A History of Violence, Evil
di Stefano Falotico
A History of Violence
Lembi di morte funebre scotono l’anima ambigua e funesta di Tom Stall…
Esistono personaggi del Cinema che si stampano immediatamente nella memoria. Quando ciò accade, siamo quasi sempre dinanzi a un capolavoro indiscutibile. Quei ruoli iconici, titanici che s’imprimono violentemente in noi, e non possiamo scordarcene, sono i personaggi appunto indimenticabili.
Penso al predicatore Bob Mitchum de La morte corre sul fiume o, più recentemente, al Christoph Waltz di Bastardi senza gloria. In entrambi i casi, due personaggi impressionanti per finissima cattiveria sottile, incastonati in una recitazione talmente sobria, mai caricata, sempre perfettamente bilanciata in misurata espressività però così tagliente, da provocarci quel brivido sleeper ché c’han già posseduto e rapito a incantarcene, incatenandoci alla potenza, quasi ieratica perché proprio impalpabile ma irresistibilmente magnetica, memorabile, da marchiarci per sempre nel loro crisma carismatico… dell’attore e del personaggio interpretato.
Ebbene, il protagonista di quest’ennesima perla di Cronenberg, Tom Stall, è il ruolo ancor imbattuto di Viggo Mortensen, infinitamente più attrattivo, seducente dei pur suoi notevoli altri due girati col nostro amato David, vale a dire il freddo, coriaceo, spietato mafioso russo Nikolai Luzhin de La promessa dell’assassino e il padre fondatore della psichiatria, Freud, in A Dangerous Method.
Perché qui Viggo è superba, inarrivabile incarnazione sublime e “sobriamente” crudele del male, di quella forza oscura che dalle origini dei tempi è radice inestirpabile dell’animo umano… ma procediamo con calma.
Ad analisi dell’importanza statuaria, monumentale del film, incentrato proprio sulla dirompente forza d’urto del suo protagonista, a sua volta imprescindibile centro convergente a fulcro di tutta la trama, invero all’apparenza “banale”, quasi un pretesto catturante, ipnotico per innescare il processo di repulsione e però al contempo vivida empatia che noi, spettatori, all’istante cogliamo in Tom e dal quale, irreversibilmente, patiamo l’atroce magnificenza esplosiva. Sì, un film che ci dorme dentro, s’espande visione dopo visione ad ascendere nell’empireo delle perle più grandiose e luccicanti. Non succede nulla, quasi nulla, accade quindi tutto, è il grido sepolto dei nostri istinti sedati, intimoriti e soffocati che Cronenberg fa detonare con la montante perizia chirurgica di cui è assoluto maestro.
Tratto dall’omonima graphic novel di John Wagner, è una “banale” storia di violenza… piombata dal nulla.
Tom Stall è il gestore di una tavola in una classica, noiosa, fin troppo tranquilla assonnata cittadina dell’Indiana, l’anonima Millbrook.
Una sera, nel suo ristorante, entrano due tizi poco raccomandabili.
Chiedono l’ordinazione ma Tom Stall, gentilmente, la declina, dicendo loro che oramai il locale sta chiudendo.
I due tizi, molto contrariati, bruscamente dichiarano “stato di rapina”, e prendono in ostaggio una cameriera, tentando di ucciderla.
Tom Stall, in riflessi d’aquila, li ammazza a sangue freddo, con una velocità da far impallidire gli astanti. Diviene, da quella sera, (in)consapevolmente l’eroe da prima pagina dei giornali, e una troupe televisiva si reca a casa sua per intervistarlo.
Fin qui, nessun “problema”.
Al che, giunge in città un losco figuro con un occhio di vetro e una profonda cicatrice che gli deturpa orrendamente il volto, Carl (uno splendido, eccezionale Ed Harris).
Carl, assieme ai suoi scagnozzi, delle specie di macabre, fantasmatiche guardie del corpo dall’aria minacciosa e temibile, inizia a tormentare Tom, facendo visita, a sua insaputa, alla moglie e arrivando a ledere la loro innocente incolumità.
Le ragioni, che guidano Carl ai suoi gesti, sono ignote, dichiara soltanto di conoscere Tom, e di avere un conto in sospeso con lui. Anzi, che sarebbe stato proprio Tom, molti anni addietro, a ferirlo in viso e a cavargli l’occhio.
