“Rocky Balboa”, re-view again
di Stefano Falotico
Preso assai sotto gamba alla sua uscita, per di più snobbato e solo d’alcuni, in seguito allo “sfrenato” successo de I mercenari, un po’ rivalutato col senno di poi da chi si diverte tanto ad analizzare, appunto a posteriori, le carriere “cineastiche” degli attori. In questo caso, Sylvester Stallone che, invece, proprio dall’aver rimembrato di sua regia quest’ultimo capitolo della saga balboiana, pare che oggi viva una seconda giovinezza.
Rocky Balboa, il sesto e definitivo, appone il sigillo intoccabile su una serie fortunata, almeno a livello commerciale che però, dal “capitolo” due in poi, s’è adattata soltanto appunto al mercificare l’icona Sly. Col trascorrere degli “episodi”, il pugile proletario underground di Philadelphia, che incarnava l’impossibilità dell’american dream nel concretizzare miracolosamente il sogno invece avveratosi, viene progressivamente inglobato, anzi proprio “globalizzato” nei brutti canoni estetici dell’USA e getta (anche in senso di edonismo reaganiano degli States e della retorica demagogica “color” stelle e strisce) per, sì, esaltare la muscolosità sempre più plastica e “perfetta” di Stallone quanto a demolire proprio il suo originario capostipite. Rocky, infatti, subisce tanto un’evoluzione di popolarità quanto, nella ricerca d’un facile populismo da cassetta e soldi facili, getta proprio qualitativamente la “spugna”. Il “vertice” dell’obbrobrio, della totale tumefazione del suo mito, la tocca col quarto. Impostato e costruito in “stile” videoclip, come andava di moda allora, a “monumentalizzare” Stallone come paladino di tutti gli “eroi” palestrati ed edonisti partoriti dall’America più cretina. Lo sfidante è il colosso Dolph Lundgren, il titanico Ivan Drago, mister “Io ti spiezzo in due”. A sigillare l’oscenità di questa “pellicola”, assolutamente da cancellare, come se non bastasse, assistiamo nel finale addirittura a uno Stallone che si auto-divinizza con un discorso “in diretta”, trasmesso a reti mondiali, in cui riceve addirittura l’applauso del sosia di Gorbaciov “in persona”.
Col quinto già riprendiamo le fila d’un discorso sensato, più vicino all’etica del primo.
Anche perché, a dirigerlo, è appunto John G. Avildsen, autore dell’originale.
Tutti credono che la storia di Balboa finisca qui. Invece Stallone pesca dal cilindro la sua creatura migliore (non dimentichiamoci mai che a plasmarla e ri-crearla è stato sempre lui, scrivendosi addosso la sceneggiatura), e per magia genera quel che è un capolavoro.
Sì, lo posso dichiarare stavolta io con l’innalzata e più orgogliosa bandiera battente profumo Cinema.
Chi è Rocky nel 2006? Sono passati molti anni, anche la sua amata “Adrianaaa!” è morta.
Rocky è un uomo solo, è ritornato a vivere fra la gente umile, fra i “vigliacchi”. E, alla sua bella età “suonata”, vivacchia sconsolato, rallegrandosi estemporaneamente nel rammemorare la sua gloria che fu. Ogni giorno, si reca al cimitero per porgere fiori sulla tomba del suo amore bigger than life.
L’unico vero amico che gli è rimasto davvero è il cognato Paulie. Il figlio (nel quinto era proprio il suo figlio reale, Sage, qui sostituito da Milo Ventimiglia) lo ripudia. Perché, nonostante suo padre sia il grande Rocky, a “virtù” proprio di tale ragione, vede in lui la persona che l’ha rovinato. Il figlio vuol fare carriera “normalmente”. Studia Economia, per lui suo padre è soltanto un bell’affetto da cui stare lontano. Perché lui vuole farcela coi “pugni” di chi si crea stima senza “macellarsi” sul ring.
Oggi, si vive nell’epoca del digitale. Il campione invincibile dei Pesi Massimi è Mason Dixon.
