I 40 anni di Christian Bale
Nell’oscura Bologna, un altro Cavaliere Oscuro, però più giovane, non tanto, vive in tali tempi opalescenti in cui si fa festa nel viver di putrescenza. Egli, il Falotico, rinomato poeta sopra ogni vetta e armonico creatore di gioie sol evocandole da sfere nude di cristallo a suo scisma mentale nell’aprirvi gli occhi, spesso insudiciati da troppe zoccole, contempla Christian, un nostro grande contemporaneo, in quanto bello in Bale di cognome e prossimo Mosè nell’Exodus di Ridley Scott. Il Mar Nero! Iridi cangianti.
Il signor Bale io incontrai due settimane fa al bar “Campare col Campari”, ubicato vicino alla stazione dei topi in quel dell’incrocio fra la 7Th e la risata “alla puttanesca” d’una signora abitante il piano d’un condominio come quello di Polanski, limitrofa d’altre casalinghe indaffarate a lavar le stoviglie e imbottigliar i figli con sedativi a “dosi” di lor calmarli mentre se “le” lavano con forzuti schiacciasassi con cui litigheranno nel rompersi i piatti.
Christian non è statunitense, poveri ignoranti di merda.
Egli è nato in Galles, e non è come voi un cedrone gallo.
In quanto esordì, già molto avanti e prodigio, ne L’impero del sole di Spielberg, che voi non avete visto e di cui John Malkovich vi “custodisca” da mentore protettivo perché, con tale “bagaglio” di sviste, prevedo i vostri occhi accecarsi, travolti dalla bomba atomica di Hiroshima.
Invero, il nostro, prima di questa Seconda Guerra Mondiale dall’esito nefasto e tragico, fu già interprete di mini-serie realizzate un po’ alla cazzo di cane. Quindi, trascurabili partecipazioni, buone solo per IMDb.
Bale è forse uno dei più immensi assieme a Leo DiCaprio, e grazia nostra per aver due attori di tal razza, oggi che il Cinema sta morendo, tumefatto da produzioni fiction e stronzate di portata dannosa quanto un calcio nelle palle quando hai un’erezione serena.
Nonostante il Ritratto di signora della Campion e altri piccoli ruoli più o meno importanti, anche Bale, angosciato dall’acerba età adolescenziale, rischiò di morire drogato.
Ma grazie ad American Psycho risorse da campione. E, a eccezion fatta de Il mandolino del capitano Corelli, da allora la sua reputazione è, non solo senza macchia, bensì senza paura, da vero Batman. Colui che vide la morte da vicino, a causa d’un latente, mai guarito trauma e, in virtù proprio di tal “memento”, con Nolan volò alto.
Roba da Il regno del fuoco. La forza primigenia dell’uomo bestiale che (non) sa gestire il suo Equilibrium. Leggasi camaleontismo con esplicite perdite di peso da… senza sonno.
Bale ha una moglie che m’inchiappetterei per quanto è dolce, ed elenco i suoi personaggi da farvi un baffo: Alfred Borden, Melvin Purvis, John Connor, Dicky Eklund, Irving Rosenfeld.
Buon compleanno a tutti.
Vaffanculo.
In realtà, (non) tutti lo sanno ma fan finta di non vedere: Bale è il gemello di Beckham.
Snake Eyes, here comes the pain!
di Stefano Falotico
Omicidio in diretta
Snake eyes, torbido complotto in quel di Atlantic City
Occhi del serpente, così il titolo originale. Un titolo più appropriato in linea con l’ottica “voyeur” dell’hitcockiano De Palma, che plana sinuoso a scombussolare, non solo i variegati piani visivi, ma anche a miscelarci nella costante incertezza che ciò a cui stiamo assistendo sia ancora finzione e che i livelli di realtà, percettiva, a nostro stesso istinto indagatorio, ne racchiudano altri come bomboniere matriosca di sofisticata quanto non decriptabile decifrazione. Imbastisce uno spettacolo di “solo” un’ora mezza che, a concentrico cerchio vorticoso del suo sintetico, conciso minutaggio, divampa folgorante in bagliori tanto frenetici tanto perfidamente ammantati d’ambiguo significante.