E, dal buio della coscienza sotterrata, divampa furiosa la violenza inarrestabile del “dolce”, “bravo”, insospettabile Tom…
Un film che s’addentra nel territorio fascinoso e inquietante della paura, radente il senso mai vinto e imperscrutabile d’animalità insito nell’essere umano.
Chi è Tom, in realtà?
Una sorta di Jack Torrance di Shining, colui che, per addomesticarsi a una paciosa vita domestica, “casa e chiesa”, ha represso la sua natura, sfuggendo a sé stesso, al mostro che s’era illuso di castigare e dominare?
A voi la risposta.
Il mio omaggio particolare ad Harold Ramis: siamo identici, due burloni
di Stefano Falotico
Non so, accadon di quelle morti piovute dal cielo, all’improvviso, senz’avvertimento da triturarti le vertebre. Così, una volta apprese repentinamente, semmai collegandoti a un sito di notizie cinematografiche, ti coglie un forte, lancinante malore, perché il morto non è un “grande” nome, non ha vinto nessun Oscar, se non sbaglio, e girava commedie tutt’al più garbate, così si dice(va) in gir(in)o.
Girava “filmetti”, buoni per una serata con un caffettino in mano per sbrogliar, con una sana e intelligente risata, mai volgare nonostante qualche “affondo” sottilmente goliardico, il retrogusto dolciastro della vita quotidiana ove, oberato da tanti pensieri, ingarbuglianti la tua anima, sempre sull’orlo del collasso emotivo, con un “pizzicotto” di felicità e buon umore, pigliando la vita per il culo, ti afferrava “al lazo” e ti rallegrava il fegato, euforizzando i tuoi lineamenti troppo tirati da chi domani avrà altri casini pesanti.
Penso dunque al suo assoluto capolavoro, Ricomincio da capo, lo è ed è inutile che (non) ridete, ah ah (piaciuta la beffarda battuta “matriosca” di doppio senso?).
Ora, se proverete a digitare il nome di Andie MacDowell su IMDb nella chiave “Search”, vi comparirà in automatico proprio Groundhog Day, il film per cui, da database mnemonico, potremmo dire, viene associata.
Per il resto, a parte Peter Weir, ha girato stronza(te).
Insomma, Andie, sino a una decina d’anni fa era la classica bellona atipica dall’aplomb statunitense quasi da inglesina che mi sarei scopato volentieri nel mio miglior Michael “Spiritello porcello” Keaton da Mi sdoppio in quattro. Eh sì, all’epoca non era la classica strafiga da copertina, nonostante i suoi (trasc)orsi da modella e “mollarla” con facilità un po’ a tutti, ma il suo visino stimolava non poco fantasie ben oltre la comicità… sapete quando uno guarda una bella donna e pensa, fra sé e sé, senza neppure confidarlo al miglior amico-figlio di puttanazza, “Cazzo, una botta gliela darei, senza troppi complimenti, e poi le offrirei anche una doccia di dose gocciolante doppia su miscelatore gelato in pioggia bollente”. Sì, Andie sapeva il “fallo” suo, illiquidendone molti e liquidando gli stronzi, mica come ora che pubblicizza shampoo “mestruativi” da ex gattina in calore, sfibrata nel sessappiglio color “bagnoschiuma” che fu. Andie era effervescente, donna sexy ma senza dar nell’occhio, eppur “dandola” a vedere con velata lunga gonna da signora di classe brillante. Appartenente alla razza delle migliori, ché tengon nascosta la “refurtiva” con aria elegante da furbette. Eppur la scorgi, l’annusi nel naso suo arricciato su labbra dal rossetto rosato ché vuol arrossirtelo con far(d) maliardo e osé. Sì, diciamocelo…, nel letto i suoi orgasmi avrebbero spaccato di urla anche gli amplificatori delle casse Sony, casa sweet home. Bando alle chiacchiere da donnette, evviva Marlon Brando, Andie è sempre stata una da Bill Murray, un campione della buffoneria con però un che di carismatico da appagar la donna anche sol toccandola col “guanto” della sua facciona da schiaffi, anzi da “sberlona”.
A parte le cazzatone e i cazzotti che riceverò, se bussasse a casa mia per un pomeriggio “movimentato”, anche ora che ha le zampe da gallina, le cucinerei un bel “brodino”…, col dessert del mio “burrocacao” scremandola di soffice “budino”. Andie è ancor buona… Ah ah, sono un marpione, un gattone Garfield per le coccole di “fusa”. Ascolto musica leggera, tamponandole di rock su strimpellarlo in andatura jazz. ‘Sti cazzi!
