimenti legalizzato” Manzoni, una scuola privata ove m’avrebbero insegnato a mollare (del) tutto.
Ma torniamo a noi, non perdiamoci in falotiche fandonie. Ecco, mi sa che fosse un sabato, sì, su questo non ci piove… mi trovavo al bowling assieme ad alcuni miei ex “amici” delle medie. Ma sarebbero piovute lacrime amarissime.
Non sono mai stato un pa(r)tito della Formula Uno, anzi, oggi posso ammettere, anche “onorato” da questo mio “omicidio”, che chi guida spericolato, per far soldi sulle (s)palle degl’ignari deficienti poveretti che li “acclamano” a bandiere alzate quanto le loro falci e martello poi di lamenti comunisti, da me viene comunemente scomunicato.
Non mi credete?
Ebbene, all’epoca, come ogni “fringuello” puberale-primo adolescenziale “allegro-pen(s)ante” per la fighella bella e da “flipper”, avevo una cotta per una tale Tiziana. Già uno dei primi sba(di)gli colossali.
Oggi, scopro che ha avuto un figlio da un mio amico delle elementari. Povero mio amico, come ti sei fatto “infinocchiare” solo per del pelo biondo. L’hai voluta sposare e ora non incazzarti se devi pagarle gli alimenti e dovete (man)tenervi un figlio che, a giudicare dalle vostre foto “esibite” su Facebook, mi sembra già “indirizzato” alla demenza. Mah, forse esagero io, che soffro di “malocchio”. Ma gli occhi di questo neonato mi sembran già posizionati sullo strabismo schizofrenico per una sua (r)esistenza che si preannuncia “spensierata” di prese per il culo devastanti.
Comunque, ‘sta puttana, sì, lo è e dovevo già capirlo a quei tempi, nota che finisco i soldi giocando a uno “sparatutto”, ispirato a Terminator, e mi ridacchia in faccia “Stefano, game over, la scritta che ti perseguiterà per tutta la vita”.
Accuso il colpo, ammutolisco tutta la compagnia.
– Bene, domani guarderete Senna che vorrà “vendicarsi” della morte sfigata di Ratzenberger?
Ok, ci sto. Domani notte, non telefonate a casa mia per darmi del mostro e della fata Morgana.
Alla stessa curva ove è morto Roland, il nostro Ayrton creperà allo stesso modo. Alla faccia sua e delle sue “solidarietà”.
Il giorno dopo, la domenica della “sciagura” avveratasi, mi trovavo a Prato da mio cugino.
Stavamo giocando nella sua cameretta sempre a un videogioco.
A un certo punto, bussa alla porta mio zio e ci sussurra che è molto triste…
Mio zio non amava la Formula Uno ma comunque seguiva questi “eventi”.
Sì, era stata appena data la notizia che Ayrton Senna era stato trasportato d’urgenza, in elicottero, al Maggiore di Bologna…
Neanche il tempo di giungere a destinazione e diedero il “triste” annuncio.
Io ascoltai la sua morte in radio mentre stavo rincasando a Bologna, appunto.
Da allora, nessuno mi ha più voluto vedere…
La verità? No, non sono un veggente né ho o avevo poteri paranormali. Diciamo che il mio “sfogo” si tradusse in quella brutta “premonizione” e fui etichettato come “mostro”.
Sarà che a me è sempre piaciuto l’episodio con Totò da “La patente” di Pirandello.
Che volete farci?
Chi la fa, da me l’aspetti.
Sono u’ iettator’.
Johnny Depp, Transcendence per le donne
Johnny Depp, ritratto di un attore che un tempo fu tale e oggi è una cagata sesquipedale, eppur alle donne interessa solo la faccia da culo, da (g)ufo
In una società, oggi e ogni giorno senza più valori, quelli “personali” dei belli tolgon le “mele” a voi, fra Gabriel Garko e McConaughey, vince ancora Johnny Depp di Transcendence su femmine “ascendenti” al sognarlo “volante” di “oggetto non identificato”, eppur a volerlo ficcante, là in mezzo “rot(e)ante”, da cui l’arro(s)tino…
Un cazzo da dire e da fare…. Non una meteora qualsiasi. Passan le stagioni e la sua bellezza rimane brillante, intatta, da tastare e universale tostarglielo.