Inizia con un piano sequenza di rara lunghezza. Perfetto, che invero contiene alcuni “stacchi” bilanciati ancora una volta dall’occhio nascosto d’un montaggio allucinatorio e vividamente chirurgico. Si concentra, sin dalla prima, esplosiva inquadratura, sul volto e sulle movenze corporali del poliziotto Rick Santoro, un Nicolas Cage abbigliato come un cialtrone tamarro, con tanto di catenelle d’oro al collo e peli villosi su camicia floreale aperta, che esagitato sta scendendo in platea, nella prima fila “di classe” riservata ai tutori dell’ordine, per sedersi quindi a fianco del suo “amico” e braccio destro Comandante Kevin Dunne, un Gary Sinise già “criptico”, un prodigio di recitazione con la sordina d’altrettante iridi imperscrutabili e velate a cornice d’una maliziosa quanto fascinosa e carismatica “double face” che (non) ce la racconta giusta…
Inizia dunque l’incontro di boxe.
Dopo pochi minuti, come (pre)annunciato da un profetico guitto sugli spalti che urla “Ecco che arriva il dolore!”, coincidente al preciso istante nel quale il pugile Tyler va al tappeto, il Ministro della Difesa viene “misteriosamente” ucciso.
Gli spettatori, presi dal panico, corrono via, spaventati, a gambe levate.
Sul “luogo del delitto (im)perfetto”, rimangono solo i nostri due eroi… Santoro e Dunne.
Santoro, che in passato nasconde personali storie di corruzione e brutti giri di “affari sporchi”, viene, da quel momento in avanti, come colto da una voglia missionaria di giustizia e redenzione e, sospinto da quest’irrazionale sete di verità, perseguirà un unico obiettivo “focale”: volere veder chiaro in questo pasticciaccio.
Conosce fortuitamente la prostituta d’alto bordo Julia Costello (una super sexy Carla Gugino), e intuisce fin da subito che lei potrebbe detenere la chiave risolutiva di ciò che lui crede esser stata una cospirazione, una pura macchina ad orologeria.
Inizialmente titubante e mal disposta alle confessioni, si fiderà, pian piano, “ciecamente” di questo nuovo, curioso compagno, forse perché si sente anche lei sola e vulnerabile, forse al centro d’un gioco di “mirini” più grande di quanto avesse potuto immaginare. E gli confermerà che, in effetti, la sua intuizione non è così “sfocata” come potrebbe apparire…
Naturalmente, non vi svelo la fine.
Omicidio in diretta è un capolavoro magnifico perché, in una regia “crudele”, tagliata sibillinamente con l’accetta ma anche fiammeggiante di “maniera” sfavillante, calibrata ed “eccessiva” d’intrighi speculari a mille rovesci della medaglia, torce i nostri sensi, li avviluppa, li magnetizza in una spirale di suspense diabolica.
Un’altra vetta del nostro amatissimo Brian De Palma, che osa e rischia davvero tanto, caricando(si), in una storia semplice dalla trama “già vista”, la ferocia d’esplorare con camaleontici, mutevoli occhi, anche di messa in scena, la “banalità” del male dietro le apparenze “normali”.
Determinante in questo caso l’azzeccata scelta di Cage, qui davvero funzionale e “centrato” per il ruolo.
Che all’inizio recita istericamente “out of control”, e potrebbe sembrare l’esibizione pedestre d’una delle sue tante variazioni da “overactor”, ma poi lentamente si trasforma, anche nello sguardo, appunto, a un mood attoriale classicissimo, serio e compassato.
Come De Palma, un director (di) classic, ma imprevedibile, trasformista, sempre sorprendente nell’allibirci perché ci stupefà increduli dinanzi a tanta maestria così architettonicamente melliflua eppure tanto irresistibile.
Tutte le ragioni per cui “The Wolf of Wall Street” non è l’ultimo capolavoro di Scorsese, e invece “Bringing Out the Dead” lo è, arrabbiatevi pure e gridate alla (mia) “bestemmia”, è così…
di Stefano Falotico
Che vi piaccia o no, nonostante gli abbia assegnato 4 stellette nella mia recensione, reputo TWOWS una pacchianata in grande stile, che sta al miglior Scorsese così quanto il sopravvalutato, insulso Ryan Gosling sta al Bob De Niro che fu. E ribadisco, con fierezza sesquipedale, che Nic Cage, tanto ostracizzato, criticato, vilipeso, martoriato, ingiuriato, offeso, linciato, ghigliottinato dalla nostra Critica, pseudo tale, “illuministica”, è molto più bravo di quanto potrete mai tentare di abbatterlo con le vostre “posate” stilografiche che guadagnano Euro facile, rubacchiato un tanto a stronzate digitate sulla tastiera ergonomica-“economica”, ove chi s’arricchisce di più è oggi il “maggiore” detentore del titolo “Guarda che prosa persuasiva possiedo nel mio sfoggio estroso di vomitante fegato che fa della ridondanza ermetica una mistica della penna forbita”.