Ce la vogliamo dire tutta? Sono un uomo che è riuscito a concretizzare il binomio da intellettuale alla Woody Allen di Manhattan a schizzato (im)pentito da Paul Vitti, tendente al “ma(ia)le”. Possiedo un’erudizione da Billy Crystal geniale, arruffianandomele tutte su cultura “arruffata”-ammiccante da sobrio one man show con le gambe “accavallate” e la pipa in bocca, affascinante perché irresistibile testa di cazzo lì andando a parar “pen(s)ante”. Sì, le donne non amano i tipi troppo muscolari anche se non disdegnano le dimensioni del muscolo per antonomasia. Prima di tutto… tutto tutto, guardano al cervello. Se sei un testone, basta che tu non sia però un tardo testardo, cioè un coglione, te la fan tastare dopo tre parole auliche che hai rubato dal vocabolario Treccani. Eh sì, le cagne migliori adorano il cagnolino di efficienti neuroni, diciamo che lo reputano, secondo la legge evolutiva darwiniana del “Te la do se mi tira il tuo cranio sapiens sapiens”, più appetibile per imboccarselo sotto le copert(in)e rimboccate. Testa da declinar in testicoli… Da cui gli angoli smussati delle orecchie di Andie… questa non l’avete capita, l’ha capito lei… eh sì, quelle riviste di moda, ove esibiva il sorriso ai massimi carati, emanavano la seguente, irrinunciabile regola d’attrazione topica della topolona leggermente puttanina: “Ti sto sorridendo solo se tu sai guardare oltre l’apparenza, ti sto chiedendo più di una sega, non solo mentale, ti voglio intellettualmente stimolante, solo così potrai leggermi all’interno…”.
Donne così ti sfiancano, fidatevi. An(n)i fa, ad esempio, la mia ex, prima di stantuffarla, pretendeva che le scrivessi delle lunghe lettere d’amore degne di Leopardi. Insomma, ti rendeva prima pessimista cosmico eppur colto su cotto frustrato-falso innamorato quando invece volevi solo fotterla da Silvia mi rimembri, poi le potevi dar il “membro” non tanto depresso… Sarà per questo che al romanticismo ho sempre preferito l’ermetismo. Almeno, se sei ermetico, ti fai i cazzi tuoi, e gli altri non capiscono un cazzo dei tuoi ragionamenti. Più di tanto però non duri, perché le donne prediligono, di (di)letti, quelli… più estroversi e non d’un ver(s)o tipo da topo: “Stamane, immanentemente, venni alle mani”. Una strofa che non va bene alle “acculturate” scrofe. Devi esser più diretto e ritto…
La mia ex era una bella f(at)ica, sapete? Ne valeva la pena di così spremer le meningi del pene?
Ah, sicuramente meglio di tanti femministici monologhi delle vagine. Quelle che parlan sempre e poi non te la… “sparano”, son tutto fumo e niente arrosto. Ora, è per questo che un Boss sotto stress è un grande film.
Chi l’ha reputato mediocre, non può capire la respirazione “bocca a bocca” dello stato paranoico da romantico alla West Side Story. Cioè… se l’uccellone “mafiosetto” tieni in gabbia, dopo la crisi di scompenso catatonico, diventa irrequietamente (im)mobile. E nessuna cura può addomesticarlo…
Da cui il detto, tira più un pelo di femminuccia che i buo(n)i.
In poche parole, Harold era un genio. Uno che, con le sue battute delicate, rompeva i “coglioni”. Beffardo, goliardico, ultimamente anche ingrassato di lardo. Da cui il detto, e la data, tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.
Ora, devo rendere carnale il mio ghostbuster in mezzo alle gambe.
Ciao.
Firmato Falotico, testa di cazzo come poche…
Eh già, sono “imbarazzante”. Vi racconto questa anche se, oggettivamente, era meglio l’altra…
M’invitano a una festa e faccio il Belushi, ex amico di Harold.
Mi avvicino a questa e mi presento così:
– Ciao, sono Stefano. Chi sei? Come stai? Fra quanto me la dai?
– Come ti permetti? Io sono una donna laureata, in carriera.
– Anche in cerniera. Cioè, hai studiato per averne… tanti. Manco io alla “cappella”. Chi è già nell’appello? Ah, capisco, quello… l’hai già ridotto simil osso buco, infatti è un “dottore”, alla “penicillina”. Non gli hai sbucciato la patatona.