A qualche fottuto nostalgico del passato, grazie proprio alla CGI, vien la balzana idea allora di allestire un incontro “virtuale” su quelli che gli addetti ai lavori considerano i migliori boxer di tutti i tempi, Rocky Balboa e il “nostro” Mason Dixon.
Secondo il suo “creatore”, il più forte è, e rimarrà sempre, Rocky Balboa.
Mason, da quel “semplice” filmato simil “Celebrity Deathmatch”, viene molto innervosito. Tanto d’andar su tutte le furie, urlando al suo agente in faccia che si sente umiliato. E vuole dimostrare al Mondo intero che the greatest of all time è lui.
Il suo agente sorride, dicendogli di fregarsene di quello scherzetto “televisivo”. Mason se ne sta tranquillo ma c’è già un pezzo grosso dei media che ha pensato di sfruttare proprio questa “finta” provocazione per un vero reality show in cui Mason affronterà il “vecchio” Balboa. Vuole creare un evento a scopo di lucro.
Così, propone a Rocky la sfida (im)possibile. “Scende” sin nella “sporca” Philadelphia e lo incontra nel ristorante di cui Rocky è ora l’impresario, il “presidente onorario”.
Rocky si siede al tavolo, omaggia l’approfittatore e inizialmente gli sussurra un “No, mille grazie, non sono più un ragazzino. Arrivederci”.
Però, invece, la proposta lo alletta, è forse la scintilla per farlo sentire ancora vivo.
Perché Rocky non è solo un uomo che ha perso tutto un’altra volta, che aiuta la gente debole del quartiere a farsi valere con gli insegnamenti della sua “filosofia”, da esperto delle sconfitte, delle rinascite e delle “scalinate”, ma è un warrior che non si arrenderà mai. Uno che, nonostante mille e più batoste da cane sempre bastonato, soprattutto le ferite nell’anima, i dolori delle perdite, giù non va. No.
Nell’impresa “disperata”, alla fine, riesce a convincere il figlio. All’inizio recalcitrante a fargli da “braccio destro” negli allenamenti, a sostenerlo nella “stupida” e folle voglia di essere per l’eternità Rocky Balboa.
Rocky infila i guanti, smaltisce i chili di troppo, si tonifica con tutti gli acciacchi del caso, ed è preparato, in forma per il combattimento epocale.
Mason è giovane, è scattante, è indubbiamente favorito. Rocky ne prende tantissime e tante però ne dà. Crolla, si rialza, casca di nuovo e resiste sin all’ultimo gong, come accadeva nel primo.
Anche stavolta perderà ai punti. Solo ai punti.
Rocky ce l’ha fatta, anche se è un “perdente nato”. Ha vinto i suoi limiti. Li ha, per meglio dire, appunto “contenuti” e fatti esplodere nella sua forza vitale.
Il pubblico sa che non è lui il vincitore dell’incontro ma gli applausi sono tutti per lui. Prima di tornare nello spogliatoio, per la doccia calda, Sly/Rocky si volta quasi al ralenti.
In quei 15 secondi immortali di flash, abbracci calorosi della gente, urla di giubilo ed entusiasmo “Rocky forever”, c’è tutta la sua sbagliata, giusta, vita da gancio sinistro.
Cala il sipario.
Rocky torna sulla tomba della moglie Adriana, le parla come se tutta la nostra esistenza fosse quella di fantasmi che devono soffrire, resuscitare e lottare per trovare la pace.
Poi, si allontana. Titoli di coda.
La commozione è enorme.