Insomma, un broker in camuffa. Chi fa carriera è colui che più furbo sa vender(si) e darvele a bere.
Ma andate a farvelo dare nel culo. Io sto al bar, con le gambe accavallate e, fra un caffè e un cappuccino, “apro” mostrandolo di palpatine oculari alle clienti più in gamba. Elargendo un sorriso ambiguo di monumentale sfacciataggine, in quanto tronfio di aver in mezzo un trofeo molto ambito di cui nessun culo s’è mai lamentato…
Ecco, ha ragione il solito competente e lui sì davvero colto Luca Pacilio della rivista online “Gli Spietati” ad affibbiargli un umiliante 5 miserissimo in pagella.
Quest’entusiasmo sbraitato vostro, nei confronti del Wolf(y) nostro, è quanto di più stolto e incomprensibile mi stia capitando d’udire, “assistere”, esser quasi obbligato a convincermi di farmelo piacere a ogni costo e semmai spendere pure il sovraprezzo d’un secondo biglietto per “rivederlo”, rivedendo, da voi torturato, assillato, picchiato ed “emarginato” in quanto non elettivamente-eruditamente “affiliato”-affinato ma rozzo e istintivo, così la mia posizione (in)ferma.
Ve lo posso dire con totale menefreghismo e meticoloso, certosino alzarvi entrambe le dita medie, aggiungendovi il feticismo del mio cazzo “sguazzante” su doppi alluci mai valghi?
Non è che Wolf sia volgare, non è questo il punto del mio insindacabile, lapidario giudizio non rivedibile. Semplicemente, Scorsese ha perso l’anima del suo Cinema nel lontano 1999, quando sfornò l’ultimo viscerale, impressionante, “misconosciuto” e “malvisto”, vero capolavoro, Al di là della vita.
Che voi non avete visto, perché all’epoca eravate occupati a trombare quella del Liceo “Classico” fra una leccata alla prof. di “Lingue” e un “pennarello” alla bidella “smacchiatrice”. Oggi, dopo tal “dovere” vostro “ammirevole, eh già miraste già dapprincipio in “alto”, puntando i bulbi verso le zone “basse” delle minigonne più di belle cosciotte, dopo altro “faticare” in università “inserenti”, avete trovato il posticino “caldo” che vi spett(in)a, cioè “cornetto” già al matt(in)o, un po’ di zuccherino di “canne” non allucinogene come l’erbetta dei bagnetti scolastici-“scolanti”, di uccellini con scrollarvele…, e l’“articolo” più inchiappettante per il banchiere Dujardin più puttaniere.
Ora, le ragioni, per le quali Al di là della vita è un masterpiece, sono “spiegate” nel mio libro “Martin Scorsese, la strada dei sogni”. Da oggi, disponibile finalmente, oltre che su Amazon-Kindle, anche in cartaceo ed eBook “normale”, acquistabile da 26 store, compreso ibs.it, delle più rinomate catene librarie.
Non voglio annoiarvi, ho “parlato” e detto sin troppo.
Mi limiterò ad alcune, comunque sia imprescindibili, osservazioni, che son già sputi nell’occhio.
Matthew McConaughey, solo perché viene dalla “cura” post Dallas Buyers Club e gesticola semi-asmatico, laido, carnale, masturbatorio e guru da Scientology, dovrebbe essere acclamato per questo cameo da farmi aver il latte alle ginocchia?
Ma che imparasse dal De Niro/Victor Tellegio di American Hustle cosa significa essere incisivi senza caricare di superfluo e anche disgustante overacting da cazzoncello.
Poi, spiegatemi il ralenti di Jonah Hill “alle s-palle” di DiCaprio prima della festona in cui Leo conoscerà la vacca Robbie Margot.
Dura… 10 secondi abbondanti e non ha alcun senso. Mah.
Wall Street 1 e 2 sono meglio.
DiCaprio strafatto recita male, è più bravo in un solo fotogramma del… Mr. Grape.
Il più bravo del parterre, che voi naturalmente non avete citato, riempiendo di complimenti gli interpreti che invece non se li meritano, è il grande Kyle Chandler.
Nella scena in barca, recita da Dio.
Ecco, Scorsese doveva dargli il ruolo da protagonista. Il film sarebbe stato tutt’altro.
Così, purtroppo, rimane una porcata.
Una macchia.
Una simpatica, poi neanche tanto, trombata ai vostri portafogli e ai vostri cervellini inculabili.
Ciao.
The Wolf of Wall Street, Masterpiece!
Il mediocre (?) capolavoro futurista d’uno Scorsese “in acido”, trip della megalomania a universale suffragio, turpe, magnifico non tanto, scioglimento dei ghiacciai e lastre a “endovena” cosmica! Ma sparat(ev)i, oh miei ammiratori sfrenati di questa porcata allucinata!
