No tweets to display


Ho sempre identificato Johnny Depp come l’esemplare per eccellenza della figa(ta) vivente, tendente al maschio se gli girano toste, femmina se fa la faccia da culo: guardate la simbiosi in tal falò

Facce da culo!

Facce da culo!

 

Perché Bruce Springsteen come track? Perché le summer clothes Johnny toglie per infilare Amber Heard nelle cosce, azionando la cloche. Come direbbe Lino Banfi, da “cos’ nasc’ cusa”. E, fra tante scuse e vari “Stai a cuccia”, Johnny cucca. Mentre voi rimanete come dei baccalà, pigliandolo lì.

Sì, indubbiamente è un ambiguo falotico, di raro marpione dietro occhi che (non) lo danno a vedere. Un sensuale chocolat che, come Fonzie, schiocca solo le dita e guadagna tutte le “ciocche”. Sgranocchiando di ottima qualità, non solo di fighe, ma anche cinematografica. Calcolando i fianchi, pure dei vostri arrabbiati, renali calcoli. Sì, ragioniere, facci lo scontrino. Sguardo che mette “a fuoco”, in prossimità del “dare precedenza”, lui stoppa su espressione finto inebetita da “imminente” crollo degli ormoni chiamati estrogeni e di testosterone spinge… il troppo non stroppierà, dai dai, d’acceleratore come la pelle d’un giubbotto fra lo zingaro, il sigarino e il “pistolotto” destinato ad accrescitivo in efebica “mano morta” su labbra olianti del carburare, anzi dell’imburrare. Attento al burrone, Johnny. Sì, l’effetto valanga potrebbe coprirti di detrattori. E poi rimarrai zoppo senza neanche il trattore.
Intanto, da lone ranger, “Verbinskale”, fumettizza infantilmente da pirati con la “carabina” in ogni esotica da Caraibi erotici. Altro che Brazil di Gilliam. Una colombiana da Las Vegas, che delirio! Addenta a carati, sei “caro”. Ti pagano a peso d’oro, tu non ne paghi neppure una perché hai il carisma. E quando c’è “quello”… la vita è “il valzer del pesce freccia”.
Altro che Stefano Accorsi e Ligabue…
Diciamocela. Sono identico. Il conto in banca un po’ meno. Sarà per questo che passo le notti in bianco? Ma io smacchio di “bianchetti” lo stesso. Mantenendo un visino pulito come il cazzo.
Lo so. Ci odiate, siete gelosi. Ma non potete proprio nulla. Per forza, siete perfino impotenti in quel sen(s)o.
Johnny è Transcendence mica tanto, io piazzerò presto un altro romanzo. Ascendendo!
Non si parla di robetta, ma di due coi coglioni.
Salutami tua madre. Se fosse trent’anni più giovane, non ci caccerebbe addosso delle bestemmie. Credo che adorerebbe il periodo oramai andato… in “bestiona” dietro occhi tenerissimi.
Viene da me un cretino al Cremino. Glielo do da leccare ma non “vengo”.
Mi chiede perché ascolto i Rammstein. Lo imbraco nella cint(ur)a di sicurezza e lo ubriaco. “Tiro” il freno e gli ficco questa:

Hey amigos 
Adelante amigos
Vamos vamos mi amor 
Me gusta mucho tu sabor 
No no no no tu corazón 
Mucho mucho tu limón 
Dame de tu fruta 
Vamos mi amor 
Te quiero puta!
Te quiero puta!
Ay que rico

A conti fatti, t’inculo sempre.
Come la giri la giri, sta(i)sotto.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Donnie Brasco (1997)
  2. Transcendence (2014)
  3. Blow (2001)
  4. Johnny il Bello (1989)
  5. Mortdecai (2014)
  6. Into the Woods (2014)
  7. Johnny English. La rinascita (2011)
 

Son sempre andato contro le mode e le “tendenze”, i cinofili oggi comprano i Jack Russell, io invece compro Kurt Russell e gli offro pure il mio “teso” J&D col “ghiaccio”

Ehi, figli di puttana!
Io imbuco, anche in culo, sono il tuo peggiore incubo

Io imbuco, anche in culo, sono il tuo peggiore incubo

Che io sia cane lo sanno le lupe, donne che m’allupano. Sì, vivo eremitico tra le “farfalle” dei boschi, ove da volpe coltivo l’uva. Poi, scendo nei canili sociali, in cui la gente incula.