“Legacy of Secrecy”
Today marks the 50th anniversary of the assassination of President John F. Kennedy in 1963. It is a topic our guest Jack Van Laningham, who was featured in the Thom Hartmann book, “Legacy of Secrecy: The Long Shadow of the JFK Assassination”, co-authored with Lamar Waldron. Warner Brothers is now making the book into a movie, starring Leonardo DiCaprio as Laningham and Robert De Niro as Carlos Marcello. FBI Informant Jack Van Laningham sits down with Rob Nelson to tell his story about the mafioso Carlos Marcello was behind the murder of JFK
Paul Walker death, meglio il culo di Polly Walker
Muore di sfiga “crash” Paul Walker ma gli preferisco ancora il culo schiantante di Polly Walker: San Francesco parlava agli “uccelli”, li intimava a non intimidirsi di fronte alle monache “timide”
Paul Walker, un puttanone di meno, gli altri io menerò…, tu finiscila con il “cambio” dell’ingranar la sega di mano…
Mi son rotto la testa a spiegare al Mondo come dovrebbe pensare a “godersela” prima di celebrare le morti altrui, per esorcizzare la propria ipocrisia da “show must gon on, a quanto vendono quella carne fresca di manzo al banco dei salami?”…
… ma non mi diedero ascolto, continuando nelle “commozioni cerebrali” da cerebrolesi appena un attore di Hollywood, che fino a ieri veniva preso di “gas” nel suo sfintere anche da un bambino diarreico con una madre obesa che gioca solo col “manubrio” del vibratore per la “frust(r)ata” in cerca di “scorribande” chissà quanto “godenti” di posteriore grasso e “testacoda” su curve auto-erotiche-“olianti” da un pezzo oramai non tanto “pericolose”… più che altro cadenti.
Crepa(cuore) il “grande” Paul Walker, un mezzo mariuolo “bono” solo a “spingere” Michelle Rodriguez per il tamarro da “glande” schermo (t)rombante.
Al che, partono i pianti di tutti. Su Facebook, donne con tre chili di rimmel, si fotografano col suo “santino”, appena estrapolato da Google-immagini per “stamparselo” sul viso in maschera funeraria “sbiancante” di “pompa” funebre nell’estrogeno perverso della “morte in diretta” ché, con macabro “sex appeal”, fa più “pigliamela” da “lassù,oh oh aahhh… che tornito didietro avevi Paul…”. Una scrive “Nooo, cazzo se era figo!”, nel post-al-market di Paul in mutande e appunto “biancheria” intima rest in peace gran pezzo di gnocco…
Un “maschio” invece da “sbattimenti” del Sabato sera pre-festivo, uno da “festini” nel pub-ettino troglodita su “misure” pneumatiche d’una prova etilica, allestisce un memoriale “sincero” quanto “quella” drogata nel bagnetto incrostato che da “lui” viene, eccome se viene mica tanto, ficcata in codesto ba(lo)r(do)-locale “caldo” sovrastante che ho poc’anzi (ec)citato…
Ce la vogliamo dire? Siete una società di tonti! Tutti a parlar di Cinema “alto” e poi a rimpiangere il performer “basso”, soprattutto di ventre piatto… delle “tartarughine” come gli addominali di Paul.
Ed è per questo che siete dei polli. Dinanzi a tale deficienza collettiva da “colletti” bianchi, io “inserisco” il capolavoro di Peter Greenaway e godo quando Polly Walker mi mostra il suo fenomenale culo. Sì, ardo per quell’arse.
Sono un “asino”-horse. E, come tutti gli asini amanti della “cavallina”, dondolo di Stallone Sly che vive alla “cazzone”. Il Cobra non è un serpente…, il suo nome “anagrafico” è Marion Cobretti, giubbotto di pelle che sa come le “patatine affogano nella salsa”.
Chiaro? Se non ti sta “pollice su”, ti sbarro con un posto di “blocco”. Prova a sterzare e ti multo perché guidavi col cellulare mentre “discutevi” con la “direttrice” già gridante per aver il tuo (im)piegato “sottomesso”.
Sono fatto così.
Mi chiamano Vin Diesel.