Esplodono i fotogrammi, e me n’acceco in fulgore che bacia il rosso lor nitrire imbizzarriti. Scivola la mdp in fotogenico DiCaprio incattivito, tranquillo pornografo delle ambizioni scevre d’ogni vergogna, carburanti “burro” trasgressivo da spiattellar in bocca ai benpensanti, poi serpente a sonagli che palpa le sue ansie gastriche, le seda e sniffa da rotondi, vittoriosi, insaziabili deretani delle Escort impudiche e del suo cannibalismo enfiato, elefantiaco monstre che tambureggia d’aspirazioni più o meno vane sul divano del pagliaccesco consacrato alla spietata irriverenza, un burattino che addenta i manichini di legno, scopa le bionde nel penetrarle con ballerino struscio, un Pinocchio terrificante nell’esser al contempo Mangiafuoco e grottesca Fata Turchina del suo musino finto-bambino, gorgheggia cataclismatico di gargarismi alle sue pa(pi)lle gustative nell’esorbitante, isterico offrirle dorate, al caviale denudato e a tonitruante cavallo che indossa l’unica tonaca d’un plebiscito sacro, il fremito scalciante del suo imperioso, “infermo” being mutante a nessuna regola del buon gusto intonato, tuono feroce dello strizzarsi in onnipotente, messianico Martin esagerato, che turba incessantemente, vomita ire strozzate e dunque presto le scarnifica in ce(r)n(ier)e carnali del Belfort wolfman, mannaro orgiastico succhiandoci nel vampiristico carisma d’un leone Leonardo (s)pompato, masochista, sadico, arrivista, lubrificante pelle smaltata in Margot Robbie, la leoparda(ta), l’inarrivabile Barbie sodomizzata e lei che se lo scola in un “bourbon” all’acqua di rose, come danzanti caviglie d’una “Gloria” fra ricchi abbuffati del naufragio solleticante, per il buffet di ficcarci tutti in figa(ta) irresistibile alla vita. Mah. Depurandoci dalle moralità dei bugiardi, linciandoci nella vera pietra che Cristo invero, al di là degli “educativi” vangeli, lanceolata scagliò a grazia della sua Maddalena last temptation (r)osé, che scopò con rabbia pasoliniana in una storia mai raccontata per rispetto fottuto delle “Holy Bible” di questo paio di coglioni che siete. Basta rifilarvi due movimenti di macchina con lussu(ri)ose macchine e scambiate questo Yuppies americano per uno Scorsese profetico. Sì, basta poco per essere oltre, il tocco!
A (non) maestria di Martin, le maestrie impazziscono su montaggio di Thelma Schoonmaker, gravitano tutti i desideri repressi su bestiale lancio dei nani per elezione erettiva, torreggiante in Babele pura, di tutto ciò che voleste osar proferire ma vi castraste per spacciarvi san(t)i, che però predicate in lamentevoli, patetici strazi d’insanabile logorrea. I pervertiti siete voi che, camuffati da oratori retorici in lercio, diarreico, ruffiano compiacer il prossimo, porgerete solo la guancia laida dell’immorale, deprecabile menzogna, più bastarda delle promiscue ammucchiate fra Sodoma e Gomorra, perché mentitori atroci di quel a cui ambite ma non avete il coraggio di (am)mettere, il culo! Parsimonioso, da spalmarci la lingua e tergervi in erto sverginamento alle madonnine che piangono a consolazione delle sì sciocche vostre inculate! Schifosi pinocchioni! Da pannoloni! Aprite gli occhiolini, ammiccate invece all’avido averla! E ancora levate le ancore e non scoraggiate il vostro scoreggiarvi in godere anale! A nave rovente contro ogni detergente, raffreddante “neve!”. Buoni a niente! Farcitela di Nutella e di labbra… siate a lei nudità di panna (s)porca a montarla! Cioccolato lindo! Deflagrazione!