Ieri, dalla De Filippi, è stato ospite invece il signor Garko Gabriel.
Un “arcangelo” semi-gay con lifting super liscio su addominali toccabili per le donne che devono chiedere che cambi gusti sessuali al fine, “finissimo-oliato”, di ritemprarle dalle frustrazioni lavorative della settimana inculante. Da cui i “bagni termali” in caso si scaldino troppo da afflitte sessualmente con per di più l’affitto da pagare. Sì, vanno “sfangate” così, rassodate dopo farselo… sodo tutto l’an(n)o eppur non “introiettandoselo”, gioiranno più gementi, cara gente sempre a farvi i cazzi degli interpreti altrui. Da cui il latente onanismo “rassicurante” in tempi di “magra”.
Al che, su Facebook, si “abbrancano” perché, nella prima puntata, ricordiamolo, l’ospite fu McConaughey. E allora parte il gioco pettegolo, da donne appunto, su chi sia il tocco di manzo più al sangue.
Vince facile McConaughey perché è eterosessuale ed è oggettivamente più bravo del Garko, uno “bono” solo, manco tanto peraltro, a (non) recitare su sguardo “borotalco-bovino” in fotoromanzi “alti” quanto il suo statuario di poca levatura artistica, un lentissimo ritardato attoriale eppur di tartaruga incitante al bellissimo su “lento” delle donne (tra)ballanti sul volerlo “alzato” e lì basculante.
Comunque sia, il mondo non cambia. Alla fine, recitazione a parte, quel che conta è se l’attore attizza…
A parte ciò, alle donne frega eccome un cazzo.
Dunque, sfoglio le foto della premiere di Transcendence e Johnny Depp, a cinquant’anni suonati, fra l’altro, a tempo “perso”, è pure bassista per famose band, il nostro Depp fa ancor le sue “porche” figure.
Eccezion (s)fatta per le figuracce che invece sta facendo girando questi filmacci.
Gli basta però un “grammo” di rimmel e l’occhio assume contorni ancor più avvenenti per le donne che (s)vengono. Gli basta un (ac)cenno di ammiccamento e la toccatina è assicurata su gridolino “Ma quanto sei bravo…!”, pensando in “silenzio” un “Ma quanto sarei brava con (dentro) te…”.
Comunque, contente loro, contenti tutti. Io no.
Sì, Depp è l’attore “giusto” per un film che parla di metafisica.
Sì, è credibile quanto Madre Teresa di Calcutta in un biopic su Veronica “Madonna” Ciccone.
Detto ciò, che Wally Pfister torni a far il direttore della fotografia per Nolan.
E non dia via il culo alla Warner Bros per girar ‘sto paio di palle.
E buon Interstellar a tutti.
Sognate, di mio rimango un personaggio da fantascienza incarnata.
Sono oltre i vostri “corpi” da “buchi neri”.
Dalla nascita, infatti, aspetto E.T. d’incontro ravvicinato di terzo tipo che mi porti via da questo pianeta di “tope”.
Dalla mia patta, riceverai solo uno st(r)appartelo di pugno in testa, da cui diverrai sempre più tappo.
Ho finito, stop.
Mi sa che però mi toccherà rimaner sulla Terra(gna) a meno che davvero non trascenda fisicamente.
Nel senso di fisico (a)lato? No, di morto asceso in cielo.
Miei ascetici, qui avete poco da vivere. Eppur vi tocca. Oh, una scema la troverete pure che vi tocchi, no?