Alcuni muoiono d’iperbole… e io insegno la parabola…
A 34 anni suonati, ho scoperto una brutta ma vera eppure (mettiamoci pur il purè) atroce verità. Gli uomini sono degli animali, anche se si camuffano dietro abiti borghesi ma, cos(ci)a peggiore e più grave, le donne non son da meno. Una volta, non se la menavano, forse (in)giustamente. Poi, arrivò il femminismo e l’emancipazione si “propagò” con le minigonne. Le idee del loro piccolo Mondo antico “lievitarono”… così come il pene, ops scusate il pane, nel forno “abbrustolisce”. E alzarono la cresta della loro “crostata”. Tutte le repressioni ataviche si sfamarono a diffamare il maschilismo che, nel sedere, le sedò con la marmellata per an(n)i troppo dur(at)i ad “allattarli”. Ah, le mamme(lle)! E, dal “burro”, i monologhi delle vagine, sole e depresse, s’alzarono come gli uccelli! Già. Attillate in “tiro”, continuano a mentire in modo più ipocrita del sesso (ex) forte.
Nei loro annunci, ove cercano insomma l’“Annunciazione” di qualcuno che svergini le tali ti(mo)rate di Dio, scrivono epistole di questo “tipo”:
non voglio uno che sia un topo da biblioteca ma che sappia coniugare i congiuntivi anche se non sarà un coniuge. Se non ha il mio maschio una decisa autostima, si tolga dalle “palle”, perché ne ho piene di corteggiatori laidi a caccia di “quella”. Altrimenti, solo calci! Insomma, non sono una quaglia, sotto la gonna c’è di più… (aggiungo io: squagliata o “sorpresa di bazooka?”).
Ora, mi spiego meglio. Sono una tosta, gradisco un Principe Azzurro e basta coi trans(fert). Da decenni sono in cura, gli psichiatri me l’han messo solo in culo. Li pagavo per la “porcella”, ops scusate parcella.
In un “uomo”, guardo innanzitutto il cervello… (aggiungo io… ma come? non ama gli strizzacervelli?!, è una strega veggente?), ma bado anche all’aspetto.
Morale della “fragola” per avvertire i petti(ng) di pollo: le donne sono più menzognere, alcune anche megere, dei mer(l)i uomini.
Parlano di mente, alcune taciturne non parlano per niente però d’occhiolini dicono “tutto”, ma ambiscono solo a quello… cioè il dotato.
Appunto di uccello.
Al che, nella mia “cappella”, “viene” un amico di vecchia “data”. Uno a cui la sua gallina, che faceva buon brodo, ha rifilato la patata bollente a un tizio più “al dente”.
– Stefano, tu credi al mon(a)co di Assisi?
– Credo che Chiara, “Santa subito…”, Francesco beatificava ad Assisi. E Chiara, gran figa, questo sia chiaro, quando le “parlava”, abboccava…, urlando “Ah sì, sì, sì, adesso ingubbiamoci e poi fammela a Gubbio!”.
– Sei un porco!
– Il tuo amante era Cavani, non gioca da un an(n)o nel Napoli ma lo vedrei bene in un film della Liliana… Cavani ha una faccia da patito del Biafra. Non me l’ha mai raccontato “giusto” neanche quando era un bomber ficcante!
Secondo me, non lo pagavi abbastanza. E, da allora, ti sei dato al Ninetto Davoli di Pasolini!
Io sono colui che ti sveglia dal sonnellino. E alle gonnelle preferisco la bretella con romanticismo bretone.
Se mi prendi per (un) coglione, ti faccio… “volare”.
Infilandotelo nel sacco! Pigliatelo in scrotale saccoccia.
E a cuccia, cucciolotto!
Parola di San Francesco
Se non v’è chiara la Santa e l’antifona, tua madre sarà infornata, perché volesti “forarmi” e invece son stato io a (in)formare la “crocerossina”… in modo “perforante”…
Molti scemi credevano che fossi un tipo da margheritine e da m’ama o non m’ama. Volevano seminarmi, invece metto pepe e insemino!