Tutti abbisognano di un animale domestico. Ma non mi addomesticano. Mi propongo io come esemplare di “razza”, bastardo a pelo irto, con scremature mal pele su chiazze a malapena indigeste di qualche mio neo non “raddrizzabile”. Il mio pene è rizzo. La gente mi copre d’offese, pomodori e angurie ma non m’angustio, essendo meglio del romano Augusto. Sono anche agostiniano, filosofo della minchia, a cui comunque preferisco San Francesco, uno che chiarificò a Chiara come parlare all’uccello senza troppi cazzeggi d’inutili teorie avviluppanti. Sì, ho studiato d’autodidatta, tastandone una di qua e di poco tatto prendendolo per colpa dell’ingenuità. Quando cala la sera, il “mio” cola e prima o poi sfonderò… come Ercole, 50 a volt(a) di batterie (s)cariche, simil inventore della pila elettrica, nel caso oltre al bianco rimanessi al buio. Già, vedo pochi buchi di fuga, figurarsi se mi bucherò se non ho le fighe. La sedia!
Alessandro, nome del Magno e anche dei rivoluzionari. Manzoni fa eccezione perché era un mon(a)co di Monza, a cui prediligo il circuito di Montecarlo. Lì, devi stare attento. Una pista di troppe curve e tunnel. Se non infili bene, la modella ti ficca la medaglia sul loculo. Altro che podio e poppe, questa vita è un popò. Oggi te ne do, domani dammela.

Nonostante i lamenti, i latrati e un’esistenza quasi da latrina, mi tira. E, d’asta, accattai un Kurt Russell spelacchiato. Goldie Hawn lo castrò, da allora non gira più con Carpenter, tranne per la vacanza di Los Angeles. Una sorta di remake così così, sempre meglio della rifatta Goldie.

Insomma, sono una Jena. Ti fisso nelle palle, me lo strappi e rimango con la benda e un occhio strabuzzato. Però col fucile.

Faccio canestro, facendo un cazzo per meritarmi il t(ri)onfo.

Questo scritto è una freddura, come la scena in cui Plissken la spara.

 

Firmato Stefano Falotico

 

“Lo spaventapasseri” (Scarecrow), recensione

Scarecrow 6


La cenere che cosparge gli occhi “arrochenti” di due “perdenti” illuminati dai crepuscoli fotografici di Vilmos Zsigmond, una “Z” capolinea senza diagnosi da Freud il quasi omo(nimo)…

 

Ieri sera, e poi il tramonto scrosciante in sgorgar mio malinconico, quando mi sovviene che l’aurora del domani, ancora fosca, non mi temprerà di solarità. Incantato dalle nebbie, al di là d’una finestra “spenta” eppur d’adocchianti luci del cortile dirimpetto, forse abitato da condomini passionali nel primo incedere sanguigno dei sessi coniugali oppure “indaffarati” in faide famigliari, fra tribolanti bambini già insonni e intonanti una pubertà “stramba”, promiscua d’adolescenti nei primi gineprai dell’acerba età dubbiosa, impertinente e svi(t)ante, le apprensive madri “educande” in Domenica “ammuffita” del Lunedì già alle porte, lavorativo e ingombrante nei ricatti impiegatizi e ricotte sognate ma mai davvero am(br)ate, maschi, forti e non, forse dinanzi allo specchio a tornire i muscoli tra bilancieri edonisti d’un buio sempre più egoista e lussurioso al sé omologante.

Appaiono, spariscono, li intravedo.

