The Irishman! De Niro conferma il film di Scorsese con Pacino e Pesci
Robert De Niro contends that his long-planned mob movie “The Irishman” — to be directed by Martin Scorsese and co-starring Al Pacino and Joe Pesci — is still in the works.
“We have been trying to do [the film] for the last few years, and I think we will do it,” De Niro says in the art publication Flatt, of the project, which fans have been buzzing about for years.
“It’s based on [the] book ‘I Heard You Paint Houses’ by Charles Brandt. It’s about a guy who . . . confessed that he killed Hoffa and Joe Gallo. I’m gonna play that character. That’s something I’m looking forward to very much . . . I think it will [happen] . . . we’re really working towards making it happen.”
De Niro will celebrate his Flatt cover at the National Arts Club on Feb. 27.
Adoro Nic Cage in maniera sesquipedale e spingente!
di Stefano Falotico
Il pezzo, che qui sotto leggerete, fa già parte di un mio saggio dedicato a Nicolas! A sua divinità!
Rispettate Nic Cage, perché egli è l’incarnata spregiudicatezza incantevole della libertà focosa e melodiosa, anche da nipote infiammato e famoso…, non giudicate se non volete esser giudicati dalla sua incommensurabile bravura sofisticata e venir puniti a espressione (non) a(r)mata…
Con qual tronfio ardire, voi, pusillanimi e irriconoscenti di tal inaudito genio attoriale osa(s)te, da profanatori giammai posati ma infamanti, proferir parole criticanti al fin maligno di disossarlo.
Udirete la vendetta plagiata a mansuetudine vorace del rinato suo attore (in)capace ad assediarvi su carrozzeria di corporeo infiammarsi da ghost rider, riducendo le vostre carcasse, di cazzate, in carrozzina, e allora comprenderete la sacralità della virtuosità funambolica che efferatamente e con far esecrabile violaste, ridendo irredenti ma contenti della vostra pochezza mentale, su espressività che sempre “ponderate” per arruffianarvi la simpatia del giudizio altrui facile, falsamente amicale.
Nic, è vero, è patrono di successo perché indirizzato, forse di spintarella un po’ troppo raccomandante, effettuata dal padrino Francis Ford Coppola, uno con le mani in pasta dappertutto per “imbrogliare” leggermente le scelte di casting, mettendo buona parola da “mafioso” autoritario nel sentenziare che a “Nicholas” siano affidate parti importanti e poi andar a festeggiare assieme con tarallucci siciliani e vino delle migliori vigne internazionali nell’Hollywood “instradata” di discesa libera e frenante, ove le tortuose mulholland drive possono “fortuitamente” incrociare le lost highway da cuore selvaggio lynchiano.
Sì, una carriera che è stata senza dubbio accelerata ma tale averla ingranata in quinta non deve comunque ingannarci né far sì che possiamo distorcere, d’inutili dietrologie filmografiche al “retrovisore” appannante, ciò che è, di mia lucidità inoppugnabile, la viva, lapalissiana classe interpretativa, come poche, di Nicolas.
Laddove gli attori “seri” e boriosamente “impostati”, noiosi come potrebbe esser uno da Actor’s Studio imparato a pappardella, si rannicchiano, passo dopo passo e stanchezza crescentemente visibile, nella compostezza formale, alla lunga inflazionante e indigesta, il nostro grande, sorprendente Cage svia sempre permanentemente e felicemente d’incontrollabile impudicizia menefreghista. E non arretra dinanzi a nessun ostacolo, la sua faccia di gomma, che voi invece con estrema superficialità snobbate a sbuffargli l‘affliggente prosopopea da (s)pompati, ritenendola legnosa, lui riempie con assiduità meticolosa e di svettante talento innato nel tamponar beffardo il vostro tedioso vuoto pneumatico.