Adesso la lor mamma prega “in ginocchio da me”…
Fine dei “giochi d’adulti”.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
- Crash (1996)
- 8 donne e 1/2 (1999)
Il mezzo lo vuole intero? O le do tutto il filone? - Rambo (1982)
- Uccellacci e uccellini (1966)
Nosferatu, il principe della notte
Nosferatu
di Stefano Falotico
Un cannibale che viaggia fra generose, sfoglianti follie. E piange le sue mestizie nell’imbrunire della strada. Come la vendetta nel mio nero mantello!
Irsuto, in tendini nervosi, si squamano le agonie, squalo in questa città che poltrisce. Decadentista in un mio apparire-sparire, fantasma e spettro, canzoniere di cicatrici “pittate” a viso semp’affamato, scarno, scavato, zigomo affilato, mai flebile, colpente le rabbie impetuose, forte, “incastrato” nel sempre mai dissuadermi da quel che sono, esperii, rinnegai e potente (ri)spu(n)tai! Da quel che capto d’istinto, gabbia mia voracissima rapita di scherno dolente in questa società “scherzosa” e schermante, propensa atavicamente alla derisione e ai giochi più schernitori, a umiliare il prossimo sinché par debole e dunque percepito come vigliacco su cui accanirsi da “sani”.
In una sera d’avanzato Settembre, mia amata mi domandasti perché, “affranto”, stavo affacciato al balcone a osservare il passeggiar stanco d’uomini indaffarati, chi con la prole “addosso”, chi ridacchiando nell’indistinto, confuso chiacchiericcio. Mi voltai, tranquillamente ti risposi che io non mi riposo neppure quando contemplo, o fingo, sospirando di guardare il tramonto sbuffante, quando plasmo le mie iridi, d’apparenza “distratta”, nel vedere oltre la superficie dei mari calmi, delle coscienze addormentate. Mi baciasti, soffiasti sul mio collo e premesti alla base del mio cazzo, che schizzò naufrago di tanta “moderata pigrizia”. Con flemma “acustica”, addolcisti l’esorbitare frenetico del mio voluttuoso volerti già volteggiante e nuda, “dirimpetto” a tutti che, da sotto, potevan adocchiarci per additarci come maniaci dell’oscenità impudica. T’afferrai, sollevando la gonna in veloce, punitor strappo, e tu me lo “stappasti”. E, nell’infilarlo dolce, allev(i)asti il dur Cuore mio triste, mordesti la mia spina dorsale e indossasti la ferocia di tal nostro (s)fregiarci. In un lasso “fregante” di Tempo “impertinente”, superbo di dinamicità d’acciuffar giusto l’istante d’una temperatura già vittoriosa dal turbinio giammai frenante, ferino inalai la tua figa nei sapori salivari dei canini e tu incalzasti a sbavarci… attorno, modellazione plastica di due cere astratte, remote d’eternità ineludibile da quest’umanità già, da come nacque, annuente al voler del conformismo arido e stanco.
Ti dimenasti a letto, furibonda di tanto mio buono-cattivo Dracula. E, non mor(d)endoci più, travolti dall’impeto dei gioiosi sensi, accasciai il pene nella vagina tua levigante, leccando poi l’agone dell’avermi martirizzato in tanto nostro ossessivo martellarci pulsante.
Mi domandasti, quindi abbandonata al godimento forse ancor maggiormente disinibito…, sai quando le carni s’ammorbano nel sudato rilassarle appena “espi(r)ate” nell’alto del poco trascorso innalzarci scevri d’ogni inibizione, se mai io fossi stato in carcere.
Perché, nello scoparmi come Cristo di Dio e Madonna tua di nuovo sverginata nella totale grazia da puledra ars amandi tanto disarmante, avvertisti attimi inequivocabili in cui, macellato dalla tua bontà serena e anche da osannata mia troia serva e severa, ebbi l’indeciso (s)concerto corporeo d’incorporare bestemmie al creatore.
Non solo della tua figa estasiante, io gemetti lagrimante. Sì!
Leccai il capezzolo tuo più irto, quello più tutt’ora da lubrificare nonostante il furioso prima suggerlo in carnivora tua irrefrenabile e lussuriosa, ridonata e ridondante verginità, porgendoti la carezza d’una risposta (in)discreta, ambigua come il dipinto dinanzi al nostro letto. Elegante e non volgare, forse provocante.
