“Le ali della libertà”, Review
Rita mia Rita, aiutami tu. Ridammi la vita ché io, marito punito, grattando dietro la tua impudica e non vista gatta ci cova in tal nero covo, dal buco scur uscirò per un nuovo, pulito, fresco mattino chiaro, ché prima fu plumbeo e ora ripiomba dorato dal Ciel piovuto in me rinato!
La lucidità di un attimo può illuminare la nerezza disperata dell’anima. Salvarla dalle grinfie “autoritarie” di forse ingiusto “precipizio”. Nel baratro profondo del buio più violento e scheggiante al Cuor per sempre scalfito, volare per una speranza che “riacciuffi”, agguantante, la gioia perduta, le vitali emozioni rubate, segregate, smorzate in languore “ambiguo” del proprio sangue rifulso di pioggia libera…
Era una sera in cui soffiava un soffice vento caldo. Passeggiavamo allegri per strada. Ci sentivamo i padroni del mondo.
Invulnerabili, arroccati com’eravamo nelle nostre convinzioni giovanilistiche. Niente e nessuno avrebbe disturbato la nostra amicizia.
Frank era lì in mezzo a noi, pareva divertirsi, accondiscendere alle nostre risate. Replicava in silenzio con la sua faccia eternamente fissa in posa commiseratrice, come chi è avvezzo ad ascoltare stoltezze per provocarsi diletto.
Un sorriso triste che languiva sugli zigomi e dormiva sereno nei suoi profondi occhi neri. Bui, inquieti, permanentemente fissi e mobili.
Per quanto ne so, Frank mi piacque dal primo momento che lo conobbi. Aveva un modo tutto suo di esprimere le emozioni. Era carismatico e freddo, coriaceo come un martello e debole come la dura roccia che si sgretola sotto i suoi colpi. Placido come un lago boschivo increspato dalla brezza serale. Inafferrabile come le alghe che si agitano sotto la sua superficie.
Quando uno pensava di aver capito qualcosa su di lui, eccolo comportarsi in maniera assolutamente imprevedibile, spiazzante, ironicamente caustica. Poi sfoderava il suo inconfondibile sorriso disinteressato e girava lo sguardo altrove.
Alle volte avevi paura a fissarlo negli occhi. Pareva impossessarsi dei tuoi pensieri e non volerli restituire. Frank era una bella persona…
Pareva esser schiavo di uno stupore tranquillo, come se non gli importasse di niente e di nessuno. O per ragion contraria, talmente assorto a riflettere da apparir distratto.
In certi momenti era davvero difficile solo provare ad immaginare cosa gli passasse per la testa. Stava lì ad osservare le macchine sfilare dalla finestra, col suo strano sorrisetto stampato in faccia. Non aveva bisogno di dirti che non desiderava parlare. Lo si capiva benissimo.
Lo fissavo, ticchettando con le dita sull’orlo del bicchiere, forse per richiamare la sua attenzione. Per un attimo volli fortemente che si voltasse verso di me e con irruenza mi bloccasse la mano, urlandomi: «Basta, mi dà fastidio». Frank non l’avrebbe mai fatto, men che meno in quell’occasione. Con lui potevi startene zitto senza provocarti imbarazzo.
Quel picchiettare ripetuto doveva martellargli le cervella, ne sono convinto, ma non era il tipo che t’avrebbe violentemente intimato di smettere. Soprattutto se eri l’unico possibile interlocutore seduto al suo fianco. Sarebbe stato come dirti: «Non sopporto la tua compagnia. Se proprio hai da dire qualcosa, dilla»…
Quest’estratto non è estrapolato, appunto, dalla voce narrante del grande film di Frank Darabont, bensì è un segmento, come riportato da link a “intestazione”, della mia prima opera letteraria, “Una passeggiata perfetta”.
Uno dei personaggi principali del mio libro rispecchia, per alcuni tratti caratteriali, proprio Andy Dufresne, il protagonista di questo The Shawshank Redemption.
Ora, fratelli della congrega, non scambiate tale mia… per una mera pubblicità “occulta” o come un modo “losco” per incitarvi o sollecitarvi all’acquisto di “Una passeggiata perfetta”. Non sono quel tipo di persona che utilizza ogni “forum” a sfoggio furbo e promozionale delle mie creazioni, letterarie e non. Non appartiene alla mia indole né alla mia educazione.