Ed ecco allora che Nic diventa enorme. Imbattibile proprio perché concentra nei suoi occhi, dalla fugacità furiosa e perennemente invaghita delle suadenti aurore, illuminandosi del più fervido bruciarsene dentro, quasi sventrante, l’irosa magnificenza persino masochistica e dolorosa, beatamente sbattuta in faccia contro quel che gli altri invece trattengono in sbiadita, opacissima “sordina” soltanto odiosa.
Da qui la ragione, anzi la regione “erogena”, violenta, scalpitante, trepidantissima dei continui, persistenti battiti alati delle sue nerissime sopracciglia oscillanti fra un’immobilità quieta e l’inquieto suo esser-non essere Cage, nipote di cotanto cineasta ma unico e inimitabile d’oscena, vividissima, sublime sua personalissima Arte maiuscola.
Da qui i suoi scatti nervosi, da uomo vero innanzitutto ancor prima d’incarnarsi performer perforante, strafottente, talora irritante, perché no, bestiale, un nugolo di rabbie pronte a detonare, a squillare, annunciate da un sereno variabile del suo sguardo tetro, melanconico, “nuvoloso” con picchi impercettibili d’un già intravisto cambiamento atmosferico a delineazione di palpebre camaleontiche, leonine, grintose, ringhianti, evolventi su impalpabile, mandibolare, primitiva raffica acuta dal caldissimo esplodersi nel ventre, liberandosi stupendamente dentro il vento e oltre le barriere restrittive del vostro inutilissimo tempo.
Nic è l’ultimo dei templari…
Chi se ne frega se non rispetta i canoni fottutamente classici degli standard recitativi?
Il suo strano volto, (a)simmetrico, rapace e ghiotto, di forma ovale e talvolta ottusa, non è michelangiolesco.
Ma Nic deve essere Castor Troy, pazzo alla Picasso, non un Adamo con la foglia di fico da Cappella Sistina.
Chiaro, giornalisti della mutua che annotate sempre i cazzi altrui per rimproverarlo di cattive note e quindi paralizzanti la sua autentica, spontanea naturalezza istintiva?
Nic è lombrosiano.
E io lo amo.
Bringing Out the Dead
di Stefano Falotico
Bringing Out the Dead…
Melliflue notti incenerenti ad asma ventricolare del guerriero assopito nell’ambulanza crociata…
Esiziale è l’attimo affranto di non aver potuto salvare una vita umana, e ancor più il senso addolorante di colpa s’imprime acuto nelle profondità della tua anima spellata, denudata da oltretomba, che non si perdona e, lacera, vien inghiottita da spasmi logoranti, avvolgendoti nel delirio workaholic della sua stessa rapitrice, soffocante dipendenza ammorbante.
Le tue iridi, da santo, lacrimano il sangue d’altri morti che non resusciterai.
Tu, battagliero principe, innalzante lo stendardo del primigenio immolarti a difensor geloso del più sacro valore… esistenziale, cioè proprio la vita, la sua metafisica intangibilità.
Nel lungo peregrinare notturno, la “fiamma ossidrica” del tuo cuore si sta estinguendo, espugnata dall’assorbente “macchia” che t’offusca languidamente nella spettrale voragine della latente, via via ascendente sofferenza mai a catarsi rinascente. Piangendo, come una strangolante letalità virale, ammantata e ammaccata dal madornale cannibale tuo a “pasto nudo” che si sta insinuando, da vampiro gocciolante prosciugato nei vivi respiri, nella lenta detonazione del delirio.