Sì, pretendo che sputiate tutte le verità di confessione! Vi spoglierò d’ogni inibizione da frustrati alla carica cardiaca d’un magro McConaughey motivante affinché saliate sa(l)vi a gerarchia d’osannarvi maiali quali tutti siamo nati. Perché cos’è l’istinto di sopravvivenza se non (r)esistenza al Verbo d’un Dio che sta là, bellimbusto da Babbo Natale, giudica come una (ra)gazza ladra, facile da porcello, al salvadanaio-pararselo e sa solo girarsi i pollici “su”, decretando a suo non libero arbitrio cos’è etico e cosa no? Mentite ancora, obbedendogli e riverendolo, e patirete solo la fame, celandovi da “brave” persone per additare lo squalo bavoso, quindi inghiottente schietta ghiottoneria vostra nascosta, e imputargli alibi da capro espiatorio. Lui non ha colpe, lui è (in)giustamente (p)orco perché possiede la forza, anche (auto)distruttiva, di non bloccarsi ma incontenibilmente fottersele finché la barca va, le vostre mogli sono orribili e ritraggono soltanto il patto marcio d’affiliazione del tirar a campare fingendovi agenti di qualche agenzia federale pulita. Non illudetevi in quest’onestà di facciata. I primi corrotti siete voi, perché avete elevato i vostri molluschi rammolliti per rifiutar il “pen” di Dio! State fiutando solo la mediocrità d’una vita anonima, da chi marina il mare in essiccazione del grosso “salvagente!”. Salpiamo, noi ci salveremo! Evviva l’infedeltà, prenderne una e inabissarlo, poi gettarla a mare per pesci che ce l’han piccolo, soprattutto in b(i)anca, buoni a mangiarsela solo spalleggiati in branco, ecco che peschi una bionda bambola e, fra strisce di coca e viaggi in crociera, dondolandoglielo le sfogli le piacevoli (banco)note, al ritmo musicale dello sfiancarsi accaniti per il piacere enorme di fregar(sen)e. Queste cagne! Meritano solo il lupo cattivo, il Max Cady è oggi Belfort, De Niro trasmutato nella smorfia beffarda dello “psicopatico” broker. Ecco il promontorio della paura offerto in “orifizio” ad altro “spogliatoio” senz’alcun sacrificio per guadagnarsela! Rubare, desiderare, vincere ogni Peccato all’insegna del Capitale! Dopo le fragoline in macedonia, innaffiamo il dolce di altro menefreghismo ingurgitante! Vi amareggeremo di putridità! No, non vomitiamo. Ce le spassiamo anche, fra una stanza d’albergo all’altra con tanto di seni lattei per noi arrampicatori fra queste (ig)nobili, bellissime zoccole da stalloni vincenti! Non siamo troioni, noi siamo Ulisse che scappò da quel di Troia per vendicarsi dei proci, sbrogliar la tela di Maddalena e urlarle: “Puttanona, che cazzo hai fatto?! Ti sei fatta tutti i cazzi degli altri! A me non la racconti. Ora, ingoialo dai miei pantaloni di velluto, non baderò ai tuoi tradimenti, fedifraga gattona io me ne fotto delle morali! Il sangue di Cristo! Sia lo(r)dato l’Altissimo! Giù, a pecora!. Sono la furia raging bull, la bistecca va cotta a puntino! Servimi! Stai zitta, ecco la lezione castigante a tutti questi flaccidi pecoroni! Bela, bellona!”.
Ec-cessi, nessuna san(t)ità, deturpazione, oscenità a iosa, e sfrenatamente insistere. Senz’attimo di tregua. Vai, vai, incitazione! Eccitamento! Violenza dei soldi! Dell’abusare, del potere a luci rosse! Mai lampeggia il pericolo sempre alle porte! Chi accelera deve star accorto se non vuol perdere l’anima e il core? No, noi non crediamo a questi ricatti! Altra ricotta! Vaffanculo! Porco Gesù! Ah-ah-ah, che bel balletto! FUCK YOU USA! No, tu sei una balenottera! Volerai precipitevolissimamente dall’elicottero! Caduta, oh mia mon(a)ca non libera per noi a cacciarti in quanto esigenti libertini! Noi libriamo per l’azione vorticosa, noi siamo i fondatori di una nuova (t)er(r)a(gna)! Ragliamo!
Fine(zza) si fotta, eppure noi siamo la signoria dei fighi strafottenti, noi siam l’effimero (s)fatto a b(l)andire ogni sfigato, la galanteria del volerla tutta, la torta in “figa” e il raffinato vulcano da stronzi sfacciati! A nostri edonismi d’empireo! Sfanculatevi!
Schifezza fatta vita luccicante!! Tripudio che, a parco giochi di soggiogar le borse, anche sotto gli occhietti, ammira nella divinazione mai tramontante i sen(s)i.
Orrore! In barba alle favolette di Narciso! Moralistiche da tiratine…
E al lardo lascerai lo zampino! Zampilla in prigione la colpa caudina della morale “buonista”. Sciolto budino! Burrocacao.
Happy ending…
Il resto sono tre ore di devastante Cinema e apoteosi! Diamante e altra vetta incomparabile!