Il suo amico me ne ha date. Tante, più accontentabili. Meno da bile.
Io non cambio, tendo a “buttarla” a ridere.
Fidatevi: fra un romanzetto Harmony, buono solo ai leccaculo delle manze ipocrite, è meglio Ramis.
Sa come prendere per il popò su far bifronte da apparente ippopotamo. Il fallo è, oh, scusate, il fatto è che nessuno/a se ne accorge. Eppur la proboscide ci sta.
Così, scambiano Umberto Eco per un grande e i commedianti per dilettanti. Non hanno capito un cazzo della vita.
Secondo voi, a Umberto Eco ha mai tirato davvero il culo? Secondo me no.
Mi chiedono se ho letto, allettandomene, “Il pendolo di Foocault”, masturbazione oscillante e mai centrante. Lì a focosa burocratizzante.
Rispondo che preferisco il caz’ in cul’.
Anche se faccio un lavoro da pendolare. Sapete, adoro la sincerità trombante, che sa girarci attorno nel tergiversare ma senza palle micidiali da tromboni.
- Terapia e pallottole (1999)
- Indiavolato (2000)
- Qualcosa è cambiato (1997) Harold, in vesti cameo, ha preso a cuore la situazione della donna che scopo. Anche se avrei bisogno io della cosiddetta iniezione. Di fiducia e anche di pensione. Sono nevrotico, sono una merda, sono fascinoso alla Jack Nicholson.
Addio al grande Harold Ramis
Ebbene, a 69 anni, muore anche il nostro ghostbuster.
Harold Ramis secondo Sentieri Selvaggi:
Aveva appena 15 anni, Judd Apatow, quando da giovane inviato della radio del suo liceo, va ad intervistare Harold Ramis. 23 anni di differenza: Ramis era nato a Chicago il 21 novembre del 1944, Apatow vicino New York, nel 1967. In comune una famiglia ebraica, e la passione per la scrittura e la comicità. E Apatow lo vorrà come regista di Anno Uno (2007) facendogli interpretare, non a caso, il ruolo di Adamo.
Perché Harold Ramis, scomparso a 69 anni proprio ieri, è una sorta di “padre putativo” della nuova generazione di comici e commedianti americani del 21° secolo. Non solo Apatow, ma i Fratelli Farrelly, Adam Sandler e tanti altri, lo riconoscono come un padre spirituale della loro comicità, vero e proprio punto di riferimento culturale. Ramis fa parte di una generazione folle, quella di (per citarci) Douglas Kenney, Tony Hendra, Chris Miller, Sean Kelly, Michael O’Donogue, ovvero quei pazzi scatenati che fondarono la rivista satirica “National Lampoon” e, “dal 1970 partirono come rivista, ma con occhio molto “industriale” allargarono a macchia d’olio la loro sfera d’influenza, prima con Show, poi con una vera e propria radio. A questo gruppo si aggregarono successivamente John Belushi, Harold Ramis e altri” (da “Stupendamente volgare, piccola storia del demenziale”, Sentieri selvaggi n. 1, aprile 1988).
Harold era uno strampalato ragazzone degli anni sessanta (era altro quasi un metro e novanta) ma aveva sempre quell’aria da bravo ragazzo con gli occhiali tondi, che deve essergli stata utile quando, per evitare il militare (e il Vietnam) fece una super indigestione di metanfetamina, spacciandolo per un esperimento scientifico… Ma lui era un gran creativo, pieno di idee, un vulcano di comicità, attore e scrittore, una combinazione, come si autodefiniva, tra Groucho e Harpo Marx, dove del primo riprendeva il suo umorismo come vera e propria arma contro le classi superiori e di Harpo quello strano fascino antico e stranamente sexy…
Agli inizi degli anni 70 approda insieme al suo amico Bill Murray, e grazie a John Belushi, alla sperimentale piattaforma televisiva (e teatrale) di Second City, punto di lancio di tanta comicità americana di quegli anni. Proprio l’incontro con Belushi, in qualche modo, spinge Ramis sempre più verso la creazione di comicità piuttosto che l’interpretazione diretta, che pure proseguirà parallelamente negli anni. “Quando vidi John Belushi sul palco per la prima volta – ha raccontato – ho capito che non ci sarebbe stata altra star all’altezza nella commedia. Ho visto quanto fosse disposto ad andare oltre per ottenere una risata, che linguaggio avrebbe usato, che fisicità, al punto di gettarsi letteralmente giù dal palco, ho pensato: come avrei mai potuto ottenere abbastanza attenzione su di me sul palco a confronto di gente come questa?