Apro così il frigorifero, strappando il latte dalla “mensola” dei miei casini mentali, stappo e verso nel bicchiere più “abusato” dalle mie labbra. Lo lavo poco, tanto è il mio, al massimo i germi, raggrumati nell’essiccazione salivare, aromatica della mia lingua ivi stampata, imprimeranno il retrogusto dolce del già aver allattato granulosità bianche a mo’, amorevoli, di cosce d’una donna che ho scopato molte volte. Ne annuso l’odore ancor bagnato, sbaciucchio i bordi del bicchiere “pruriginoso”, inghiotto di tutto glup e altre ne scolerò nel “rigurgito”. Stupendo quanto triste perché è solo liquido denso ma non inseminante amplessi ingurgitanti. Seni materni, gioiosi e voraci, vi desidero qui eterni ed eburnei a incendiarmi di suzione. Assetato di memorie in tal Notte traslucida come il vetro appannato… soltanto.

Nessun Sole albeggerà e reprimo i capricci “proibiti” d’altro versare sbuffante e lagrime “verganti” sangue liscio a lama di rasoio.
Ma proprio mentre, non dormiente e incattivito, sto per accomiatarmi da tal guaito pensiero di me sgualcito e non in lei “guar(n)ito”, ecco che spunta di fronte ai miei occhi il giovane, bel Al Pacino. Lo visualizzo, appena “ubriaco” di delirio virginale com’appunto l’innocuo latte non alcolizzante.

Purezza totale… poi, al suo fianco, compare anche Gene Hackman. Due giganti, uno più timido e l’altro apparentemente più stronzo.

Chi è dei due lo spaventapasseri?

Ebbene, lo scarecrow è Al Pacino, detto “Lion”. Leone per nulla.

Pagliaccetto di corte senz’arte né parte, come si suol dire.

Colui che fa ridere gli uccelli…

Gene, invece, è la sua “nemesi” amica. Caratterialmente robusto, debordante, anche troppo. Con tutta probabilità, fragile quanto Lion. Due (in)felici sentimentali. Uno, uscito di prigione, che vuole imbarcarsi nel “sogno” d’aprire un autolavaggio, l’altro che sinceramente si lascia trasportare dal vento. Sbandati, persi, uomini veri in un Mondo alla (de)riva degli oceani d’amore dimenticati dal cinismo, dal capitalismo, dall’industrializzazione delle anime. Quelle più nobili, prima o poi, crollano. E, di notte, si recita sul palco delle speranze che, appunto, si speravano e purtroppo son state speronate dalla realtà senz’applausi.

Ne succedono tante, incontri casuali, stravaganze, due cavalli da “cuculo” a inseguire il profumo del plenilunio.

Donnacce, figli di puttana, abusi e pugni in faccia.

Dai, ce la possiamo fare.

Tante mete, tante città, tanti binari e ultimi treni…

Detroit coincide con la fine.

Giunti a Detroit, infatti, nonostante gli sforzi, la disperazione che se l’è quasi cavata, Lion telefona all’ex moglie. Sorride, le chiede come sta. Lei lo odia, lo odia nonostante Lion la mantenesse con tutti gli “stenti”. Assurdo, no? Lion le domanda se può rivedere il figlio e la donna gli rivela che è morto.

Lion esce dalla cabina telefonica, sembra che non sia successo nulla. S’immerge in una fontana per giocare con dei bambini.

Gene/Max s’accorge che qualcosa non va…

Una madre grida, forse il suo bambino sta affogando, Max “salta” nella fontana… Lion trema, farnetica, ha gli occhi fuori dalle orbite, com’assalito dalla pazzia. Sviene.

Lo portano in ospedale, lo diagnosticano schizofrenico, e subito decidono di spedirlo in manicomio. Max capisce che la “frattura” di Lion è stata dovuta alla telefonata. Intuisce che è stata quella la ragione… ma non può fare nulla. I medici non gli prestano fede.

Max & Lion, entrambi morti. Vivi nella società dei fantasmi.

Lion sarà presto “lobotomizzato”, gli bruceranno il cervello.

Max, grazie al suo amico, aveva riacceso la Luce… una fiammella durata un attimo lungo una vita, arsa oramai per sempre.

Ed è notte.

Comunque, mi sveglio, fuori oggi (non) piove.

Di solito, ultimamente, la light of day c’era.


Firmato Stefano Falotico

 

(Stefano Falotico)

 

scarecrow

Scarecrow 5

Scarecrow 4

Scarecrow 3

Scarecrow 2

 

Taxi Driver

Io rido e di voi me ne sbatto il cazzo!