Ronin e Malavita, meglio De Niro dei vostri neri, meglio il polar dei baci alla francesi(na), meglio il neo del mio imperioso no!
di Stefano Falotico
Atavico lindore, perso fra squame opache d’una vita arrugginita, eremitica come l’asma che mai m’ostruirà. Datemi del mostro, persevero a preferire la mia latente oscurità, anche da lattante e da imperdonabile latitante. Tanto… Perché da stagioni immemorabili e fertili, per quanto possan apparir a voi sterili, amo la solitudine d’una vita densa, uterina, corrosiva ma non da voi latrine, nel navigar, anche futile, incompreso che sia, ove vo(g)l(i)o. E, anche spengendomi, sporgendomi ai vostri (t)ratti, rintraccio dosi di mia adorata follia che con la folla ha poco da spartire perché la gente non mi fa ben sperare. Preferirò sempre la solitudine mia creativa, ribollente di notti mai dome, guerriera d’un nitrirmi e nuotar dentro, alle vostre scorribande frivole già nel (lo)culo giacenti, al tutto ché siete già morte, la mia plumbea decadenza odora di aurore a ogni alba più innervata e, rinnovandomi allo scandir d’ogni dì alato, gioisco anche ameno e da voi meno amato. Che poi s(t)ia antipatico, dolerà voi che tanto v’invogliate quanto imbrogliate soltanto nei fuochi fatui che voi stessi appiccate, impiccando me, nello scopar “scoppiettante”, a me disgustantissimo, d’incendiarvi soltanto di (di)letti e “dialettiche” che a me paion ansie da oligofrenici. Alla vostra frenesia, do fuoco e mi sciolgo, illiquidito dall’amarezza che mi date e che io ricevo, contraccambiando di non voler cambiare. Grazie, per la grigliata, me le sciacquo. Ai vostri grill(ett)i da “grandi” uomini, invero da donnette robuste solo di mezze bustarelle, cari miei bellimbusti, falsi a (in)quadrarvi soltanto a mezzobusto per non svelar il cazzo già vostro (s)finito dalle troppe chiacchiere che (non) date a vedere, prediligo il mio dir basta. E tanti bastoni a darvi in capa di mia coppa. Sarò “capra” ma campo sotto le panche, e non come voi sotto le vacche. Ardirlo, il mio, e ad ardervi, son i motti del mio matto. Adoratemi. Altrimenti, v’arderò. Io sono intramontabile albero di coccio, duro a seg(n)arti. Miei ciuchi, ciucciate. Se non ciuccerete, io vi toglierò sia il ciuccio e sia il vostro cuor da cuochi del ca(l)cio a seguir solo il campione più nazional-popolare a inzuccare di testa su balistico vostro applaudirlo fra salse e spaghetti.
Oh, mio ciuco, guarda come incoccia. Meglio le mie ciocche al vostro cioccolato.
Meglio il mio dinoccolato alle vostre (g)nocche. Meglio io al vostro parere di purè.
Eppur aveva ragione Mosè. Basta con le mosse. Apriamo l’oceano e Mar Nero per tutti.
Se mi schifate, potete sempre continuare a gustarla come vi pare. Di mio, ho da coltivar l’anima, spruzzandovi acqua prelibata più effervescente del vostro sempre frigger in pa(de)lla.
Finché morte, come dico io, non vi s(e)pari. Io eppure appaio e disturbo arreco, recandomi in voi che tanto mi rigettate.
Perché disturbarmi mi va. A genio e anche a vostro esser innatamente mal congeniati. Ingegnatevi ad agognarmi, io non anelo al vostro congiunto a(g)nello da scimmie evolute di “involtini”.
Poi, cospargendomi di fango, con un po’ di bavero alzato, son sempre più bravo di voi e papero che, in confronto ai vostri imbellettati anatroccoli, fa un baffo in front(al)e di arzigogolato, tendente al brizzolato, con per di più il mio scodinzolar oggi da gatto e domani da cane, probabilmente anche lupo se mi fa(re)te incazzare. A farvi i vostri… peli, già vi pensate sani e belli di belar come pecore da paraculi a salvarvi la pellaccia. Lasciate stare il mio malsano, ho un santo da preservare e debbo anche spaccarti il buonista presepio.
Con tal “presente”, mi firmo ancora nel libretto mio vivo del non morto, a differenza di voi, presenti (in)giustificati.
Datemi del Cristo, lo accetto. A patto che mi spediate all’Inferno.