Ed eccolo Ramis lasciare Second City Tv per lanciarsi, con Douglas Kenney, nella sceneggiatura di quel National Lampoon che poi sarebbe diventato, nelle mani di John Landis, National Lampoon’s Animal House nel 1978. Chris Miller, Doug Kenney e Harold Ramis, avevano scritto il testo pensando proprio a John Belushi come protagonista assoluto, poi genialmente “ridimensionato”, nello spazio ma non nella forza scenica, da un lungimirante Landis, consapevole della straripante comicità di Belushi. Il risultato fu una commedia che incassò 141 milioni di dollari, e la nascita “ufficiale” del cinema demenziale. L’anno dopo Ramis scriverà Polpette, altra commedia demenziale diretta da Ivan Reitman e interpretata da Bill Murray, cui seguirà nel 1981 Stripes – Un plotone di svitati, sempre diretto da Reitman, è l’era aurea del cinema demenziale, e quando nel 1984 Ramis scrive, con Dan Aykroyd, Ghostbusters, una commedia fantahorror assolutamente innovativa all’epoca e interpretata dai due più il solito Murray, il successo è planetario: Ghostbusters diventa uno dei più grandi successi commerciali degli anni ottanta.
Da lì la carriera di Ramis sarà ricca di interpretazioni (Ghostbusters II, Qualcosa è cambiato, Molto incinta) e di sceneggiature e regie, con almeno un paio di capolavori, come Ricomincio da capo (Groundhog Day), deliziosa commedia sull’immobilità del tempo quando i sensi si appannano, e Mi sdoppio in 4 (Multiplicity), scatenata critica della ragion impura del capitalismo rampante, che ci vuole esseri umani perfetti a 360° tra famiglia, figli, mogli, con la magnifica invenzione del doppio (e triplo, quadruplo) di sé per essere in grado di stare al passo coi tempi (della produzione e del consumo…).
Poi fino a oggi altri film belli e unici, Terapia e pallottole (Analyze This), Un boss sotto stress (Analyze That), Anno uno (Year One), senza però risucire mai a realizzare il suo sogno di un film sull’anarchica Emma Goldman, la popolare Red Emma, eroina rivoluzionaria del movimento anarchico tra la fine dell’800 e l’inizio del 900. Forse in questa curiosa figura di anticapitalista, antimilitarista e persino, poi, anticomunista, Ramis rispecchiava, in qualche modo, il suo animo anarchico libertario.
E ci piace ricordarlo ancora, quando Bill Murray, in Ghostbusters, gli dice:
“Spengler, dici sul serio, catturare fantasmi?”
E lui … “Io non scherzo mai.”
La par(ab)ola di Gran Torino
di Stefano Falotico
Perché Gran Torino è uno dei film più importanti della Storia del Cinema? Perché…
Quando si sconfina, un vecchio guerriero, nell’anima più giovane di tanti ribaldi teppisti, riemergendo come un fantasma, fra la putrescenza dell’omertà (in)cosciente d’una cittadina che fa sventolare la bandiera americana a stelle molto sbiadite del clima sotterraneo di piccole e grandi violenze taciute, strisciando egli stesso a monito babau d’una notte fervida e latrante ira tremante, ripulsante in crepacuore per l’ennesimo, imperdonabile sfregio, compirà la carneficina bianca, a virtuoso, valoroso marchio sacrale del sigillarsi nella bara da (non) morto evanescente di sua vendetta sottile, meticolosa, pianificata da giorni con un’acutezza da gelar il sangue dei vigliacchi, dissotterrando l’ascia di guerra in un assalto predatorio da straniero senza nome, ad elevarsi divinatorio alla punizione biblica del doloroso, afflittivo scagionarsi dai suoi errori ma soprattutto a porre fine all’indicibile, non detto, (s)premuto orrore asfittico, scagliando(vi)si contro… Con una spietatezza terrificante, crepuscolare, ammutolente, d’una finissima intarsiatura della sua anima indelebilmente screpolante, gocciolante la repentina, (in)ferma, furiosa rabbia strizzata nel non più cheto addomesticarla, al sin ad allora pacioso frenarne l’istinto esplosivo di vendetta, al fine proprio di sopprimere, finalizzare il desiderio suo intimo e scalpitante, castigato nell’aver affievolito il tonante, interiore non averlo sviscerato, bensì inespresso, oppresso, sedato e martirizzato per il solo gentile… timore di suicidarsi… se l’avesse in sé fatto esplodere!