Chi ha orecchie per intendere, intenda, chi voleva una recensione “corretta” non ha capito nulla.
Pronto per la prossima “battuta?”. Attento al polso da tennista…
Ahia, quest’ace fa male!
Riprendi fiato, saltella, una pausa?
No! Spinge! Dirompente, spacca!
L’unica verità di questo Mondo? I soldi ci rendono una persona “migliore”. Una, trina, tante! Di più!
Già. Coi soldi compri la “Better”. Salvi un allocco macchiato e, quando sei ammaccato, puoi anche comprare i farmaci più efficaci.
Amen, la messa è finita.
Se non vi è piaciuta l’omelia, ci sarà un’altra novella. Qui, è sempre Domenica.
Domani, siete all’Inferno.
Questo film improponibile, strepitoso, lucidissimo, è un’agonia, ma non perché amorale, frenetico, balordo o per colpa di altre amenità. Perché è prolisso, tedioso, sfinente, a stringervele, a farvi incazzare, teste di cazzo, parlato, indigesto e non sa gestirsi. Rompe, rompe, ma nessun vezzo non è già visto, odorato, “naftalinizzato” nelle asettiche inquadrature di Wall Street, epigoni e sotto-capitoletti più o meno som(m)mari, dei pavimenti lustrati, della radiografie al già captato, sterilizzato, flagellato, trombato. Tutto qui l’esaltato entusiasmo? Un passo molto indietro del Martin nostro amato. No, affatto! Un superamento inaudito!
A Scorsese dà alla testa la vecchiaia ed è senile in quest’impianto filo-“liturgico” da analisi mai crudele. Non è il Padreterno, sia mai, e giudicare non deve. Ma non c’è giudizio di sé nel fare Cinema. Tutto scriteriato fra un Mark Hanna/Matthew asciugato, masturbante in zigomi levigati da Nosferatu sfibrato e già palloso, un DiCaprio esagitato e birichino da però quasi spaesato burattino, gestuale e troppo mim(ic)o, un Jonah Hill fuori ruolo, centrato solo di “pancia”, fotogrammi “perfetti”, quindi non c’è tenebra, non respiro viscere di lirismo, solo già incenso per giammai premi fake come l’intelaiatura calibrata, studiata, interminabilissima. Rottura. Più tradizionale di un classico stronzo. Da Dio, dunque! Silenzio!
Pellicola andata, idea su commissione poco valorizzata, non va. Sputtanante!
Tutto lo stupore è paga(men)to. No, non ci sto!
Oggi, capisco che ero un genio e in questa società, che l’acclama, ho fatto bene a essermi nell’inconscio sparato. Ho fatto di peggio. Di meglio, è tutto Martin, compreso questo e i suoi fottuti pseudo minor(at)i incompresi.
Mi tengo Casinò. Questo è solo casino e non ci sono accenti. Tutto è energicamente filtrato. Stanco. Ma va bene!
Una merda. Un putiferio di sublime fondente!
Se per questa mia volete spedirmi in manicomio, fatelo. Peggio di questa roba c’è solo l’elettroshock. E la cocaina mal tagliata. Andava tagliuzzato, dimezzato, forse anche sulla carta cestinato. Possibilmente dilatato. Infinito!
E, nel dubbio, dico capolavoro. Assoluto! Cazzo!
Stordito, scioccato, a tratti ricco e molte volte da neanche prezzo del biglietto.
Ecco, tieniti la bile di una vita “normale”, quella è “indecente”, la castrazione alla figa rasata e liscia, senza “scalpo”. Per te, pater, tutti i nodi devon “venir” al pettine. Ah, invece il petting vivo è la depilata mis(t)ura dello scorrimento senza cespuglietto. L’asciugacapelli del “tiro”. Non una scopata da tagliatelle alla boscaiola ma un’affondata di burrata come Dio… comanda e domina dall’alto anche di posizione “debosciata”.
Aggrovigliante nel pus, nell’odore di puttane e tutto che eccede e (tra)balla. Crollando colante fra collant da “scimmiette”.
Questo sarebbe un masterpiece? Ma se sembra il seguito più brutto del pecoreccio Porky’s. A te parrà così! Che cazzo vuoi capire!? Ah, vi scandalizzate per un fallo di plastica e cazzeggiar di reiterate vaccate?
Mamma mia, come siam caduti in basso, Martin. Se oggi, per far gridare alla grande opera, devi prostituirti con quattro riprese scialacquate in “sciacquette”, sei finito.
Per gli altri sciocchini, ah ah!
Ma contraddico il mio incipit, non so.
Fai venir sonno.
Peto!