Perché qui, da vivo, brucio di ardore e non voglio diventar un mieloso con la testa fra le nuvole vostre. Da celebratori del bianco. Meglio bruciare d’eterno infernale che poltrir “paradisiaci” per l’eternità da ruffiani.
In verità, vi dico che lavate i panni (s)porchi. Di mio, uso la lavatrice solo per scaldarmi.
Sì, centrifugandomi, son sempre più fuga dalle vostre fighe “pulite” e dai vostri preconcetti che spu(n)tan come funghi avvelenanti.
Ora, mi congedo. Concedendovi un pugno.
Se non vi sta bene, vi chiedo scusa. Sì, in effetti sono un pacifista e dovevo dar(ve)lo con più “forza”. Con le “palle”.
Matthew McConaughey: dal suo nick, The Body, al suo being Great
Ebbene, ancora lui, il grande Matthew McConaughey.
Non nego che, pur essendo eterosessuale, Matthew mi piace, lo adoro.
Se scorrerete i miei post precedenti, in tempi già sospetti lo ammisi, glielo (o)misi, eh eh.
The Body veniva chiamata Elle Macpherson. In effetti, però McConaughey era la versione maschile. Eh già. Manca la a femminile in Mc. Rimane però questo dubbio. McDonald’s, ove servono le patatine, che sesso ha?
Insomma, tutto parte dal fisico, infatti in Contact era laureato in “Fisica Astronomica”.
Oggi, è un attore bravissimo, universalmente riconosciuto come tale.
Però, vi racconto questa.
Ieri, verso le 2 di notte, è venuta a bussare un’aliena alla mia porta. Ho guardato dallo spioncino, su “pigiama preoccupato”, dato il disturbo della quiete notturna a me provocatomi, e ravvisai in effetti una creatura più sexy sia di McConaughey e sia di Macpherson.
In poche parole, era un’Escort di un altro Pianeta…
Magic Mike: Sì, qui la perfezione tonica tocca livelli bagnatissimi. Oliante muscoloso. Eppur non mostra, coperto dal costumino, il muscolo a cui le donne ambiscono.
Sahara: Sì, McConaughey asciuga di fisico asciutto le donne più del deserto omonimo. Insomma, prima le donne, ammirandolo, sanno che è solo un miraggio, perché non avranno mai uno così, poi, da tanto son eccitate, vengono, eccome se vengono, prosciugate. Un bagnasciuga, insomma.
The Wolf of Wall Street: Cioè, Matthew, nauseato da troppe donne, diventa un esperto onanista perché stufo di stantuffarle.
Vuole solo annusare, da cui la d(r)oga.
Dallas Buyers Club: Spompato, deperito, poverino. Bisogna capirlo. Le donne hanno (ab)usato il suo oggetto, ah ah, tanto da renderlo anoressico sul punto del collasso. Infatti, anche qui, stufo delle donne ossesse, si diede agli omosessuali col rischiò però della non preventivata, nonostante la profilassi, AIDS.
Ma come ha fatto costui, nel giro di pochissimi an(n)i, a diventare così bravo, fenomenale?
A tal proposito, vi copio-incollo qui lo splendido, chiarificatore articolo di oggi, firmato Mariangela Sansone, apparso su Sentieri Selvaggi:
“Sì, era un tipo strano, Rust era capace di litigare col cielo se non gliene piaceva il colore”.
Nichilista convinto e lucido pessimista, Rust Cohle è un’anima solitaria dal passato doloroso e disperato, immerso in una storia dalle tinte fosche e mefistofeliche, insieme al collega Martin Hart nelle acque torbide delle paludi della Louisiana. La coppia di detective, composta da Matthew McConaughey e Woody Harrelson, è la protagonista della serie True Detective, creata da Nic Pizzolatto e diretta da Cary Fukunaga, andata in onda sull’emittente HBO. Un’opera al nero dai toni mistici e surreali, che si insinua tra le pieghe più oscure della società, tra riti satanici, droghe e violenza, aprendo uno squarcio sulla crudeltà insita nell’uomo, “man is the cruelest animal”. Dialoghi corposi, in bilico tra James Ellroy e Emil Cioran, conditi con una spruzzata di ironia, che sovente alleggerisce i toni esistenzialisti; splendida fotografia vintage, venata da sfumature seppia e dai colori freddi; regia impeccabile che, tra piani sequenza e campi profondi, incanta lo sguardo dello spettatore, incatenandolo a una magnificenza visiva di rara bellezza; due protagonisti di spessore, che hanno già collaborato insieme in diverse occasioni.
