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Martin Scorsese, la strada dei sogni

Comprare, grazie

Sia lodato, sempre sia lodato!

Sia lodato, sempre sia lodato!

 

Come da link, da incorniciare a memoria, da oggi è disponibile anche in cartaceo il mio saggio polivalente su Martin Scorsese. Presto, reperibile sui maggiori store online per la vendita perfino in eBook. Su Amazon, è già acquistabile in versione Kindle.

Polivalente perché, con stile consuetamente raffinato, il qui presente Stefano Falotico, mutevole camaleonte deniriano d’ogni più impensabile e alta creazione, in tale libro imperdibile, perlaceo e splendente di rara purezza inestimabile, s’è addentrato a scisma scorsesiano nell’eviscerarlo con elegantissima classe di prosa funambolica, serpeggiante tra omaggianti liriche sinergiche al decantarlo in vette poetiche d’indubbia saggezza, riflessioni profonde di ponderato levigarsene a parabole morali da impartir con leggiadria incommensurabile, e intarsi prosaici dal fulgore svettante a librazione mastodontica dell’ammirazione infinita. Inchinato dinanzi al Maestro Martin, padrone del mio destino, poiché scalfì indelebilmente la mia adolescenza con la sua celluloide di stupefacente rinomanza luminescente, come Travis passeggio candidamente in Verbo del mio e suo allietarvi di corroborante vetustà lessicale e dunque cinematografica. A proiezione del grande schermo incarnato in mia lucente verità inoppugnabile, levigandolo, “scheggio” l’Arte elevata del suo potentissimo Cinema incomparabile, “trascurando” volontariamente segmenti della sua vastissima e storica filmografia a “monografico” aspergerlo in mio diletto, perciò prostrato a sua avvenenza.

Di quando, turbato dalla mia precoce pubertà scalciante, già fluttuai navigante nelle tonitruanti membra metafisiche del Bickle, straniero sleeper della light in last temptation of Christ. Vivendo, a pelle di taglio mohicano, la grinta da cowboy del warrior solitario, ottenebratosi a virtuosi, lampeggianti neon in De Niro natante di ne(r)o, nei gironi infernali della mia anima mai acquiescente, ma d’acquitrinoso immergerla a tuffi lacustri dell’inconscio, (non) vissi “cutaneo” da libellula amante delle sue emozioni al tergicristallo. Ballando, interminabilmente notturno, fra i trambusti delle squame al mio squalo euforizzante dirimpetto a tanta beltà pensante.

Scoprirete la poesia del Falotico nel riscoprire Taxi Driver e altro, molto alto…

 

R.I.P. Stefano Falotico (13 Settembre 1979 – ? 2014)

Sono suo zio. Siamo tutti sconvolti dalla morte di Stefano. Che ci ha lasciato il suo testamento, degno del suo immane uomo, in quanto ha ereditato solo la sua anima. Dunque tantissimo.

La leggenda di un uomo “svanito” che, dopo esser stato sfinito dalla sua infinitezza, in tutta interezza e morale integrità, ha deciso d’allunarsi con un suicidio annunciato, prossimo a definirsi nel firmamento dei suoi enormi romanzi firmati da lui medesimo, in combutta con la penna stilografica, sua nemica-amica di tastiera e taste, gusto raffinato d’un poeta e letterato ante litteram in quanto genere a sé oltre i più storici maudit che vissero sui… generis e a trascorse, epocali generazioni dimenticate ma mai dimentiche della grandezza dei diversi solitari, dunque siderali poiché non da tal mondo, immutabile d’era in fu come ieri e sarà Sahara, lesi nel lor intoccabile decoro mai più da violare con le vostre pastrocchianti orge serali e via via più immonde di bianchi, notturni spermatici. Inutile sperar in un suo (non) ritorno.

In memoria dei poster(i), già post scriptum d’epitaffio postumo e dichiaratamente “impostore” dinanzi a una società maialesca che inneggia ai femminili posteriori con sconci post su volti di facce da culo, che han svenduto ogni valore a metro laido della viscidità più pusillanime e d’animali, Falotico (non) fa ammenda e a meno di che di nulla, poiché del più bel far niente è dolce amante anche del farneticare.