Un dipinto che ritraeva Satana accerchiato dagli angeli nel farsi il Cristo d’altro bugiardo schiacciato dalle ipocrisie di chi, da lassù e dalle origini imprigionanti, mentitore “comanda”… perfino le sacre ostie e come si doman le orge.
No, sì, forse può essere, potrei aver visto le sbarre e l’Inferno a torchiarmi così come poco fa, infiammati dalla Passione, esasperammo la vita vera, amplesso dopo amplessi, flessioni “tortuose” da imbizzarriti tori in fila rubina del cremisi scioglierci. E, in tal purpureo accecare le virtù false, scopai me stesso nel vederla nuda e celestiale, da Illuminato. Perché solo chi ha sconfitto le tetre, crespe onde del Sole bastardo e illusorio, può risalire alle pure ragioni dell’amore notturno.
Quindi è, eternamente e dal terrestre stronzo, alienata, eterea felicità che durerà sempre diurna!
Sai, ci fu un Tempo nel quale vissi nascosto, come un cerbiatto “matto” che, scalciando fanciullesco, cacciò proprio le “solarità” dei “vivi”, adempienti al tragitto “obbligato” e comunemente, secondo… così come avrei scoperto da intristito (dis)illuso, avviati invero e invece alla morte “tronfia”, che eppur si crede allegra e da “trionfi”.
Fu questo mio “tonfo”, nell’ero in un ieri forse ieratico e quindi già oltre, da cui rinvenni il riesumare la luminescente verità del Mondo. Già allora “fui”… sempre fum(m)o anche quando siamo, ricordatelo, … noi originari d’altre sponde da “diversi” del sentire e dunque amarci, commuoverci ed emozionarci…, già fui (non) morto. Più vivo degli altri nel mio sembiante da “sepolto”.
Ma la cattiveria della gente fu ancor più profonda. Superficiali, disprezzanti e partorenti il peggior, torturante (i)odio. Loro che “vivono colorati” di tanto c(l)oro, son proprio loro i mostri dei nostri “minori” cuori. Pusillanimi senza vergogna e privi di scrupoli morali, cesellatori testardi ché, secondo queste teste, la vita non può essere nulla se non la si vive come appunt(it)o a lor pare.
E fui lestamente “forzato” dalle violenze di tali bestie, dentro lo sgretolar delle sanguinarie pareti, con un vile arresto. Nella psiche ché al vociferar maggiore s’adattasse di tutto mio “fiore”. Forarono nel cambiarmi, “solleticarono” zone mie genetiche nel “naturalizzarmi” a quel che invece è mio naturale, immodificabile essere. Dunque a loro ridente proprio perché desiderarono che piangessi per plagiarmi al volere di “tutti”, della gente “comune” e avara. Ché avessi quel che loro adesso vogliono, han sempre ottusamente voluto sol avere. E non sono! Mai lo furono!
Lì, allora, ho visto. Ho visto le mille brame degli orizzonti, l’ampiezza della Bellezza rubata dalla cupidigia, dalla stupidità della loro mai placante, inetta, non essente bramosia.
Nell’horror vidi e (ri)vivrò. Nella virtuosità della mia fortezza. Ché attentarono ma nessuno, implorassero e basta, nessuno scalfirà.
Io scalpito di più rabbia e m’han solo che rafforzato.
Perché innocenti divelsero con pregiudizi svelti, a mortificarli perché “vivessero”. Noi…
Prima di giacere, qui nudi a letto, stavo assaggiando l’asprezza romantica del mio Nosferatu.
Del mio diverso. Anche del tuo. Ed è per questo che io e te ci siamo scelti, (ci) siamo accoppiati, abbiamo copulato.
Tu sei come me, il Nosferatu. Sfiorati…
Eutanasia, parla Dio per voi!