Grazie ai suoi personaggi, True Detective raggiunge il suo apice e la propria sublimazione, su tutti Rust Cohle, grazie alla magnifica interpretazione di un Matthew McConaughey in stato di grazia. Rust, tra i due, è apparentemente il più controverso, ricco di ombreggiature e dalla personalità imperscrutabile, “mi considero un realista, ma in termini filosofici sono un cosiddetto pessimista”. Volto emaciato e occhi ipnotici, timbriche profonde che caratterizzano il sapiente uso della voce, parole appena sussurrate; in una modulazione di bassi cavernosi, lo slang e le inflessioni linguistiche dell’America del sud si aprono a temi ontologici profondi, la diffidenza nutrita nei confronti del genere umano si concilia perfettamente con il suo stile di vita ascetico, quasi da eremita. “Sono dell’idea che la coscienza umana sia stata un tragico passo falso nell’evoluzione. […] Noi siamo creature che non dovrebbero esistere, secondo le leggi della natura”.
McConaughey (Uvalde, Texas, 1969) è interprete dalla recitazione viscerale, che riesce a donare ai suoi ruoli, soprattutto negli ultimi anni, credibili sfumature cupe, intrise di passione e di erotismo. La sua filmografia si è ispessita con il tempo, attraverso una continua evoluzione che l’ha condotto dall’epiteto affibbiatogli agli esordi, “The body”, per la sua fisicità prorompente, sino a conquistare l’ambito Oscar come miglior attore nel 2014 per Dallas Buyers Club. Nei primi anni della sua carriera si divide tra la sua professione da attore a quella da modello, cimentandosi anche con i ruoli di produttore e di regista, e alterna ruoli leggeri, come in Non aprite quella porta IV a film più impegnativi tra i quali spiccano Amistad di Steven Spielberg, Contact, di Robert Zemeckis e EdTv di Ron Howard nel 1999. Per dieci anni McConaughey si dedica alla commedia, sposando ruoli frizzanti, mescolando sapientemente all’ironia una strabordante carica sensuale. Il biondo texano, un po’ guascone, un po’ canaglia, grazie a un sorriso smagliante e agli addominali scolpiti, conquista soprattutto i cuori femminili. Ruoli che gli regalano la popolarità, proiettandolo nell’olimpo degli uomini più affascinanti del globo.
Duttile e capace, la vera sfida attoriale per McConaughey arriva nel 2011, quando viene scelto da William Friedkin per il ruolo da protagonista in Killer Joe, adattamento cinematografico dell’omonima piéce teatrale di Tracy Letts. Il texano offre un’interpretazione feroce e tagliante, un assassino spietato che non scende a compromessi. Il film di Friedkin segna la vera svolta nel percorso cinematografico dell’attore; lontano dai toni leggeri delle commedie, inanellerà, a seguire, una serie di ruoli che lo consacrano, a tutti gli effetti, l’attore del momento.
La sua fisicità impetuosa sarà sublimata nel 2012, in Magic Mike, di Steven Soderbergh, nel ruolo di Dallas, grazie al quale conquista come miglior attore non protagonista lo Independent Spirit Award. L’attore gioca con i topoi che hanno accompagnato il suo iter filmico; cinico spogliarellista, proprietario di un nightclub, con i muscoli ben in vista, alla ricerca di sesso, soldi e donne facili. La carriera artistica del texano è destinata a crescere di anno in anno, la sua filmografia abbraccia ruoli sempre più impegnati e personaggi stratificati, caratterizzati, spesso, da un’anima corrotta o percorsa da venature scure dalla luce crepuscolare.