Da anni ormai ignoti, dal Falotico amati di rinomanza e nobile denignar tutti gli ignobili, cioè il mondo intero perché imputabile di tal atto d’accusa, sviscerarsi di carnali interiora, come i santi del Paradiso più celestiale, alla morte kamikaze s’immola o già volò in alto pur precipitando in “basso” a vertigine di sue fiere e spaccate vertebre, maciullate dall’impatto con una Terra avida e sanguigna, proboscide d’infantilismi a crescita del sol celebrar le cere da grassi elefanti.

Con abnegazione delle più intrepide, irresistibili e orgogliosa dell’esser nato al di fuori di tal osceno porcile, egli presto mischierà, o già mescolo, chi lo sa…, la sua pelle a spappolarsi perché fuori da ogni congedo in quanto genio congenito e non come voi congelato. I geli dei vostri uccelli.

Oberato dalla sua superbia grandiosità, ripudiante il sesso baccanale e adoratore della metafisica più insuperabile, con sfrontatezza ha già superato il varco stellare, penetrando dentro la diafanissima e più illuminante Luce.

Come Cristo e San Francesco, il precipizio sacro del suo sacrificio a monito dei vostri orifizi.

Orefice anche in tal atto eroico e prodigioso, (s)ragionato e indubbiamente degno di un uomo vero come il vetro, come il poliedro puro, come chi era e mai vorrà essere come voi.

Stringo la mano a tua sorella e le strappo le mutande, in segno di “carità”. Quindi, strappo il tuo braccio a “stappo” di nessun patto. Aprendomi al cielo, dopo una pisciata di (fr)esco dalla patta.

Poiché, se mi reputi pagliaccio, io rimango di ghiaccio.

Addio e Dio sono io.

 

“Flawless”, recensione, omaggio a Philip Seymour Hoffman

La perfezione non esiste

La perfezione non esiste

 

di Stefano Falotico

 

Flawless

 

Nessuno è esente da difetti…

Parto subito col dire che questo è il miglior film in assoluto di Joel Schumacher, targato strano anno 1999, firmato MGM.

Joel Schuumacher, del quale disprezzo, però, con enorme prosopopea buona parte del suo “Cinema”. Un regista diventato famoso a Hollywood, negli anni ’80, per una serie pazzesca di pellicole ampiamente sopravvalutate. Ma non c’è da stupirsi, in piena epoca confusionaria, film dall’estetica furba, modaiola, giovanilistica e platinata, come l’impresentabile pastiche Linea mortale, trovavano il pubblico stupido che se n’imboccava con allucinante facilità, bevendosi ogni stramberia “variopinta” del nostro bel Schumacher tanto scaltro ad arricchirsi grazie a marchingegni ludici della celluloide più edonisticamente “merchandising”. Opere di rara bruttezza, girate però con quel “piglio” ritmato che allettava gli spettatori abbindolabili, ribadiamolo, a “virtuose” frenesie del montaggio, ai dialoghi “serrati” e a due/tre idee narrative all’apparenza “geniali”.

Flawless, visto in quest’ottica, rappresenta una sorpresa inaspettata, è una stupefacente opera, fra l’altro presa assai sotto gamba, insospettabilmente intimista che, nella semplicità di una storia (a)normale, umanissima, raccontata con una raffinatezza e quel delicato pudore che da Schumacher mai e poi mai ci saremmo aspettati, può essere tranquillamente ascritta ai film “misconosciuti” (in pochi infatti se ne ricordano e pochissimi, per di più, ne hanno saputo apprezzare il valore), che son passati sotto silenzio.

Eppure, nella locandina appare a lettere “cubitali” il nome di Robert De Niro, quel prodigio d’attore di cui, a gran torto, mai viene citata quest’interpretazione istrionica, difficile non tanto per la “tuta mimetica” della facciale mimica, qui (non) limitata dalla malattia del suo personaggio, bensì perché è una performance, addirittura vista come un campionario insopportabile di smorfie e tic espressivi indigesti, di invero fenomenale camaleontismo. Che plateale, madornale superficialità averla giudicata male quando il film uscì.

Ma procediamo con calma.