Ho semplicemente citato questo… perché, “riprendendo in mano” Le ali della libertà, m’è tornata alla mente l’estemporanea, sì prodigiosa, e lo è senza dubbio, ispirazione “stramba”, esoterica, da cui s’è generata la mistura che ha dato linfa “stilografica” a quel mio ipnotico frangente rischiarante. Anzi, chiarissimo come un Andy Dufresne che, “bloccato” nel suo silenzio obbligato, non si castiga affatto ma scava nelle sue interiora a ragion mnemonica d’una “strategia”, certo raschiantissima, addolorante e “tristemente” imprigionata, soprattutto a logorio della psiche, che però gli sarà (ir)razionale folgore di salvazione ed evasione. Del suo Cuore, del complesso di “colpa” d’una forse innocenza punita d’ingiustizia. Sì, il mio esordio…, oltre a essere un originale omaggio proprio alla memoria di Marlowe versione Altman, attinse anche all’atmosfera melanconica di questo film miscelato a Stand by Me. Stephen King… ci sarebbe da glorificarlo in monumentale infinitezza geniale, probabilmente non tanto quando è un romanziere celebre per l’horror, spesso sopravvalutato e oramai “accasciatosi” in prolisso raffazzonare qualche intuizione nell’adattarla poi a un gusto compiacente del “normale” lettore che furbescamene abbindola con truculenze di prosa “tavolino”, piuttosto andrebbe ricordato e quindi rivalutato in particolare… per le sue perle, “sconosciute” ai più. A mio avviso, al di là della spropositata fama, come già detto vagamente oltre i suoi reali meriti, King è immenso paradossalmente quando (non) è il King amato dalla maggioranza. Che cerca storie “macabre” prive di profondità psicologica, squartamenti facili e “inquietudini spaventose” a getto per annusare il senso, però mediocre, del proprio sempre, immutabile e vigliacco inconscio “tranquillo”.
No, King è davvero Re indiscutibile altrove. Nei suoi ricordi da collegiale del Maine che scende negli abissi “lacustri” d’un Proust alla Poe, che soffia sulle “rive” del romanticismo anacronistico e fuori da ogni Tempo, e par che così magnificamente s’innamori di piccole storie intimistiche a crepitar… dentro gli occhi di un umanistico abbagliarsene e abbacinarci.
Come in questo caso…
Rita mia Rita, aiutami tu. Ridammi la vita ché io, marito punito, grattando dietro la tua impudica e non vista gatta ci cova in tal nero covo, dal buco scur uscirò per un nuovo, pulito, fresco mattino chiaro, ché prima fu plumbeo e ora ripiomba dorato dal Ciel piovuto in me rinato!
La “trama” è semplicissima ma King, nel suo appunto “Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank”, trasforma quel che è all’apparenza una “banale” storia carceraria, con annesso già letto, e “sentito”, (in)credibile errore giudiziario ma non troppo…, in una clamorosa storia davvero emozionante.
King è stato sempre molto fortunato anche sul versante delle trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi. E può fregiarsi d’“adattamenti” autoriali firmati De Palma, Reiner e Stanley Kubrick fra gli altri, anche se quello… Shining strepitosamente kubrickiano, assurdità delle più grottesche, l’ha sempre “odiato”, disconosciuto e ripudiato con stizza, perché non lo ritenne “fedele” al “suo” originario… ah, Stephen, ti bacchettiamo ancora… avresti gradito un Kubrick purista? Non me la dai a bere…
Ma torniamo a Shawshank. Ecco che, dal cilindro di cotanti cineasti del bel beatificarlo, spunta un “anonimo” Frank Darabont. Un signor “nessuno” sino ad allora.
D’altronde, eh eh, va bene… non deve adattare un King “bestseller” ma un film “come tanti”.
Invece Frank… stupisce tutti prodigiosamente e ci dona un’opera che non è un capolavoro ma qualcosa di più. Un film che, lentamente, con discrezione felpata, prende la sua strada e sempre pian piano ascende vertiginosamente, partendo da un “pretesto” comunissimo, quasi trascurabile.