Dopo Mud di Jeff Nichols, in cui dipinge, in modo convincente, la figura di un uomo in fuga, lacerato dalle catene dell’amore, misterioso e sognatore, regalando al suo pubblico un’interpretazione intensa, è proprio nel 2013 che McConaughey riceve la propria consacrazione artistica. Interpretando lo yuppie rampante, Mark Hanna, affezionato alla cocaina e all’onanismo, spregiudicato re della finanza, in The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese, conferma la sua alta levatura artistica; un piccolo ruolo, poco più di un cameo, ma che dona spessore a tutto il film e che lascia il segno; indimenticabile la scena in cui spiega “le regole basilari” ad un inesperto Jordan Belfort, interpretato da Leonardo DiCaprio.
Dallas Buyers Club, diretto da Jean-Marc Vallée, è quindi il film che lo porta a trionfare a Hollywood con una serie interminabile di riconoscimenti. Un film denso che poggia le sue fondamenta sulle capacità recitative degli interpreti, Jared Leto ed un Matthew McConaughey intenso e magnetico; un ruolo che lo consacra nel parnaso hollywoodiano, grazie ad un’interpretazione non semplice, che lo mette alla prova anche nel fisico (circa venti i chili persi). Malattia ed omofobia segnano il percorso, quasi ieratico, del suo Ron Woodroof, il viso scavato e gli occhi malinconici ma la rabbia e la forza tipica di un combattente indomito. Con gli anni l’attore ha dato nuova linfa alla propria carriera, grazie a ruoli sempre più complessi, mai banali e certamente non semplici, la sua recitazione si è arricchita di sfumature crepuscolari e si è fatta più spessa, dando vita a personaggi complessi dalla personalità multiforme, in cui i lati oscuri, in alcuni casi, prevaricano, donando una sublime fascinazione recitativa ai suoi ruoli.
Robert De Niro, vogliamo esserti di nuovo amici e non (da) Amici
Robert De Niro, rivedendoti sfilare a sfidare beffardamente, dall’alto della tua esperienza, i ragazzi di “Amici”, m’hai colto di (tua) nostalgia…
Robert De Niro, anche i miti si “abbassano” al comune volgo per scandir i passi del lor (non) viale del tramonto…
Se ci sei, non arrenderti, batti ancor dei colpi, se perdiamo anche te, per noi è il colmo, ché l’umanità, già incolmabile d’insaziabili voglie sol di s(ucc)esso facile, sta oscenamente precipitando nella voragine abissale dell’ignoranza più spastica
Suvvia, Bob, rinnova il tuo innervato fervore perché non sei un “fu” e, da non sepolto, ancor sguazzerai tra personaggi che ridaran lustro, e non soltanto danari, al tuo carisma comunque (da) intoccabile, perché devi dimostrarci di avere ancor (in)tatto elegante e non puoi lasciarci con le tue ultime pellicole assai qualitativamente pericolanti. Traballasti a inizio anni duemila, già optando per scelte sbiadenti la tua forte personalità coriacea d’attore indiscutibile e indissolubile. E in quegli anni t’adattasti al triste andazzo che è purtroppo divenuto scialba, materialista modernità ove i gra(da)ssi stan (s)colando solo l’oro contraffatto dei valori, non solo cinematografici, invertiti. Ove ogni rozzo interprete improvvisato sta arrugginendo la bellezza del Cinema che, in quanto Arte maiuscola, “propedeutico” al forgiante insegnamento delle coscienze superiori, e non ricattabile per un paio di (ri)cotte, dev’eternamente luccicare e non corrompersi fra le appetibili, eppur vi dico molto diaboliche, dunque illusorie, co(s)ce godenti subito e presto. Il grande Cinema è sacrificio e non possiamo venderlo agli orefici degli orifizi.
Vedo oggi tristi guitti che, “grazie” al loro pagliaccesco le simpatie accattivarsi, stan (de)nutrendo le anime, peraltro già avvizzite, di tal rinsecchita umanità che si rimpolpa soltanto di barbariche lotte vanagloriose inchinate al sesso più mercificante e al facile (contrab)bando “ludico”, impudico, dell’accesso invero solo ai cessi.