Schumacher, dopo i fasti al botteghino dei seguiti di Batman, torna dietro la macchina da presa per questo film assolutamente anomalo nella sua filmografia, ripetiamolo, pacchiana, effettistica e ammiccante al guadagno da blockbuster.

Questa è invece la storia di una strana, (im)possibile amicizia, quella fra il coriaceo, burbero poliziotto Walt Koontz (De Niro) e la drag queen Rusty (un bravissimo Philip Seymour Hoffman).

Walt è uno stronzo, omofobo, razzista, macho imperturbabile, playboy impenitente, maschilista e soprattutto dichiarato nemico dei travestiti, come il suo dirimpettaio, appunto, Rusty, il vicino di casa, l’uomo “ambiguo”, disturbante per la sessualità da “pervertito”, questo pensa Walt, che abita nell’appartamento antistante. Walt lo odia a morte, non sale mai in ascensore con lui, lo evita in ogni modo e, quasi ogni giorno, litiga, affacciandosi irritato alla finestra, perché Rusty, coi suoi “amichetti”, fa sempre casino e lo “deconcentra”.

All’improvviso, la storia si complica e si fa torbida. Alcuni coinquilini dello stabile in cui vive, di notte, vengono derubati. Walt si sveglia, allarmato da quel che riesce a udire, afferra la sua pistola d’ordinanza, scende in fretta e furia le scale per tentar di venir loro in soccorso ma viene colpito, “a sangue freddo”, da un ictus.

Walt, in seguito all’incidente occorsogli, rimane semiparalizzato, e a stento riesce a parlare.

Come cura riabilitativa per poter almeno riacquisire parziali funzioni normali, guarda un po’, gli viene suggerito di prendere lezioni di canto dal nostro Rusty. Dopo forti titubanze e notevole ritrosia… Walt pare infatti che preferisca vivere nel mutismo e nell’handicap piuttosto che “abbassarsi” nella dignità per ristabilire, in modo perlomeno accettabile, la sua “disgrazia”, ecco, Walt accetta, anche se non di buon grado.

Naturalmente, non saranno tutte rose e fiori, come si suol dire.

E a ciò s’aggiunge il fatto che il ladro, che ha rapinato i condomini, continua ad aggirarsi in maniera minacciosa per il palazzo, poiché “qualcuno” (indovinate chi?) è stato il testimone sgradito della sua malefatta. E vanno eliminati i testimoni scomodi. Ahia…

Walt e Rusty si coalizzeranno giocoforza, sventando la minaccia e diventando, nel frattempo, amici sempre più fidati e rispettosi l’uno dell’altro.

Perché Walt, dall’esperienza dolorosa e negativa del suo trauma, ha imparato un insegnamento importantissimo: è stato costretto a guardare in faccia la realtà e a non scremarla più con la sua boria da “stallone” fiero della sua indubbia mascolinità, invero così patetica e volgare. Era “malato” prima, non ora. Adesso, diciamo, che la malattia fisica gli ha permesso di osservare la vita da una prospettiva che mai avrebbe immaginato. Ed è una visione assai più “aperta” e rasserenata di quando era un bastardo poliziottone tutto divisa e donne da sventolare come “trofei”.

Dicevamo, appunto, un grande Robert De Niro.

Ma, a esser sinceri, qui la parte del leone la fa proprio la nostra “debole” checca… un Philip Seymour Hoffman strepitoso, incredibile, che recita con eleganza d’applausi a scena aperta. Tanto più bravo perché Rusty ispira, sì, simpatia, ma era difficilissimo renderlo in modo così umano, calzante, senza mai incappare nel “luogo comune” d’una recitazione isterica o sopra le righe, come poteva essere dato il suo personaggio folcloristico. Hoffman mantiene invece inappuntabilmente un bon ton in sordina da lasciarci stupendamente allibiti per tanta sobria, sofisticata bravura.

Un’interpretazione di sottilissima, alta scuola del Metodo.

 

Robert De Niro on Philip Seymour Hoffman death

A tal proposito, propongo, forse già proposta in passato, altrove (?), questa clip.