Eutanasia, un antico dilemma che il bigottismo tende a sopprimere nell’omertà latente del dichiararsi fottutamente moderna: invece è sacro il diritto alla vita quanto è assolutamente lecito decretarne la “fine” se, morta, non è…
Dal Vangelo secondo me, secondo il mio apostolo e mettervi a posto!
I morti camminano, si specchiano fra bare d’un cimitero opalescente, e attorno a loro la gente ignorante che, chiassosa, festivaliera, morbosa e ciarliera, asserisce le “verità” a “gran” voce, con tutto il coro da stadio a sigillarle in uno “Stato” tradizionalista, perseverante il fascismo d’ogni ideologia più testarda, non possiamo scardinarli! Fanatici del “Credo” più vecchio e stupido, avanzan d’ora in ore imperturbabili in tal confraternita recidente e ottusa. Mi fa orrore!
La chiusura mentale è il primo pericolo alle incolumità altrui, il “principio” d’ogni fondamentalismo, la guerra per le inezie a partorire fratricidi.
Gli uomini si scannano per un boccale di birra e un bacio in bocca in più, accigliati si scatenano per avere ragione, la “ragion” degli idioti.
E non si schiodano neanche dalla “tomba”. Perfino quando sono (s)chiuse. Ove vige, vegetativo e contro ogni possibilità remota di salvezza, il coma e la morte profonda, da rispettare con già doverosa condoglianza. Invece, ostinati perseguono false cristianità da bigotti, convinti che a un uomo non puoi strappare la vita anche se vivo non lo è. Né più sarà. Lo dice il Papa, il gran coglione per la massa degli “accoppiamenti” col “profilattico” e solo che “sposati”. Capisci bene poi che, se abbiamo un Presidente del Consiglio di tal (s)fatte, lo scandalo era alla base del Lateranense. Io sono colui che ti ferma con le diagonali. E ti stoppa come San Pietro. Impietrisci. Dinanzi alle morali distorte, ti spezzo le gambe del cervellino piccolo, ti stroppio e ti strappo i cred(it)i.
Ecco che l’eutanasia vien “rimandata”. Se ne parla in caso di “evenienza”, di “animazione traumatologica” o di casi Englaro “ingrati” perché un padre ha il coraggio che manca ai silenti, bugiardi altri senza palle, omertosi nel non far dell’esistenza chiarezza. Non è volgarità, è la sanità del vedere quel che, al di là dei miracoli da Medjugorje e simili stronzate d’apparizioni e rinascite impossibili, buone solo per morenti comari rimbambite con in mano il rosario e un pezzo di cicoria, avvenire non accadrà.
Stimo così Jack Kevorkian, il fondatore della “Morte”. Al Pacino ne fu interprete ieratico, arrabbiato, arrestato per aver commesso il giusto fatto. E contro gli imbecilli delle credenze superstiziose e popolari… Pacino urlò “Alt!”, ficcando una siringa nel braccio, aspirando la dose affinché il Cuore da un’anima già sepolta, almen su questa Terra non più da umana, espiasse in Santa Pace di Cristo.
Sì, sono uno strenuo difensore dell’eutanasia, a eccezione soltanto di Christopher Walken, l’unico de La zona morta a vederci più chiaro del Presidente del cazzo e dei suoi cretini elettori. Vada in malora lui e l’America che ancora l’eutanasia non approva!
(S)fortunatamente, Walken (non) lo uccise col suo fucile ma, grazie al suo gesto, Martin Sheen fece la figura dello scemo.
Rovinato il “futuro” (non) Presidente, Chris morì finalmente. Per missione di Dio!
Amen. Buonanotte… e sogni d’oro.
Dopo questa parabola, il Principe, più grande di tutti i nostri falsi temp(l)i, andrà da Lazzaro e gli dirà: Ponzio Pilato se ne laverà le mani, consegnandomi alla Croce dopo il Getsemani e quel maiale di Giuda. Quindi, ora che sei rinato, goditela e manda ogni finta creduloneria a farselo dare nel culo.