Il tuo viso va fuori controllo, si spacca in mille pezzi feroci, frangendoti tra potenti, dolenti spasimi. Non dà tregua quel mormorio rapitore, ti divelle il sorriso e “contorce” la candidezza dei tuoi occhi in follia frenetica alla vana, impossibile ricerca di fuga e redenzione. Non s’attenua la morsa e ti strozza ad abissi recrudescenti della colpa che, martellante, infingarda e subdola, sta divorando il nitore della bellezza…
Sta(i) svanendo nel mortifero sonno dell’irrazionale, sfrenata paura d’aver scelleratamente peccato. Non sei riuscito ad animare il battito cardiaco della tossica minorenne di nome Rose, l’angelo “sporco” e perciò iridescente, puro nella sua acerba, pulsante adolescenza oramai irreversibilmente defunta, “amputata” e già ascesa, speriamo, nell’aldilà…
La voce mastodontica, “funerea” e miracolante di Frank Sinatra scandisce il ticchettio dei flussi vitali “elettrizza(n)ti” destinati a spegnersi, è la melodiosa musicalità stupenda che asperge i rintocchi del tuo “sterile” defibrillatore da martire, l’inebriante soffio magico che s’intinge, come il bacio soave dei cherubini, nella marcia verso la “chimera” del Paradiso. L’apoteosi lucente della meraviglia dinanzi al calvario dell’immane nonsense della vita.
E tu, Frank, Frank Pierce, gemi latrante una nuova, funeraria, impotente ira sommessa, la “vanità” del tuo “mercenario” consacratosi al supremo pronto soccorso, piangi flebilmente dinanzi alle già affievolite, (s)morte vite d’altre anime decedute e poi, distrutto, racchiuso nella sfera concentrica della tua ambulanza, cavalcherai ancora screpolato ardore nell’imperterrita, gracchiante marcia rabbiosa della tua inestirpabile inquietudine. Non la domi, ne sei spaventosamente circuito a raschiato “teschio” del tuo cuore “spremuto” fr’accelerazioni illusorie, sterzate scattanti e il tuo insopprimibile sterno bruciante l’urlo inascoltato, che tu, giammai alleviandolo, eternamente “ausculti” nell’etereo pudore della tua troppo alta moralità da “vinto”.
Freme ardentissimo il candelabro lo(r)dato della tua anima tempestata, afflitta come solo Paul Schrader può decantarla, incatenarla e far guaire nel suo driver da light sleeper.
Sei rotto dentro, Frank. E adesso la tua anima, imprigionata forse per sempre, sta dirottando anch’essa nell’impalpabile “lietezza dolce” dell’ultima nudità febbricitante, l’esalazione estrema del tuo cavaliere (p)un(i)to da un Dio (in)giusto.
Inquadrature deformanti, la fotografia fantasmatica, chiaroscurale di Robert Richardson, le prospettive sghembe, zoomate e allucinanti, gli improvvisi cambi di registro registico, un cast straordinario di bravissimi comprimari, un Nic Cage perfetto, che “fa male” nel suo sordo, accecante silenzio…
Tratto dall’omonima novella di Joe Connelly, il più incompreso capolavoro del grande Martin Scorsese.
Un film che ferisce, dormiente è gridante, armonica vividezza detonante.
Nella vita prima e dopo la morte, durante il viaggio…
Eva Greenpeace, rest in Pacino da padrina del mio destino
Come sfoderai il fascino mafioso da Vito Corleone in Eva “Greenpeace” di figa, mica pizzi e fichi, in quel della Sicilia “pallida”, palpata a 40 gradi dentro la sua “ombra” nel mio “sombrero” Mexico e nuvole…
Sì, durante uno dei miei viaggi “esploranti” in questa umanità forestale, ebbi modo di sfogliare la “giungla” di l(i)ane di Eva Green, e fu un dream(er) di mio funerale, con tanto di comari e il “mio” secco in cordoglio per aver osato palpargliele… sognante.
Ebbene, fratelli di “sangue”, ero nei pressi della calda… locanda dal nome “La siciliana soffre l’afa, fattela sbucciante i limoni con arsione da padrino in calore, che mai offre la cena alle cerniere che st(r)appa di gusto”.