Martin, quando facevi il prete cattivo e smodato, eri grande. Perché (non) moralizzatore. Adesso vuoi fare il moderno e sembri la brutta copia di un filmaccio italiano col grosso budget.
Promosso!
Vai a cagare! Vai a morire ammazzato! Rinato Cinema!
E vadan con Dio anche quelli che tal film stanno molto apprezzando! Annesso me! Ah ah!
Anche se, fra poche ore, comparirà pubblicato il libro che ti ho dedicato. Appunto! Ficcatevelo!
Ma Scorsese mastica, sì, se ne nutre, va duro, tritura. Di straforo, anche, incula e inveisce, veemente non zittisce nulla. E divelle gli argini del consueto come tal mio osannarlo e non, stare sul chi va là, travalicar il luogo comune.
Perché io do. Inciampo, mi rialzo, sbuccio, esalto!
No, il film si inceppa, si concentra su dettagli apparentemente trascurabili, avvista anche Popeye con gli spinaci in una tragedia annunciata senza respiro, mozza il fiato, shakera frame straniti, DiCaprio giganteggia fra scale a chiocciola e scene antologiche, per già una bacheca indimenticabile in cui questo Lupo risuona.
Un superbo delirio!
(Stefano Falotico)
Martin Scorsese è
In febbricitante attesa per The Wolf of Wall Street: Martin Scorsese è Taxi Driver, il suo Cinema rappresenta me stesso, masochismo sfrenato d’una alterità latente e irritabile
di Stefano Falotico
Con grande orgoglio, fierezza abissale e “non sommergibile”, sebbene io sia esperto del sondar i mari profondi della psiche e del suo inconscio, musicalmente a mie liriche, troneggiante in amore impetuoso, ondeggiante di dichiarazione a tachicardia emotiva eccelsa, ivi e avo asserisco che di Martin son da immemori anni innamorato. Portabandiera del suo dolore, dell’estremo esser eremitico seppur polemico socialmente, sempre teso scuoia l’umanità, non dei poveri bensì dei miserabili, in quanto egli stesso non adatto al Mondo. E mai dai suoi marci capezzoli, grondanti lerce sconcezze, se n’allatterà giocondo. Il suo Cinema abita in una zona “morta”, dunque viva, al bordo del più intenso e lucente bagliore del crepuscolo. Perché, da esploratore che indaga nell’animo umano, animalizza le nostre anime a violento sfregiarle. E se ne fregerà come me che lo decanto, fulgido l’incarno e in osanna lo lodo poiché, senza sprezzo del pericolo e dei vostri stolti sputi, odio questo Mondo lordo. Tanto libidinoso e gretto, materialista, che geme un latrato patetico, singhiozzante ambizioni vane, che a me non si confanno mai belle, nonostante tutti falsamente s’imbellettino, gozzovigliando di (di)letti e dame soltanto troie come la più concupiscente Maddalena, emblema della maliziosa bellezza che invero è orrenda senescenza. Io non vi sarò belloccio né belante. Io non mi (im)bevo.
Io adoro la vetustà assoluta, in grido laconico e inascoltato, fremerò sempre per valli d’avorio, copritemi di livore col vostro celebrato or(t)o, io pascolo a mio gregge e mai m’ammainerò per ammansirmi a questi maiali camuffati da pecore. Perché leone e Iddio io stesso, recalcitrante al sesso, duro come un sasso e macigno a testa tua. Io, dell’arcigna austerità, son Principe di qualità e vi piglio per quaglie, cari pappagalli.
La vostra vita è solo scemenza d’esistenze nello squallore da tempo (s)consacrate. E io ne sono la vostra invisa eppur visibile blasfemia a faccia rovesciata della medaglia. Perché pervertiti invertiste i valori e voleste “volenterosi” anche la mia natura violentare. Sforzandola ché si chinasse alle vostre “bustarelle”… della spesa, del soppesare e soprattutto di tal edonista sollevamento pesi. Io non dipendo da nessuno e guai a chi vorrà obbligarmi alla mansuetudine dei padroni. Io spadroneggio e di spada ne son florido contro i suoi luoghi comuni e i suoi incolti, banali florilegi.
Chiamatemi il fuorilegge se ciò che v’aggrada. Di mio, non indosso nessun grado.
Io vivo nei guai, nel guado e voglio anche accollarti il bavaglio. Ma non ti accoltellerò. Io sono gentile e so punirti senza che tu (mi) stia a sentire. Sentinella!
Bravo, non sbavare.
Fratelli, è tempo che vi spariate.