Io rido e di voi me ne sbatto il cazzo!

Dormire o sonnecchiare nel dormiveglia e armi contundenti dell’anima rapita dall’insonnia, dal sonn(ifer)o all’incognita orrenda del Mondo.

Travis si lustra profondo, scova lo scheletrico suo Bickle a luci rosse, penzola d’oscillar vacuo e d’impermeabilità apparente, si sfama di sete rubata in baci setosi su fronte sempre aggrottata nei dubbi che l’esistenza non sia, il suo Cuore gracchia e vocifera, colora lanterne opache del trascendere e nell’Inferno è discesa apocalittica per ascendere a eroe ambiguo, come il Messia. Ché sia Satana o child of God. In tal “diocesi” giudeocristiana della finta società, tortura il suo asma, stira l’anima eppure l’ammira, affinando le sue celate ire, il suo neo(n) rubescente in tal marcescenza e stolta di tutti nell’ammassante marcetta ammazzante, ingrana la marcia delle “granate”, gratta il nemico, suo spauracchio “sessuofobo” o puritano dell’essenza in lui mai tradita. Scarnisce per essere più carnivoro nella metafisica che salta su, impazzisce, svirgola di pneumatico ed arde violento, con implacabili furie ad avventarsi, arroventato pavone finalmente a ventaglio. Mitragliante quel che nascose di vorace ventre. Animale e vampiro, bambino e mostro, mai redenzione ma out of control per combaciare calibrato, perfetto alle imperfezioni della quadratura “accerchiante”.

Sparando, si salva. Gran Torino di Clint Eastwood è forse iniziato qui… nell’apoteosi del più grande Scorsese, Clint è il De Niro “vecchio” di Taxi Driver.

Variazioni sul tema di Travis? Può essere visto in vari modi, secondo mille e più sfaccettature, come un personaggio pirandelliano.

Una potrebbe essere questa…

 

Firmato Stefano Falotico

 

 

“From Hell”, recensione

Johnny Depp From Hell 2

Le carni rubate da un’anima malvagia, il Male purtroppo non può essere cancellato, eterna è la crudeltà del Mondo
Dall’Inferno dei coltelli, della brace del cannibale, un eroe gotico a mantello indagatorio dello smascherarlo in smantellante apparenza di un enigma purtroppo mai scoperto, e le notti si rabbuiano nel dubbio più angoscioso…

Londra, 1888, come il millennio oscuro del Diavolo a tris (s)fortunato, 666. Il Diavolo ha assunto la forma di un invisibile mostro, Jack the Ripper, il primo serial killer della Storia. O, almeno, da quando l’umanità ha imparato a dare un identikit a questa “personificazione” perversa, “voluttuosa” degli assassini d’orrida, reiterata tale linea omicida. Scadenze di pari crimine uccidente in formula pressoché identica.

I fratelli Hughes traggono “sangue” dalla graphic novel di Alan Moore, fumettista da non confondere con Frank Miller, anche se le sin city sono analogie speculari e combacianti in lussuriose stranezze della Luna dentro impermeabili detective dall’aria stanca eppur mai vinta.
Prostitute uccise da un uomo senza volto che s’aggira al buio e abbranca da dietro, sferra pugnalate sbrananti, un Hannibal Lecter che fugge nella dissolvenza del “pacato” estinguere vite come un macellaio che supplica morte altrui, e ne gode da lurido sadico il desiderio d’averne giovato, aspirandone i vitali cuori. Sogghignando in denti “giugulari” dalla delirante onnipotenza in vetta criminosa delle più atroci.

Il gioco non è tanto uccidere impietosamente, con oculatezza mirare a bersagli facili, ma sfidare l’intuito di chi vorrà fermare la sua sete… da vampiro.
Deputato al caso è l’ispettore Abberline. E chi se non Johnny Depp? Zigomi taglienti, iridi nere, apice del maledetto in freddezza carismatica del romantico danzar dolce nell’esistenza con la coscienza che tutto è imbrunito pudore sempre da sorvegliare, da custodire e stringere perché non sia ferito dall’oscenità di chi, abominevolmente, tenterà d’essiccarle.
Scoccano scintille d’amore, ma la morte incombe, il mistero è stato risolto (?) o, agghiacciati, moriremo tutti nel Mondo che non puoi cambiare?
Morto, scomparso, eclissatosi un mostro, ne nascerà un altro, più crudele, poi un altro più ingenuo, ma sempre sarà mostruoso.
Il film vive d’atmosfere tristi, ridenti giusto un po’ prima di spegnersi.