Dopo aver lautamente cenato, appunto, non ancora sfamato, la mia “linguina allo scoglio”…, il locale infatti affacciava sul mare, una languorosa acquolina mia andava subito (ar)resa effervescente con del dolce e del vinello su una donna in bocca di ros(s)a. Mi voltai ma ero l’unico avventore del ristorante. In quella trattoria, non si vedeva anima viva. All’improvviso, senz’alcun preavviso, fui “imbavagliato” da(l) (di)dietro da una donna di cui, che culo, annusai istintivamente il fremito bollente della sua patata arrosto. Una gallina formosa per il “brodino”. Mi bendò, poi mi si parò di fronte e, sebbene non potessi vederla né (dal) davanti di davanzale al balconcino né ignuda a novanta, intuii a pelle che era la nostra Green. Ella, con grande “delicatezza”, mi fu di tiramisù, con una leccata al cucchiaio da cremosa panna montata. Il mio s’imbizzarrì e lei, per addolcirlo ma anche arroventarlo, lo infilò nel forno a legna, attenta a non bruciacchiarlo nella “crosta” ma attizzando la “crostata”. “Lievitò” come una pizza capricciosa condita di salame… piccante. Me la pappai “lievemente” palpandola, al che lei se ne inumidì di fazzoletto detergente nel goderne l’ancor fresco aver macchiato il già pregno spolparla come un succo di frutta alla prugna bagnata.
Quindi, mi offrì altro da “bere” e, da smidollati in quello spinale, ancor con gli interdentali pieni di spinaci, ci rafforzammo d’inesausto appetito, infiammandoci nella fame ardente delle nostre labbra zuccherate fra caffè, prosciutto… e suoi meloni, più il coperto di una digerente spremuta di pompelmi in avergliela truffaldinamente, senza pagare ma incassandolo, scoperta.
Una cassata siciliana, una cazzata di ottima scopata, un aroma di anale annata.
Invero, mi trovavo a Bombay e questo fu solo il sogno di un’amara realtà da lebbroso nelle fogne.
Eppure, non metterei… la mano sul fuoco” che non vi fosse stato, in quell’estate, qualcosa di scaldante con lei, Green Eva.
Mi grattai il pomo d’Adamo e coprii la vergogna di tal pensiero proibito con una foglia d’altro figo alla Al Pacino.
Sì, sono uno scarface.
In realtà, quella sera fui buttato a calci nel culo fuori dal locale per la solita, incazzata (s)cenata. Da vero solo come un cane e neppur aver potuto succhiar di canini da lupus in fragola.
Perché io dico sempre la verità, anche quando dico le bugie.
Me la ciuccio dalla cannuccia.
E il Messico?
Va bene ai desperado.
Ciao, cado dalle nuvole. Anche dalle nude.
Il conto a quanto ammontò? Mi spellarono per tale porchetta.
Eh sì, son siculi. Non permettono impurità ma sono impuniti dopo aver ammazzato uno di spari alle palle e poi essersi confessati con tanto di Chinotto.
Baciamo le mani, inchiniamoci al “Belpaese”, patria di politici mafiosi e puttane ai loro servizi dello “Stato”.
Sia lo(r)dato.
Se sapevo che sarebbe andata così, mentre tutti van a zoccole, mi sarei fatto prete?
No, quello va con le minorenni e predica dal pulpito.
Vedi alle volte scegliere il prepuzio di segreto confessionale?
Già… in Italia tutti peccano ma son “coperti” dai segreti…
Non si possono toccare, per carità.
E chi vuol toccarli… tali maiali di “tocchettini” e “tonache” da finti monaci?
Mi farebbe schifo…
Il fascino discreto del potere. Eh già.
Pontifico da sfigato?
Meglio delle fighe ammuffite.
Ciao.
Grazi(os)e? No, prego per me.
A vent’anni, ho scoperto di essere Nic Cage/Sailor Ripley con la faccia da culo di Matt Dillon e da allora, riesumato nell’anima, nessuno mi ha fermato, nemmeno l’irremovibile Sturm und Drang di me stesso che ora recita…
di Stefano Falotico
L’orrore di Marlon Brando ne “Il pozzo e il pendolo” di Poe. Non mi credete?