Un ex vicedirettore di banca viene stritolato da uno svelto “linciaggio” processuale perché accusato dell’omicidio della moglie e del suo amante. In America non van per il sottile. Se non ci son prove a tua difesa, il verdetto è lapidario, immediato, per direttissima.
Andy dunque vien sbattuto, senza se e senza ma, a Shawshank, un braccio della morte stritolante. Andy, Andy che pasticciaccio… ora sei condannato per due ergastoli e , appunto“indifendibile”, lì crollerai durante la prima Notte… Piangi, bambino cattivo.
Invece no, pare che non te ne freghi nulla. Non fai una piega, non ti pieghi e pur t’adatti, come se niente fosse, perfino all’ambiente più duro, trovando perfino un “lavoretto” da bibliotecario.
Tutto (ti) scorre addosso e appari “invisibile”. Sempre sulle tue. Stringi un’amicizia vera soltanto con Red, nero “bastardo” segnato da un personale, indelebile, orribile scheletro nell’armadio.
Adesso Red è specializzato al “contrabbando”, vai da lui, gli chiedi qualunque cosa e te la procura. Come riesca, non si sa…
Red ha sbagliato, tu Andy hai sbagliato (?).
Andy soffri come un cane ma non lo dai a vedere. Sembri “tonto”, pare che tu abbia accettato, remissivo, di morire da un cagnolino fra le sbarre. Ubbidiente quel tanto da servo del direttore aguzzino.
Passeggi… mesto, con le mani in saccoccia nei granelli di “polvere”…
Sì, oltre ad archiviare i libri… in biblioteca, non c’è molto da fare. Quella cella è gelata.
Va “scaldata” con un poster della rossissima Rita…
Lo “appiccichi” in bella vista. A scadenze regolari, le guardie controllano che sia tutto a posto nel tuo “loculo”. E nessuno “smuove” il manifesto. Che male c’è? Oh, Andy, al massimo ti farai delle seghe. Capirai. Mica possono toglierti pure quel “passatempo” per una passerona da sognare…
Intanto, il Tempo appunto scivola.
E tu scappi dalla “gattta… buia”, usando il “buco” aperto dietro… Rita.
Oplà.
Che puoi dire a un colpo di genio del genere?
A voi importa che Andy sia colpevole? Anche se lo fosse? La moglie, in fondo, era una stronza.
Di mio, Andy mi sta simpaticissimo. Non so voi. L’aspetto in riva al mare.
Io e Andy ce ne fottiamo.
Doveva andare così. E allora?
(Stefano Falotico)
“I dieci comandamenti”, Review
Non avrai altro Dio all’infuori di me! Fire walks with me!
Ieri Notte avvolsi un altro plenilunio di strazi miei a striatura della pelle ferita e in levigature oppressa dal pensar “vacuo” di tal mio esistenzialismo “vano”.
Persi il sonno… m’alzai dal letto e il mio corpo grondò lavico sudore. A fiotti sanguigni, scaturii in trono di mia schiavizzata anima in tanto infuocarla di liberazione! Catarsi mia sprigionatissima per compiangervi. Dinanzi alle vostre oscenità tribali, alla baccanale euforia, come Mosè ersi la mia forza nel fiero, intrepido e dirompente “spaccar” le asfittiche acque nelle quali mi segregarono. In cui annacquai. E, dalla mia “fortezza” apparentemente distrutta, mossi scagliante un morso tempestoso. A modo di Mosè-Charlton Heston sul vigoroso, “crocifisso” frantumarci, miei fedeli, insuperbirci per issar in gloria la potenza del nostro Dio. Ricordando agli oppressori la storica frase biblica di noi, noi umiliati, ch’ascenderemo virtuosi in Paradiso. Allegoria è la Bibbia per placare i cuori tonanti dei ribelli castigati o è vita impressa in sgorgante Storia indelebile? Che, a ogni epoca, si riverbererà a scandita scadenza profetica?
A narratore del suo Incipit. Maiuscolo anche se i fisici addurranno teorie scientifiche e razionali, figlie del “biologico” Big Bang.
E trascureranno la grandezza affascinante, spaventosamente attrattiva della metafisica epica.