Non abbiamo speranza.

Immergiamoci in basca, beviamo assenza per non vedere.
Per illuderci. Come Johnny Depp.
Oblio.

(Stefano Falotico)

Johnny Depp From Hell 3

 

Matthew McConaughey, il Paradiso negli occhi

Tanto di cappello!

Tanto di cappello!

McConaughey, un fenomeno vivente. Sembrava sepolto nella “tomba” delle commediole in cui, ironicamente, ammiccava da figo mai arrivato davvero a essere il nuovo Paul Newman, così come lo definirono i soliti “critici” annoiati che adorano tanto “eguagliare” di similarità i tem(p)i attoriali. La somiglianza c’è sempre stata, se non fosse che Matthew non ha mai posseduto l’incandescenza azzurro “smeraldo” di Paul lo spaccone. I suoi occhi sono caldi nel tramontante, soffici di romanticismo fra il robusto fottersene delle regole, quindi sempre trasgressivo in pantaloni consunti del portentoso pettorale “addomesticato” in sorrisino dolce, d’immediata simpatia, il tenero proprio consumarsi fra un oscillante gaglioffo e un bronzo di Riace, dinanzi al quale le donne più mature crollano “tumefatte”. Ma i maschi, proprio per questo, lo snobbano.

Una differenza di fondo, insomma. Anzi, profonda… Paul, da me mai molto amato, sta perdendo ai punti contro il “mio” Matthew. Il cui comeback è epocale. Ne stanno parlando tutti, stupiti da questo prodigioso ritorno assolutamente imprevedibile. Una svolta storica, raramente s’è mai assistito a una riemersione di tali proporzioni. Considerato “finito”, relegato appunto nei film “USA” e gettali via subito, in quelle robette da “spallucce”, carine come il suo faccino bello però così così, ma presto dimenticabili.

Invece, nel giro di pochissimo, eccolo alla ribalta, anzi a ribaltare ogni pronostico sfavorevole. Il grande colpo avviene con The Lincoln Lawyer, pellicola che doveva essere diretta da Tommy Lee Jones, ma poi data nelle mani del più “anonimo” Brad Furman, che invece azzecca un grande film. Altra previsione smentita. Da lì in poi, McCoanughey esplode in modo travolgente. L’epica, eccelsa prova in Killer Joe di Friedkin è un altro strepitoso apripista.

Una manciata impressionante di great performances e il gioco di Matthew si tramuta, dalla nostra “indifferenza”, sempre perplessa di fronte al suo attore “bravino” ma mai davvero convincente, a sconfinata, “incurabile” ammirazione. Incontenibile!

Prima di vederlo protagonista dell’attesissimo Interstellar di Nolan, aspettiamoci la sua candidatura, pressoché certissima, ai prossimi Oscar. Una mutazione mimetica da cardiopalma, emozionante, da “commozione” anche “cerebrale” perfino per chi non l’ha mai “fumato”. Sto parlando del suo Ron di Dallas Buyers Club, passato ieri al Festival di Roma. Un’interpretazione che ha “distrutto” gli spettatori e i detrattori più testardi.

Da quanto leggiamo, questo suo Ron, malato di AIDS a cui i medici diagnosticano erroneamente solo trenta giorni di vita, è un loser “spostato” che, dall’imminente tragedia annunciata, risorgerà con tutta la forza del Cuore. Non s’arrenderà al “laboratorio” che lo vorrebbe, appunto, subito al cimitero. E, per l’irreprimibile desiderio di sentirsi ancora vivo, miracolosamente vivrà, uccidendo il suo “morto dentro”. Sarà proprio vedere la morte cogli occhi ad accenderlo insperatamente, in maniera disperata per fermarsi nel pianto, deflagrare di rabbia, virare di ritrovate energie e (soprav)vivere per il sogno di se stesso.