Robert De Niro issued this statement: “I’m very, very saddened by the passing of Phil. He was a wonderful actor. This is one of those times where you say ‘this just shouldn’t be. He was so young and gifted and had so much going, so much to live for’. My family and I send our deepest condolences to his family”.

 

 

R.I.P. Philip Seymour Hoffman

Goodbye

Goodbye

 

di Stefano Falotico

Una notizia che mi lascia atterrito. Poche volte piango quando un attore del Cinema, soprattutto contemporaneo, ove molti mi stan antipatici, viene trovato morto.

Stavolta, invece, forti e inarrestabili lacrime di cordoglio e anche profondo rammarico, sì, perché sono intimissamente legato ad alcune sue interpretazioni, son scese dalle mie iridi sin a inumidirmi la bocca secca per il devastante dolore di una perdita incolmabile, di un attore grandioso che ci ha abbandonato.

Trovato morto per overdose nel bagno della sua camera di Manhattan, da un amico.

Come riportato dal nostro Deadline.

Oscar-winning actor Philip Seymour Hoffman has died. He was 46. According to NYPD, Hoffman was discovered Sunday morning in his Manhattan home after suffering an apparent drug overdose. Police were called to the scene by a friend who found Hoffman dead in the bathroom of the apartment this morning around 11:30 AM. An autopsy will be performed and results could take a few weeks.

Hoffman won the Oscar for Best Actor for 2005′s Capote and was thrice-nominated for Best Supporting Actor, including nods for Doubt, Charlie Wilson’s War, and for 2012′s The Master. Hoffman’s sudden death puts the fate of a number of his upcoming projects into question. Just last month he was in Park City for the Sundance premieres of God’s Pocket and A Most Wanted Man. Hoffman, who had segued into directing with his debut Jack Goes Boating, had just signed on to direct his second feature Ezekiel Moss with Jake Gyllenhaal and Amy Adams attached to star. In January, Showtime comedy pilot Happyish starring Hoffman was picked up to series with a 10-episode order. And Hoffman, who played the crucial character of Plutarch Heavensbee in Lionsgate/Summit’s 2013 blockbuster The Hunger Games: Catching Fire, was set to reprise the role in the two-part franchise sequels The Hunger Games: Mockingjay Part 1 & 2. That role may need to be recast or re-configured if Hoffman hasn’t completed filming.

Hoffman started his love of acting on the stage in theater in summer school in high school. He later attended NY University, Tisch School of the Arts. His struggle with drug and alcohol addiction has spanned many years but last summer, in May of 2013, he bravely realized that his addictions were becoming problematic again and checked himself into rehab.

Hoffman was born in Fairport, NY to a mother who was a civil rights activist and lawyer and a father who was a corporate executive. He is survived by sisters Jill and Emily and a brother Gordy, who is a screenwriter. Gordy drafted Love Liza for Hoffman in 2002.

 

Senza parole, scioccato, al momento mi attengo a un normale memoriale che celebrerà per immagini e video un prodigio recitativo, e non solo, al quale la mia anima dà un saluto di pace serena e felice aldilà.

In tali tristissime circostanze, ogni altro commento o pleonastica condoglianza, mi par futile, fuori luogo e non onorante la memoria del nostro immenso Philip Seymour Hoffman.

Addio, caro.

 

District 13 – I am soul man

Noi siamo le brigate della morte!

Noi siamo le brigate della morte!

di Stefano Falotico

L’ansia strana di un uomo rovinato dalle macerie delle dinamiche occidentali, che protenderà a Oriente su Tokyo fastosa d’una cenere sua smaniosa, libera da odi e smancerie ruffiane

Salve, mi presento.

Tendo all’astrazione con picchi strambi di giusta amoralità che sarà vista come insana ma io vi ravviso nottatacce da prendere a sberle il mio uccello. D’accudire in “cuscinetti” morbidi del mio cane a guardarmi di sbieco per platealmente denigrarmi in ringhio da latrante cannibalistico.

Un’era inferma di malati di mente mi sta uccidendo l’anima. E così, travolto da indubbie nevralgie, causate da tali assedi persistenti dei pazzi là fuori, mi barrico in casa, blindando anche il frigorifero perché neanche le zanzare, dagli interstizi, potranno “sgattaiolare” per accaparramento di me la formica a sonagli, sofferente insonnia latente.