Dei grandi racconti popolari ché, anche ciò liquidato come consolatorio “oppio del popolo”, è in veritas adornato d’una luminescente mitologia grandiosa. E non si può, non si deve assolutamente ridervi sopra.
E Dio disse la luce sia e la luce fu. E dopo la luce Dio creò la vita sulla terra. E all’uomo dette il dominio su tutte le cose della terra, e la facoltà di discernere il bene dal male, ma gli uomini preferirono agire a loro piacimento poiché la luce della legge di Dio era loro sconosciuta. L’uomo dominò sull’uomo, i vinti dovettero servire i vincitori, i deboli dovettero servire i forti, e la libertà scomparve dal mondo. Così gli egiziani assoggettarono i figli di Israele, costringendoli ai più duri servigi, la loro vita fu resa amara da una crudele schiavitù ma il loro pianto fu udito da Dio. Allora Iddio dette vita nell’umile capanna egiziana di due schiavi ebrei, Amram e Yochabel, ad un uomo, alla mente e al cuore del quale avrebbe poi dettato le sue leggi eterne e i suoi comandamenti un uomo che da solo avrebbe affrontato un impero…
Stigmatizzai il buio dei miei anfratti mnemonici, proprio a sudario del rimembrare chi fui. Di chi scordai, travolto dal bieco e pasciuto benessere.
Se mai esistetti o sparii in tal umanità oggi colma d’inetti. Ove s’elevano v(it)elli d’oro a sacrilega perdizione dell’anima più pura. Ove la gente, ingannata da illusori ed effimeri, finti bagliori, persegue oggi un valor a tutto di plastica e domani, ruffiana, adorerà ancora sol che invero dissolute, scurissime “solarità” fuorvianti, così presa come è dalle gioie ludiche di un invero gregge smarrito!
Perché?
Tu Mosè, sopravvissuto all’eccidio che il faraone ordinò. Gli ebrei sempre perseguitati…
Già dagli egiziani e poi dai germanici nazisti! Idolatri di falsi dèi son questi vili divoratori! Massacri su massacri per estirpare una razza “inferiore”.
Ma ti salvasti Mosè. Tua madre in fasce t’abbandonò nel dolore perché non ti scannassero!
Neonato scivolasti linfatico lungo il fiume Nilo… sin a giungere “ai piedi” della faraona.
Ella ti prese a Cuore e in grembo t’allattò nel viziarti a lussuosi privilegi di casta.
Ma, crescendo, scopristi appunto le (tue) origini… non sei figlio loro. Provieni da chi tu stesso, pensandoti egizio, offendesti!
Tu sei un ebreo, Mosè.
Hai scoperto la verità! Potresti continuare a fingere, ma stai soffrendo. La tua Natura non si svende. E non vuoi imbalsarmarti fra quelle “mummie”. Così, dal vertice della piramide, scendi le scale per “sporcarti” nel fango…
Perché, non solo sei ora un Uomo, Uomo giusto ma, quel che vedi, ti disgusta. Li frustano, uccidon donne e bambini purché “lavorino” come bestie. Se qualcuno viene macellato da un macigno, neanche lo seppelliscono.
Semmai, è morto perché stava costruendo la loro “bellissima” tomba…
Quando tu, Mosè, osservasti con occhi adulti quell’orrore, udisti scoccar nella tua anima la furia di Dio!
Così, all’ennesimo affronto, suo fratello di “sangue”, Ramses II, vuole “rovinarti”, oh mio tenero, “piccolo” Mosè.
Ma qualcosa di miracoloso accadde…
Eppure tu Ramses ti ostinasti…
Calaron dal Cielo… piogge di rane e grandine di fuoco stava per divellere la tua “grande” reggia. La sfiorò però appena. La scalfì come severo ammonimento. Ma tu, ottuso come un somaro, non ti fermasti.
E Dio rovesciò sull’Egitto ogni genere di piaghe, ma il cuore del faraone era ancora di pietra…
Dunque, fratelli della congrega, mi sostenete?
V’avverto però… molti di noi moriranno, ma preferite vivere come animali piuttosto che rischiare di morire da uomini?
Gli egiziani sono una moltitudine armata! Ci “flagelleranno”.