Ques’umanità è atterrente ma io non me ne atterrò. Voglio al cinema atterrar su emozioni pure, dure, di candore o di sapore, ma basta con questo buonismo all’acqua di rose. Forse, lavar la testa agli asini mi farà perdere solo acqua, farina del mio sacco e sapone ma è una f(at)ica che debbo provare per non farmi provare da quest’orrore che m’intristisce, amareggia e sconsola infinitamente, stremandomi. Tremate, torneremo! E sarà un terremoto! Un vostro mal di mare a tutto averci fatto navigare in questo enorme amor stupido, aromatico di apparenze vane ma in verità depistanti e malvage! No, giammai atterrito, non m’intenerisco, non m’intenerirò, e non m’adatto alla massa e al suo suggente, “materno” allattamento. Non v’è nulla di struggente in questa contemporaneità tanto invece da voi lo(r)data. Annuso sempre più puzza di merda. E non è un gran bel sentire in giro… discorsi di mezze cartucce, tutti incentrati su culi e sfanculare. Che “grande bellezza”…
Perché esigo che i capezzoli del Cinema gustoso m’allevino in una valle pensante e non nella paciosa tranquillità falsa di tal “giocosi” esserini trastullanti.
Ove ti smarrimmo Bob? In qual landa tua del Tribeca, ché tanto ti dette soldi in cassa ma tanto ti fuorviò nel già comprometterti e non prender da nessuna retta strada? Sì, perché per sostenere la tua casa di produzione, e poi relativo festival newyochese, ti costringesti a ruoli striminziti ma ben pagati, per(d)endo il senno dell’attoriale, intimo, adamantino senso.
Ti ricordi, oh Bob, quando Leone Sergio morì e tu piangesti la sua memoria, memore di C’era una volta in America e di quel monumentale, altro epico progetto, Leningrad, per il quale Sergio aveva in serbo ancor d’affidarti il ruolo principale?
E dunque vedi di smuovere Scorsese Martin a girarci questo The Irishman.
Non v’è tempo da perdere. Quando lo girerete? Quando leccherete i Girelli gelatini all’ospizio, giocando a briscola? Dai, un colpo rubamazzo come Casinò! Sbancante, da far i detrattori sbiancare!
Non star con le mani in mano. Di dieci film che annunci, ne porti a termine mezzo. Mezzo anche di significato mediocre a non esser né bello né brutto, ma soltanto un dimenticabile filmetto.
Allorché, su IMDb noto che presto girerai The Intern di Nancy Meyers con Anne Hathaway. Ben che vada sarà una discreta commedia dolce-amarognola “godibile” nello stile “femminista” di tal regista da what women want. Nulla di più. No, ‘sta roba non m’attizza, nonostante le tette dell’Hathaway già me lo stuzzican e me lo “schizzan” ritto.
Rendi giustizia al tuo mito! Vedi? Già ereditare Gandolfini per Criminal Justice della HBO, che peraltro è scritto e anche di episodio pilota diretto da Steven Zaillian, sceneggiatore nel futuro-prossimo-chissà se lo vedremo di The Irishman, appunto, mi fa ottimamente sperare già in qualcosa di migliore.
Bob, Bob De Niro, non fare il cazzone. Non farmi incazzare! Non giocare col mandarino, la mandorla e la catenina della De Filippi. Quella ha da “allattare” solo degl’illusi, convinti che si diventa attori grazie all’audience e basta, torna a Los Angeles, cont(r)atta due/tre pezzi da novanta e impara da Clint Eastwood.
Hai quindici anni meno di lui ma sembri suo nonno in confronto alla sua vitalità e acutezza. Hai sputtanato gli ultimi quindici anni abbondanti della tua carriera, stronzeggiando fra ospitate, cretinate e (auto)parodie.
Mi par ora che tu torni a far come iddio vuole.
Cioè tu stesso De Niro?
No, come ti amo io e noi.
Scambiatevi un segno di pace solo pregando, nella speranza misericordiosa che la Provvidenza illumini Bob a uscir dalla pece.