Signore e signori, un Ron che fa, è il caso di dirlo, un baffo al Randy The Wrestler di Mickey Rourke.

Chi poteva aspettarsi questo Matthew così tosto? Così Mud?

 by Stefano Falotico

 

“The Addiction”, recensione

Succhia, fammi vedere come succhi

Succhia, fammi vedere come succhi

 

Metafore e fori a forbici sanguigne, la forca del Peccato è l’albero del Male, vampirismo opaco in meditazione genetica, (de)generazione consumante traspiranti palpebre nere…


Oh, ansia m’avvolgi in anima sgualcita, sdrucciolante è colar ansimo di mio spettro rapito dalla società ingorda coi suoi dolci coloranti. Oggi, per voluttà inchinata al maledettismo, implori la fuga esistenziale, ostaggio d’un mai rimarginato malessere.

Scont(ent)o che partorisce un mostro e poi il mostro è viscere nel dipingere la vita a ringhiante graffiarti. Scuoi il cuore, pulsa elettromagnetico dinanzi a teorie empiriche che succhi da “vampira”, assetato come te di scibile, sete che sgorga in perpetui deliri, poi vomita l’amaro in (s)concerto non euforico. Come se vibrasse una cauta ma tremenda “forca” amputante i polsi dell’amore per il Mondo. Lo ami e ossequi per un po’, poi te ne distacchi molto, troppo.

Ti estranei, passeggi “zombificato”, atterrito dagli orrori che non puoi guarire. Neanche delle tue “cattive idee” da Travis Bickle.

Tutto si aggiusterà?

No, la febbre sale, sei indemoniato e l’esorcista non debellerà il virus all’apparenza tranquillo ma latente di labbra già avvelenate.

Consunta in viso rinsecchito, preda e ostaggio del desiderio proibito, attratta dai demoni…, sbandi e di saliva vogliosa sbavi.

Questo non è Male, è sentire. Chi sente le emozioni, soffre e si rannicchia, si (rin)chiude nella bara per anestetizzare sia le gioie e sia l’insopprimibile dolore. Forte, bussa quando dormi sonni “profondi”, soffochi di nausea in polmoni urlanti un’ode poetica che l’arroganza tramuterà in odio.

Ti sveglierai, “ramificata” nel buio dei finti loro raggi “solari”.

Gemerai sofferente una solitudine senza confini.

Immagina… studia filosofia per rinsaldare certezze che però, di contraltare…, si potenziano in dubbi agonici, un’altra incognita e altre insonnie dentro suburbane notti malfamate o mai davvero affamate come per gli altri. Sfiata, dai, (non) ce la fai.

Ti sento anch’io. Stiamo morendo. Non frega a nessuno.

Salvami, gua(r)endo con me, amico e amante, Dracula o pagliaccio, iconoclasta o libero da tutte le “caste”.

Incastra la tua lingua fra i canini e l’arcata… dell’elevazione.

Animaleschi, godremo in ferite divoranti. Grida, troia… d’una vita (ba)lorda, balla per me nuda, mangiamo le orge dei veri pervertiti. Non c’è speranza per noi, siamo morti. Siamo (ri)nati così.

Dinastici d’una stirpe di razza, quindi esangui a essere “esaminati” dagli sguardi malvagi, indagati perché la nostra alterità turba la “quiete” dei re(ie)tti. C’estingueranno, non sopravviviamo. Anfibi di (e)rettile ectoplasma, non ci vedono eppure ci sorvegliano, sigillano i nostri cuori nel blindarci di crudeltà.

Scappa con me, scopa qui, no, vaffanculo!

No, non andartene! Nooo!

Dolore, ti voglio! Mi rendi vitalità, reattivo fra chi è spento.

Abbassa le luci, troppo Sole mi brucia.

Siamo drogati di dipendenza dalla vita, purtroppo.

Tentar di fuggire è inutile, è illusione.

Ma questa tentazione è stupenda, macabra eleganza da Nosferatu.

Succhia, fammi vedere come succhi…

 

(Stefano Falotico)

 

 

 

 
credit