Ma (r)esisteremo. Siete pronti a combattere? Vi chiedo questo sacrificio! Siete titubanti e impauriti, lo so… ma secondo voi, noi, è “meglio vivere” in schiavitù che venir uccisi per un ideale assoluto di libertà?
Riflettete… o avete già deciso?
Avete già preso la vostra, nostra e mia decisione, lo leggo nei vostri occhi. Noi crediamo al nostro destino. Siamo disposti a tutto pur di giustificare il nostro fine. Meglio che finire per sempre così. Nessuno può urlarci contro il suo così sia scritto e così sia fatto.
Allora, avanti, andiamo avanti!
Qui il nostro esodo ha inizio per una nuova alba.
Scappiamo quando scenderà la Luna! Quando il nostro Dio sterminerà i primogeniti degli egiziani.
Ci stan inseguendo, però. Siamo accerchiati… il Mar Rosso è una barriera insormontabile.
Saremo ammazzati tutti dall’ira dal faraone e dalla sua schiera vessillifera. Dio abbia pietà di noi!
No, Dio è dalla nostra. E io Mosè, alzo le braccia al Cielo… perché il nostro Dio c’ascolterà. Il Mar Rosso, Dio ha “sventrato” per sommergere tale lor immonda crudeltà.
Salirò sul Sinai, e Dio inciderà le nostre leggi. Poi scenderò e anche voi, miei offesi, vedrò festeggiare col vitello!
Avete così tanto sofferto per prostituirvi, come gli egiziani, ai piaceri più carnali?
State bestemmiando! Sarete puniti!
Parola del Signore!
E questo DeMille nessuno può dimenticare.
(Stefano Falotico)
“The Elephant Man”, Review
Il suono invisibile della sensibilità, la spirituale danza “nascosta”
Od(i)o, da remote dimore della mia anima, un guaito via via ad ascender d’accensione.
Come un Cuore sacro, segregato, squittente tremori mansueti di docili contemplazioni. Dal baglior incendiato della mia più intima lividezza, dall’intimidita cenere tersa del mio sangue frenato, smorzato, ferito… risorgo in auge su tanti scintillanti diamanti.
Anima!
E poi grido “Animali!”.
Oh, ridacchiate, annusanti dolore a pelle, scuoiate nelle beffe con aguzzina arroganza. E non vi pentite!
“Arguti” arrostite, di rossa fiamma a scalfirvi son ora colore vivo!
Al mio urlo vi spaventa(s)te, fuggite adesso impauriti dalle umiliazioni vostre testarde a specchio mio dardeggiante?
Perpetraste con la pusillanimità più turpe del bestiale “incatenarvi”, oh miei “manichini” antropomorfi mai incantati da nulla più a slegar sol vostre aberranti carni, ad afflizione sbraitata nell’orripilante, feral e bieco sfregiare senza freni.
Oh, fregiatevi di “vitali” respiri, mordete con maggior “coraggio”. Azzannate! Spellandomi, “esornerete” l’odore delle marcie marce. Oh, son qui, dinanzi a voi, nudissimo e creaturale.
Tal craterica, tuonante e irrequieta ribellione v’ha turbato?
E cosa ne sapete voi del turbamento?
Di com’avvolsi la mia “cera” perché avreste rabbrividito nel vedermi davvero com’ero.
Deforme o prodigiosa Natura “strana”, la mia percezione diversa è deviante?
E chi siete voi per uniformarmi a un principio tremendo, tristissimo di presunta “normalità?”.
Son qui, John Merrick, nato così, figlio del (non) concepirmi a immagine e somiglianza di voi tutti somiglianti. Serpenti, vermi striscianti, suonatemele a sonagli! Ragliatemi contro, oh sì, miei sommi somari! Di serpentina ingannante, oh sì, scagliate!
Scatenatevi!
Durante la mia ignota prigionia, nel buio bianco e casto della rarità unica e perlacea, ingrandii la mia anima.
Notti nelle quali sfamai l’ansia altera d’un essere… già altrove.
Perché così era per voi.
Quindi, miei idioti, puniste sin dall’inizio.
“Infil(z)ai” la tetraggine indotta a carnagione mia scarna per scagionarmi dalla paura d’esser un mostro come voi!