Sì, dopo tanto gelo nelle sue ossa, Walt passeggia senilmente rannicchiato a guscio, sputante sol borbottii e singhiozzi livorosi d’asma polmonare e cuore strangolato dalla sua peggior paura, tornare nella giungla delle mostruosità, perché non vuole più confessare al prete, e soprattutto alla sua immagine allo specchio, il cane di paglia che prova incessantemente a reprimere, logorandosi contorto dall’ingannarsi ancora, mortificando la natura violenta sua e di noi tutti, quella sana voglia primitiva, sana e recondita, atavica e profonda dell’uomo, cioè il pareggiare selvaticamente le ferite inferte, avvincendole al delirio d’onnipotenza di chi, in stato di forza maggiore, quando l’orrore è troppo e nessuna sa(n)tità o ponderatezza del diplomatico cheto vivere potrà mai rimarginare il taglio, l’amputazione di un’anima scannata dai cannibali, (non) sanerà.
E lì, il suo vecchiaccio odioso, misantropo, eremita, sgualcito, flaccido, rancoroso, inviso e, sì, emarginato perché forse incarna soltanto la personificazione di tutto ciò che gli altri oserebbero dire ma non diranno mai a difesa di quei tabù tenuti nascosti, raggelati da una coltre di vacue, vanitose apparenze, di spiritosaggini frivole e pettegolezzi (a)normali, solo per la preservazione d’una integrità (im)morale già andata a farsi fottere dal lor primo bugiardo respiro, in quel luogo solitario, da mezzanotte nel giardino del bene e del male, rinascerà a salvazione sua e di tutte le impunite crudeltà d’animali… quelli che noi, invero e in ventre, siamo… anche se men(t)iamo.
Scabrosità… nessuno osa sporcarsi le mani per sporche, (in)visibili faccende che (non) li riguardano e (non) li toccano. Bruciano lo scandirsi giusto del rintocco ché tutti (ri)fuggono. Così è la vita e avanza la processione dei morti, segregati in eburnee, sì, nerissime villette a schiera che celano la fosca discesa infernale delle loro anime consacrate al mystic river, alla liscezza orripilante, mentitrice e appianante dell’ipocrita, menefreghista rabbonire le ingiustizie a seppellirsi nel panta rei del mutismo, delle bocche cucite, del farsi male stando zitti ma assurdamente non proferir neppur un fiato ché non è da irrorar l’anima silenziata con l’urlo della verità che invece lì sotto, seppur assopita, gelidamente smorzata dal triste buon senso, annacqua e non s’infuochi… Si son spenti, si son immolati all’arsione dei loro cuori pur di (non) patire l’espiazione del davvero guardarsi dentro, spiarsi e scovare il mostro che hanno rinnegato pur di vivere… pur di così morire nel brindare già blindati, ora dopo ora, lune in tanti soli… sempre più opachi, perennemente già incanalati nel fango del virale morbo della contraffatta, in tal (s)fatta, vita stessa ingannata.
Ecco, Walt Kowalski. Un tizio da ospizio, da casa di cura, un ferro arrugginitissimo buono solo a sputare… non sa più nemmeno sparare fra chi spar(l)a, imbraccia il fucile se ode i ragazzini far casino, ma non (s)preme… è il grilletto parlante a sussurrargli di tener ferma la mano. La mano trema, la mira tentenna di (non) inquadrarla più come prima.
Lascia stare, lascia perdere, lascia che tutto sia… orrore.
Ma qualcosa ti ha disturbato, non so cosa ma qualcosa ti ha disturbato… si son rotti gli equilibri, dirompendoti nell’anima uccisa da una violenza tanto glaciale da farti (ri)vivere.
Allora, tutti sanno… quel che fastidioso, terribilmente irritante, tutti provano a fermarti ma non si placano le voci del silenzio in te gridanti.
Ti rechi sotto la casa di quelli là.
Implori loro di confessare. No, non è vero.
Stai chiedendo loro di ucciderti…
Perché, ammazzando il lupo cattivo, libererai ogni Cappuccetto Rosso che è stata sbranata dai cacciatori…
Regalando alla giovinezza, ancora inviolata, il suo volo libero.