Sì, dopo un’adolescenza inghiottita dalla follia mostruosa di adulti repressi, che vollero circuirmi alla loro visione deformante da bavosi materialisti, svenni, rinsavii e piacevolmente precipitai angelico in un altro sogno diabolico, più grande e fragile quanto un incubo a occhi aperti, che è la vita nelle sue diaframmatiche ombre lancinanti, a spirituale palpito abissale immerso per sempre nella memoria eterea della vita universale, tutta eterna. Fremente quanto Satana ebbe la virtù intrepida di ribellarsi al Dio delle carneficine, un idiota (in)sensibile che donò all’uomo il libero arbitrio per illuderlo e mangiarselo vivo. Fregandolo del suo Paradiso, cioè la potenza del suo cazzo stampato in iridi frenetiche, rabbiose, sempre irrequiete, cristalline nei furori che la coscienza bugiarda vorrà sempre ammansire nella loro “densa” libagione da cuori rubati. Sì, sottratti negl’inganni del tutto fotterli l’un l’altro alla ricerca folle d’una salvezza impossibile… peni penosi.
E la mia fisionomia s’incendiò sempre più, ora dopo ora, laddove l’abbandonai e, macellata da codesti bifolchi, inneggianti soltanto alla “veloce”, quindi terrorizzante, “ragione savia” dell’adattarsi al porcile, si plasmò allo stronzo di classe per antonomasia, il grande Matt Dillon, un talento sprecato ma che non impreca, perché oggi è un Bukowski come mamma l’ha fatto, bestemmiandolo dall’utero, conscia che dalle sue cosce stava uscendo una merda, e molto probabilmente sudando il suo uccello da bastardo senz’alcuna remissione. Il sudario! Io (non) me la sudo. E la lecco al sugo! Egli, cioè me, il caramello, lo intinge nell’acqua benedetta su “cera” gocciolante sperma maligno in se(g)no della croce imprigionato alla figa della Madonna…, sussurrando fascinoso e irresistibile un desiderante, asmatico, spingente pompino perfetto ingravidante, accolto in “sacro”, vero sverginamento che nessuna puttana normale potrà dargli, il “plagio” cristologico, dunque salvifico e rudemente traditore delle moralità fritte, dello spalmarglielo fra le mani, offerto in mendicanza alla faccia dei poveri cristi.
Quindi, dopo averlo scrollato, così come il parroco dà l’estrema, placida “unzione”, consapevole che l’aldilà è stata una bugia incredibile per fregar i coglioni di tal truffa che è l’umanità, mangiando a sbafo i polli arrosto da mantenuto in tonaca dell’asservimento pecorone, Matt continua da “matto”, masticando un’altra patata prima di crocifiggerla perché tenebroso nel suo Lucifero sadico e alle donne torturante. Perché “lo” vogliono ma lo “colgon” solo a (t)ratti. Molto fragrante, mai in flagranza di rampa di lancio e patta slacciata.
Egli l’innalza da puro… (co)dardo, fiammeggiando col suo amico di Rusty il selvaggio, Sailor del Cuore…
Sì, questo sono (sempre stato) io, e ora “la” vedo con chiarezza, tornita a mio “tor(ni)o” che, vellutatamente, l’alliscia e la stuzzica, d’incazzature l’arriccia…, ah ah, perché è dotato oltre ogni umana “misurazione”.
Nel culo, v’inglobo in “gloria”.
Quindi, dopo averne “schiaffeggiata” una e sderenata una cameriera, Matt Dillon/Nic Cage sale in macchina, borbotta di cintura di sicurezza astringente su suoi addominali inquieti da peti leggeri, e scarabocchia la strada su attraente, imbattibile, sbattente carisma.
Fermandosi a una stazione di servizio, pisciando in testa al benzinaio panzone e carburando di tutte gomme, quelle che glielo fanno esplodere.
Delle ragazzine a lor boccucce e a suo stallone.
Ciao.