Estraggo un Mottarello e lo piazzo a mia gola avida di leccate. Questa panna (s)gelata mi ricorda una donna ch’ebbi quando ancora il mio cresceva… Se crebbe, oggi crepa, asfissiato da succhiatrici oltre il midollo spinale, delle invertebrate palestrate di culi rifatti e ballonzolanti seni “impalpabili”, poiché scatenano la mia perplessità sul “fallo” che (non) sian di gomma. Così, pompo il gelato e l’ingollo senza masticar la glassa di mandorlato. Scivola nel tubo digerente, colando a mo’ di erezione nel suo bastoncino di finto legno già digerito e sputato dall’ano in peto da incastrarmelo fra le mutande e i pantaloni in quanto fuoriuscente dal buco ma strappante in sospensione d’addolorar anche le mie palle, adiacenti in zona perpendicolare di mie pollici (non) opponibili nella bestemmia del “Porco Dio” da incrociarmele.

Rimango sul “Chi va là?”, alla porta suona una zoccola, topa contesa dai rioni del palio di Siena, insomma una cavallona per i fantini dal cazzo al cartoccio e dunque dei fantocci.

Noleggio un film. Fa vomitare.

Strappo un biglietto per il Giappone, in cerca di omeostasi esistenziale.

Ma anche lì vanno oggi a puttane.

Oh mia concubina, meglio il cubetto di ghiaccio degli eschimesi con l’iglù.

Ohibò.

Leggiamo gli annunci lavorativi sul “Bo’”. Cercano un disidratato per fare la diga umana fra un ippopotamo scappato dallo zoo, che sta bloccando il traffico ittico del Po, e una vacca scopata dai topi di Ferrara. Non fa rima ma sbarca il lunario.

Al che viro su Assault.

 

My name is (not) Jordan Belfort

Papi, pappone, Harvey/Keitel alias Sport, Taxi Driver, Alessandro Magno o magna?

Papi, pappone, Harvey/Keitel alias Sport, Taxi Driver, Alessandro Magno o magna?

 

Salve, sono l’alter ego di Jordan Belfort e, in modus amorale, grido fieramente “Non me ne vado!

Sì, posso dichiararmi reo, confesso… quel che ogni uomo, degno d’indossare la maschera sociale, da me onestamente ripudiata, esibisce a (dis)valore del suo valere, appunto, in base all’etichetta che altri gli appioppano. Spesso degli ippopotami… che celano la pachidermia dietro epidermidi liftate. Maggiore è l’investimento di te, dicasi anche autostima, a sua volta “derivato” del “latte” sunto dai capezzoli d’un mondo sanguisuga che valuta a “pro capite” del tuo dare lardoso eppur danaroso, spesso mentitore perché dipendente comunque d’una “banca dati” delle migliori valute ricattatorie, ove devi fingere di più se vuoi “guadagnare” in senso (a)lato di diagramma a te ascendente, ecco… più in-vesti, e dunque vieni investito di cariche, più diventi un caric(at)o, come DiCaprio in questo film.

Parte dal basso, vale un cazzo, uno di quegli insetti dal profilo “stronzetto” che sarebbe piaciuto da matti al Milton/Pacino de L’avvocato del diavolo. Uno perennemente nella merda che, grazie a consigli (in)validi e “utili”, si trasforma in un poveretto (im)mutabile nell’anima ma dilettevole in lussuriosi letti. Un provetto di piovra. L’orgia del viso acqua e sapone. Uno squalo generatosi dal suo essere microbo, quindi mangime e poi delfino, via via a catena alimentare del nutrimento degli abissi di Wall Street. Un magnone…

Io e Jordan siamo “uguali”, gemelli “siamesi”, (in)separabili alla nascita. Lui di natiche sguazzante, io di culo non tanto eppur, se lui carbura di “burro” fra yacht e cavalcate… na(u)t(ich)e con la camicia Lacoste e Robbie la cavallona, io le assorbo in modo “duro” e “costiero”, forse di rotte costole, (r)esistendo alle teorie lineari di Cartesio, alla Pentecoste fottuta e incartocciandomi le palle in modo planetario come l’orbita solare del circolo vizioso. Rotazione che, ogni quattro anni, a causa del rallentamento, dovuto alla (s)cassazione, deve subire anche il patimento del bisestile, mentre Leo va con Robbie, una “piatta” più del deserto ma di “crosta” magmatica fra le mutande sgambate per il settimo cielo, a esclusione del possibile Terzo Grado che te lo sbuccerà nell’agente “atmosferico” (im)previsto del buco dell’ozono in effetto serra, anche “sbarre”, dell’FBI.