Ecco perché Gran Torino è uno dei più importanti capolavori. Non solo del Cinema.
Perché in questo film, come dicono gli imbecilli che si credon dritti, la noia, ah ah, regna sovrana, infatti non succede nulla.
Proprio un cazzo di niente.
Ora, fratelli della congrega, prima di concludere la mia omelia, voglio narrarvi questo…
Anni fa, dei balordi, lordanti un’anima, risero sotto i baffi, tranne uno di loro. Lui pianse.
Perché quell’uno… conosceva la “vittima” meglio degli altri e, fissandolo, pensò: state ridendo del suo “mulo”, e pensate che tornerà con la coda fra le gambe, incassando le risate e continuando a (soprav)vivere stando muto…
No, vi state sbagliando, lui tornerà, sarà anche fra decenni, ma tornerà.
Stasera muore lui, noi invece siamo già morti…
Parola del Signore…
Scambiamoci un segno di pace…
E così sia…
Ma, proprio sul finire della messa, un (in)fedele alzò la mano e mi po(r)se… una domanda…
– Maestro, la sua parabola non mi è piaciuta.
– Perché fratello non ti è piaciuta?
– Perché questa storia è vera, non è un’alleg(o)ria…
– Infatti, hai ragione. Ma ti dirò una cosa. Vuoi sentirla?
– Prego, maestro. Mi dica.
– Anche tu hai mentito.
– Perché maestro avrei dovuto mentire?
– Questa storia ti è piaciuta più di tutte le altre mie prediche… è così, vero?
– Maestro, mi duole ammetterlo ma questa storia è la più bella, perché è la triste, giustissima verità.
– Lo so, fratello, lo so, fratello. Ora, la messa è finita…
Pensiero lieto e libero da Mickey Rourke
Io e Mickey Rourke di Domino ci piacciamo, in quanto freak pasticcianti!
Prefazione a (torre)fazioni con tanto di caffè amaro in testa nostra calda a sbollirvi…
Ho appurato questo di me. Più sto solo e più sono geniale. Non vengo contaminato dalle chiacchiere, dal baccano, dalla laida vostra ricerca di oppressiva, martoriante carnalità. E in questo mio guscio fluorescente, rapace e vivente in assoluta libertà infrangibile, che a voi invece appare triste, persino meschino perché ritenuto egoista e da maniaco del narcisismo anaffettivo, schivandovi, vi schifo, mi libro da vera persona libera e poderosa. Afferrando il volante della macchina, zigzagando nel traffico con clacson urlacchiante, fluendo a immaginifica fantasia scevra dal tedio ammorbante e dalle vostre normali (in)ferme regoline stantie, Dio che orrore la cosiddetta angosciante normalità imposta(ta), anche se preso per folle, ingrano la quinta. E tu, attento, altrimenti sparo la bombardante granata. Sono insopportabile? Di mio, adoro la masturbazione pesante.
Ammissione di stronzaggine, con capo d’imputazione da figli de puta…
Cacciatori di taglie, di scoiattoli, di tonti, di topolone, di animali, di animarci, di libertinaggio e “brigantaggi” da “coliti spastiche”, irritabili, possibilmente scazzati, senza (s)pose, con atteggiamento da “duri” su pelle ruvida di grintoso, cuoio capelluto a palle mosce davanti a una cretina e d’argilla nel gorilla dirimpetto a una giraffa che te le graffia…
Sì, bello spaparanzato a torso nudo, su espressione “bitorzoluta” del cranio mio d’allisciare come Brando diApocalypse Now, mi stiro, me la tiro e va ch’è una bellezza. Noto un’emula di Keira Knightley in un vicolo e la metto all’angolo, accucciandoglielo da cagna che merita la fine(zza) della zoccola.
Perché non dici meno stronzate?
Sapete chi odia Mickey Rourke? Tua madre, infatti Mickey “gentilmente” non l’avrebbe mai scopata neanche con un “idrante”.
Anche tu, “maschietto”, odi Mickey. Per forza, sei un mouse, classico topo da biblioteca che si sposerà con la libraia del suo uccellino sognatore col mutuo alle (s)palle.
Da me, riceverai solo una zappa e il tuo zoppo.
Firmato Domino-Falotico
The Bag Man, new poster, De Niro e il suo neo spostato
Nuovo poster e, come nel precedente, cambia lo stile ma il neo rimane posizionato a De Niro/specchiato.
Mah.
John Travolta è il zammaero del Cinema contemporaneo!