Altrimenti, essendo un gran Signore, che lassù sa(le), v’intimerò solo di sparire. Io sono il Re Sole, io sono anche la solitudine. Sempre meglio che questi calori da morti.
Sia lodato Gesù della Madonna!
Amen.
Ora, pro nobis? No, veniamo alle mani noi nobili. Basta coi papus. Plurale personale di voi papponi!
Evviva il Papa. Tu, lascia stare la pappina. Da me avrai solo pappine.
E tu, sì dico a te, bambina. Che cazzo vuoi?
Il mio? No, il mio è mio. Il tuo è un uccello che io ho già tagliato.
Tieni chiusa la bocca.
Hollywood bianca, Stefano Falotico è Cinema e Letteratura
La bramosia attraente del Cinema e della Letteratura
Ad opera di Stefano Falotico
Mi vivo, vividissimo, in sempre più smunto viso, arcigno e deodorato, persino debosciato e di proboscide a un naso fieramente dispettoso alla car(tilagi)ne, essa stessa allungante… e bugiarda, in mio adornare la pelle glabra per perpetua vacuità, di peli arruffati che s’imbrogliano in quasi doppi nodi buffi e, arzigogolati, spronano il mio mandrillo.
La vita è contemplazione, oggi che, dissipate tante noie, ruvido non gemo più soffrendo. Ché di sofferenza fui taciuto e anche tacciato, dagli ignoranti, come“lebbroso” ma, seppur ancora di agnosticismo ed epico, coraggioso mai struggermi per tal vostre lotte sconce, di essenza sarò requie turbolenta d’eterna empietà e nell’eremo a mia brada e feroce, lanceolata e forgiante fantasia libidinosa.
Valicando mari e alte, svettantissime montagne, supererò ogni superlativo osceno della superbia a me sposa. Del mio sano palcoscenico. Teatrante di chi (non) recita e non è una scimmia Cheeta, anche se era meno scema di voi perché almeno indossava il decoro dell’ambire al cazzo d’un grosso gorilla. Rigogliosa, domani di nuovo flaccida, quindi neve e fremiti dal tremolio al dolore più venoso, quello zampillio di angosce nervose, d’inestirpabile manto crepitantissimo nell’anima a veleggiar per toccar sponde di mie orgogliose navi.
Mai leverò le ancore, spogliatemi ancora, in tutte le ore. E sarò l’oracolo di miei monocoli, di cieche visioni a rinforzarsi secondo secco dopo altri profumi dei miei tanti cuori vischiosi, mai rinsecchiti, no, non ai crassi e ridanciani baratti io la mia anima pattuirò al fin d’affiliarmi in equilibri stanti. In quanto leviatano, creatura notturna, armonia giocosa, intimarmi a vigorose leggiadrie adorabili e quindi poi nuovamente non tanto letiziose. Poiché sono cheto e perciò inquieto. Coltiverò il mio ispido porcospino, erto a pellaccia irtissima e non mi pizzicherete, oh no, miei pazzi ché tutta la vita pigliate a frizzi e al patetico la(z)zo. Olezzi vi addomesticheranno al vederla opalescenti e vi nutrirete solo di sterile miserabilità, della più esecrabile lentezza.
Io ho scalato mille vertici e mi prefiggo di mai affiggermi in bacheca del carisma e degli allori. Il mio motto è la vita che riscocca dorata, sempre ondeggiante in balli della mia inoppugnabile, scorbutica, indomabile bellezza. Ed è rinomanza e tanti romanzi.
Intagliati a miei intarsi, mentre voi vi tartassate e gioite solo degli alibi a immolare la povertà morale in t(r)ono di ridicoli alibi. E le albe? Smarrite, già morirono, ottenebrate da tanto vostro bri(vid)o raggelante.
Io scrivo inesausto e mai mi sosto. Perché sono l’innovazione a me stesso, che s’inne(r)va a geli permanentemente da sghiacciare con ingegno creativo, col cratere del mio esplosivo sempre nuove partorirne. Come le aurore, il ticchettio dapprima flebile e dunque tonitruante, fra altri tortuosi tornanti dell’esistenza bruciante, oh sì, esistersi davvero non è miele sdolcinato dei vostri zuccherosi alveari, ma obiettivi… re(g)ali del giammai chinarsi né al tedio né tantomeno al dom(in)arsi.
Mi prostro da scribacchino? No, da sincero stronzone.
E strozzatevi pure di lavoro inutile per accoppiarvi come animali per il “sapone”, buoni a nulla rimarrete e, affogando nella marea dei sogni perduti e da voi stessi sommersi per colpa del barbarico cinismo, mangerete solo laido purè e fiocchi di patate a vostr’anima pelata…