Parola di Gesù Cristo!
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
- Al di là della vita (1999)
The Voice Frank Sinatra scandisce l’inizio, Nic Cage è “benda” mortuaria in questo capolavoro allucinante, straziante e di vite strangolate. New York e le luci artificiali della Notte, piromani, teppisti, barboni, folli alla Don Chisciotte e scoppia l’anima pietas nel pirotecnico Scorsese straordinario. Come sempre. Eterno. - Million Dollar Baby (2004)
Doveva essere un trionfo e invece è stato un tragico “tonfo”. Per “pura” cattiveria d’una stronza. Qui, Clint Eastwood tocca vette poetiche “agghiaccianti” e, coi suoi classic(i) occhi appunto di ghiaccio, si reca a tarda Notte nel “nosocomio”, afferra le sue lacrime e fa quel che un grande deve fare. Togliere per dare l’estrema unzione putativa, la benedizione a uno sporco Mondo. Ché salga in Cielo l’angelo. - Il dottor Morte – You Don’t Know Jack (2010)
Kevorkian non è un mostro. Non è un criminale. Egli è un signore che sa…
Jack non è la morte, ma morde solo quelli che, addolorati troppo, voglion solo morire.
“I quattro dell’Apocalisse”, recensione
Partiamo col dire che il film è ardito, perché il titolo, ad effetto, depista le aspettative dello spettatore, imprimendosi d’un biblico paranormale che non ha nulla a che vedere con la trama, senonché i personaggi sono 4 appunto, alcuni “(e)vasi” di Notte con incinta a carico e un negro troppo sensibile agli stupri “mortuari”. Infatti, un cattivo, spu(n)tato dalle peggiori fantasie delle perversioni necrofilo-“sessuali”, violenta la donna mentre lei se la dorme, la doma così, il negro assiste allo spettacolino obbrobrioso e impazzisce.
Testi non sa recitare, non fa testo ma sul suo “protagonismo”, da “guarda che faccia da stoccafisso con la pistola vendicativa su faccio (il) fig(hett)o”, è incentrata la (vi)cen(d)a.
Il “buono”, a metà fra vorrebbe essere Clint Eastwood, che non ce la può fare neanche a pagarlo, e lontano miglia di carisma anche dal mediocre Giuliano Gemma, non azzecca una sola espressione, anche perché non ne ha. Darà caccia spietata al folle Milian.
In questo spaghetti western semi-horror e un po’ di tutto, fra sangue color salsina, polli allo spiedo, spuntatine di maiali, violenze, truculenza a iosa, spari tra i buchi delle finestre, corse campestri, deserti nati di “punto in bianco” in fotografia rosata e poi virante al tramontar grigio-oc(r)a, un Fulci amato da Tarantino e da (non) rivalutare.
Sarebbe peccato esecrabile quanto l’efferatezza del maniaco Chaco.
In poche parole, il film è un’enorme, (im)presentabilissima cagata.
Il titolo c’entra come il “cavolo a merenda”, infatti al posto di Testi, avrei scelto Luc.
Fra i due bellocci coglioni, almeno Lucio poteva utilizzare un “rivale d’eccezione”.
Ce la possiamo dire? Voi, amanti del “revisionismo” cinefilo di “noi altri”, mi lincerete vivo.
A questo film, preferisco i fagioli di Terence Hill. Almeno, borbottano di botte e scoreggiano senza pretese da “merde” che oggi si riaccreditano in “perle”.
Perle di che?
Senti chi parla? Io parlo e, se mi va, spar(l)o pure.
Comunque, ‘sto film ve lo dovete sparare. Nel bene o nel male, Testi o Milian a metterlo in croce, c’è anche il Cinema di tali rovesci delle medaglie.
All’epoca non fu giustamente cagato. Oggi, viene lodato.
Di mio, posso preferire una stronzata di gusto? Questa roba non ne ha.
Quella figa sì? Da me (non) l’avrà.
E, su tale sparata, ora vado là…
(Stefano Falotico)