Chi è il zammaero del Cinema contemporaneo?
Zammaero (ae di origini latine inconfutabili, ah ah): nel dialetto lucano, si dice di persona trista, priva di qualsiasi talento, che ammorba il prossimo con la sua inettitudine da flaccido nell’anima…
Sì, il Cinema di oggi è affetto da questa tipologia di persona, il “zammaero”.
Ricordo che la prima volta, oh “Signor sia lodato”, che udii tal dialettale parola, fu nel paese natio dei miei genitori. Stavo giocando a calcetto con i “membri” di quell’entroterra, riunitisi lì per una sorta di disfida di Barletta… contendenti, sapete, di “enorme” rango, provenienti dai casati più “nobili” della regione b(r)ulla per un match “imperdibile” da calciatori “provetti”, tiratori di razza, caccianti fendenti “tali e quali” a quelli degli “eleganti” cacciatori lord(i) del Regno Unito, corridori come le “soffici” lepri wanted appunto (s)cacciate a calci in culo perfin dagli hooligan di Wembley e miranti calibro di “educazione” davvero calibratissima. Ne potevi odorare i peti “pregiati”, studiati nel minimo “dettaglio”, evacuati con “classe” dalla “bellezza assordante”, emanati “sobriamente” da sfinteri gastrici dalla flatulenza “profumata” su sapor di unti, scrotali peli fuoriuscenti, a miglia di distanza, annusando “lieto” quella fragranza così “delicata” da lasciarti secco più degli alberi d’ulivo, attorno al campetto, dopo una prosciugante mietitura nel tramonto “rosato”. Arrossendo o soffocando? Roba che, se perdevi la palla, ti urlavano all’unisono “T’accid’ e po’ te ficc’ dentro pur le pall’!”. “Morbidissimi”, dalla bocca “acqua e sapone”, lavata con Perlana…
Eh sì, gente di cui nutro un ricordo “amabile” quanto potrebbe essere una scopata idilliaca con quella… che fu Naomi Campbell. Praticamente “uguale”. Sì, da perderci le “nottate”…, rimembrando cotanta “elevatezza” inappellabile, persone raffinatissime dal gusto “impalpabile”, d’una finezza da lasciarti allibito, ché neanche il più pennellante, impeccabile scalpello di Michelangelo avrebbe potuto “(in)tagliar” meglio le lor “addomesticate” cappelle scalcianti e blasfemanti in mezzo ai pantaloncini così “a lucido” tirati fra bestemmie incalzanti del “topo” come “Putten’ la Madon’ di noi Cristi in croc’!”.
Eh sì, tizi tozzi in gamba col pensiero fisso di metter sempre il caz’ in mezzo alle gambe delle ragazzotte di campagna, eppur era un’epoca in cui sgambavo…, fra sgambetti e ragazzi di vita pasoliniani il cui cervello avrebbe intrapreso un percorso, “didietro” più che andando avanti, da far invidia al più “rinomato” gambero del mercato rionale di Porta Portese. Sì, quando la donna del centro romano si reca al suo mercatino e ode grida da urlatori d’Oxford. “Inappuntabili” su accento alla “Conte Max” De Sica, versione figlio Christian… “Ah, buzzicon’, vedi d’annà a pigliarti ‘sto culatello emiliano, tutto, ah bella mia, de’ prosciutton’. Vien’ da Modena, signo’! Mò apr’ la bocca e sent’ quant’è bon’!’”.
Ebbene, dopo questa lunga prefazione…, mi par giunto il momento di decretare il “zammaero” del Cinema contemporaneo.
Il suo nome è John Travolta.
Ora, voi dite che è simpatico e un sessantenne appena (s)fatto dall’ancor resistente, “inattaccabile” sex appeal?
Sì, quando lo vedo apparire così “in forma”, mi ritorna in mente l’atletico Manero Tony…, il ballerino con addominali da “filetto magro” per tutte le donne erotomani bisunte e bisognose di mungitura, e nel confronto “un po’” sfigura. Diciamo che più che far la sua porca… fig(ur)a, sembra solo un pasciuto porcellino.
Sì, John, non te ne dolere, non volermene (e chi ti vuole, neanche le donne dell’ospizio, solo la tua rimbambita Kelly Preston che hai lobotomizzato da “angelo” Michael…), tu sei l’incarnazione del zammaero panzone.
Cioè, l’apoteosi della tristezza… fatta “persona”.