Firmato Robert De Niro, cioè Stefano Falotico
Non ho ancora finito!
Rifletto sulla società italiana. Società di pagliacci. Tutti bravi a educare i figli più intelligenti e svegli, quelli predisposti e propensi alle arti, alla poesia, all’elevazione morale. Oggi, questi figli sono quasi tutti impazziti, c’è chi è finito nei centri di salute mentale perché va disintossicato e normalizzato, ah ah, chi si è suicidato perché deluso da troppe aspettative poi non riconosciute, chi ha mollato ed è andato a vivere all’estero. Chi è restato ed è stato arrestato per vilipendio al pudore, ah ah. Perché l’Italia è questa, falsa, sporca, vigliacca. Prima insegna a vivere (da) alti, poi ricatta costringendo al qualunquismo di tutti gli altri, a (im)piegarsi all’adattamento più laido e maialesco. E quelli che non ci stanno diventano i disadattati da curare. Da torturare, offendere, schivare, emarginare e da non rimarginare!
Io continuo a dire no! Che piaccia o sì!
Chi non è con me, è con voi! E molti di voi non mi piacciono!
E se provate a dirmi che devo farvi altri piaceri, ah ah, riceverete solo libri in faccia!
Ché siam tutti bravi a scoparcela… è molto più difficile non farsi trombare dalle illusioni!
Quindi, giustamente e orgogliosamente delusi, vi eludiamo.
E alle figate preferiamo le fughe!
Se tu vuoi pagarla, pagala, ma lascia stare me, io non mi svendo.
E contro il muro delle omertà ti sventro!
Clint Eastwood, osannato dalla Warner Bros
Con la consueta, statuaria eleganza che lo ha sempre contraddistinto, il grandissimo Clint Eastwood ca(va)lca il tappeto della Warner, che presenta i film del prossimo anno.
Atteso per Giugno col suo Jersey Boys, e già pronto, fra pochissimo, a dirigere un altro film, American Sniper.
Ecco voi, mister impareggiabilità.
Applauso!
Bob De Niro & Alfredo, Al Pacino
In attesa di poterli vedere davvero assieme in The Irishman di Scorsese, film le cui riprese vengono purtroppo sempre rimandate, e di cui oramai dubito che un giorno possan prendere il via, gustiamoci questi arzilli ultrasettantenni, magnifici e in splendida forma, De Niro e Pacino, appunto, al SeriousFun Children’s Network Gala, tenutosi in quel della 42nd Street on April 2, 2014 a New York City.
Appaiono sorridenti, rilassati, felici, con un De Niro scatenato che sabato, ahimè, vedremo dalla De Filippi, ma già pronto per nuovissime imprese cinematografiche e non, dalla serie televisiva della HBO, Criminal Justice, a onorare, rimpiazzandolo, il compianto James Gandolfini, a The Intern di Nancy Meyers con Anne Hathaway sin al già appetibilissimo Candy Store di Stephen Gaghan e, molto probabilmente, The Comedian per la regia del suo immortale, sempiterno amico Sean Penn.
Lo stesso futuro ancor luminoso e da stacanovista dicasi per Al, che a fine anno vedremo in Imagine, memore di John Lennon, nel già annunciatissimo Manglehorn e in The Humbling di Barry Levinson.
Un Pacino sempre affamato di Cinema a cui auguro sempre il meglio e la vita gloriosa, eterna in maniera immarcescibile, e per cui spero giri Happy Valley, film biopic su Joe Paterno che, stando a quel che si disse oramai circa un anno fa, dovrebbe segnare la terza collaborazione fra lui, appunto, e il mitico, immane Brian De Palma. Per la cronaca, per quelli dalla memoria corta, anche se mi par pleonastico e quasi fastidioso ricordarlo, assieme han girato due capolavori assoluti e intoccabili, Scarface e Carlito’s Way. Insomma, mica roba da ridere.
Evviva Bob e Al, il Gatto e la Volpe. Anzi, vecchie volpi più in gamba di tanti giovani attorucoli da strapazzo, assai legnosi e soltanto burattini inespressivi nel senso peggiore di Pinocchio.