Sì, Leo è un “petroliere” self made man, “identico” a me, che vivo per le ambizioni quanto un cuoco di novant’anni che sputa nei piatti che non solo prepara pigramente ai clienti “ricchi” ma deglutisce e ingurgita di reflusso gastroesofageo con (ig)nobile (de)coro d’altri parassitari orgogli nel provocare il verme solitario. Un fesso? No, un dritto. Se mi considerate storto, (non) avete tutti i torti. Forza, voglio in faccia le torte, cari torelli!

Sì, sono un fanatico della solitudine esistenziale, esizialissimo, un “costruttivista” comunista, quasi “equilibrista” e dadaista-picassiano che fa della rovina dell’impero occidentale, divorato dalla sua antropofaga voglia inarrestabile d’edonismo indomabile e dom(in)atore, un carro surrealista per il mio “asino” fra tanti voi, invero buo(n)i a nulla se non a far soldi per farvi le bo(vi)ne.

Rammemoro la mia vita, “sana” ad andar piano e “lontano”, rispettosa e ligia, prossima quindi al suicidio annunciato.

Denunciato di essere un “diverso” perché non “adatto” a una società ruffiana di “scalatori”, non uno scolaretto qualsiasi in opposizione agli arrivisti, cinici, menefreghisti, trombatori, inculanti da non fregarsene un cazzo ma “fregiarsi” di tante figliole, scontai anche l’ammenda dell’oltre al danno la beffa.

E, uscito dai lavori “socialmente utili”, in quanto accusato di essermi ribellato ai fascisti, oggi devo anche soffrire l’impotenza (im)probatoria delle risate sotto i baffi dei buffoni da me “citati” per (d)an(n)i.

Perciò, in dirittura d’arrivo presso il crocevia della morte, essendo stato troppo moralmente integro e non figlio di puttana che è mai andato a puttane, non avendo chiuso un occhio ma aver aperto la bocca affinché i criminali (non) si pentissero, non avendo nulla da perdere, le voglio sparare. Rischiando giustamente di ammazzare questi (in)giusti…

Eccomi qui alla fo(r)ca in quanto mon(a)co così visto da chi ha ribaltato ogni integerrimo ordine.

Mi tocca assistere a un orrendo ribaltamento di (s)cene e a leccar la banana delle loro scimmie se non voglio “venire”… nuovamente (s)battuto come un uovo al tegamino con sedazioni, strapazzamenti e “diagnosi” di “pazzia”.

Insomma, sono l’ex moglie di Mussolini…

Mi ricordo che a una certa età decisi di vivere a modo mio, (non) rispettando la crescita “normale” della mia anima, già molto avanti tanto da (pre)giudicare tutto.

Sì, amici della congrega, stasera mi ucciderò per (il)leso patto a Primo Levi…

No, ho perfino rifiutato la leva militare, scegliendo l’obiezione di coscienza.

Ma di questa mia “debolezza” da pacifista obiettarono e mi “ammanettarono”.

Ora, prima della mia (di)partita, vorrei sussurrare questo con voce crescente:

“Non me ne vado…”.

E chi pensava che mi avrebbe ammazzato sarà ammazzato.

Sì, un infimo porco che intende la vita come una carnascialesca festina sempre a luci rosse, che mi calunniò al fine che, da poeta e romanziere, soprattutto del mio distinto destino, mi allev(i)assi in un lavoretto, come il suo, da miserabile truffatore assai pulitino. La sua cartina, ah ah, bianchissima (come no?) con cui ricatta per le (ri)cotte. Innamoratissime.

E rischiai anche OPG e compagnie (non) tanto belle.

Eppure non me ne vado.

Sono cazzi suoi.

 

 
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