Cultura assetata di Bellezza, me ne cibavo di sopraffino gusto superiore.
Avete mai assaggiato una tal melodica, dolce prelibatezza?
Ma la violentaste. Voi non volete volare!
Voi siete affamati di potere, di “ribalde” e stupide competizioni ciniche, ove domina chi ha più “palle” di pelle esibita, orrida in così sfrontato mostrarvi “forti”.
E la vita perdete dietro folli rincorse.
Quando mi fermerete, non più mi ferirete!
E sarete fermi di fronte al vostro vuoto che oggi vi appar fortificante! Accaniti, oh oh quanto arrivisti e poco elastici, v’imploro di colpire, “scolpitemi” e non scappate adesso a mio infervorato inferocirmi, ché espiri massacrato un “esecrabile” mio esser non nato a pari vostre crasse classi da cene crematorie.
Sapete, siete tutti uguali.
E dov’è finita la peculiarità di quel che dentro è il nerbo vivido del distinto, florido non prostituirci alla discinta, appuntita “uguaglianza?”.
Vomito, vomito nel macerar la mia “maschera”.
Truccaste il mio Cuore ché sol indagarlo v’avrebbe scosso di vostra dura “corteccia”.
Un medico mi ha scoperto. Soffro della Sindrome di Proteo.
Una sorta di distrofia muscolare degenerativa. Questa malattia altera il già “sfigurato” mio corpo neonatale e notteggiante, che vien progressivamente “cosparso” di borchie, crescono erosive, laceran le braccia, scarniscono il volto.
E son “costretto”, per farvi piacere, ah ah, a (s)coprire.
Così, rendo “ricco e felice” Bytes. Bytes è il direttore del circo… degli orrori. Mi abbaia di far il cane! Sono ai suoi “servigi” perché incarno… l’attrazione più stupefacente offerta all’ignorante gente proprio animalesca. La cattiveria di Bytes è sproporzionata quasi quanto le mie informe proporzioni…
Mi soprannominano infatti “Elefante”, “gobbo” e di proboscide a cartilagine slabbrata, soprattutto nell’escoriata anima.
Disarcionata, pensate?
Non è in “bianco e nero”, è variopinta, coloratissima.
Ma nessuno, tranne il dottor Frederick Treves s’arrischia ad avvicinarsene… tutta superstizione, non sono un lebbroso.
Sono un Uomo!
Be’, molto diverso da voi “uomini”. Voi siete “tosti”, malvagi ubriaconi dei divertimenti più sconci e sporchi di porci.
Conciatemi per le feste. E che il suicidio, non so se mio, sia il… supplizio! Non ditemi che vi fa schifo tutto ciò.
Non vi credo. Questa è forte, adesso è molto forte.
E morde!
(Stefano Falotico)
Adorate Mickey Rourke
Costui è sufficientemente freak per meritare il nostro eterno applauso. E, a sessanta abbondanti, non si smentisce. Look da strada.
Sa di far schifo, ma è stato o no Bukowski in Barfly? Certo che sì!
“Eyes Wide Shut”, Review
Animati di avventure! Evolvi, siamo solo animali in tal umana condizione!
Ci sono attimi indecifrabili nei corridoi turbolenti della memoria, a specchio di nitori selvatici, scaturiti dal buio delle tenebre risplendenti. E, in quella fatale frattura, dirompente la coscienza mnemonica s’aggroviglia in maceria estatica. Un prodigioso e arcano brivido, come un rapporto sessuale, peccaminoso ché non lo è mai in quanto l’innocenza verrà sempre macchiata d’avida Bellezza, anche quando si scarnifica in glorificati, orgasmici battiti mordaci.
Mi “spengo”, rifletto a evocar la dolce sobrietà delle sue mani, impetuose nell’attorcigliare il maschio di lì irruento e zampillante in “cloro” puro sul diamante scalfito d’affinarlo in muliebre ventre maturo.
Di come Lei, porgendo la bocca delicata, sospirò sangue in me sventrato di abrasione rinascente. E peccammo!
Ella, con sublime tatto, in ogni senso materno accudì l’intimità del segreto denudarmi ad altera scoperta.
S’inginocchiò beata, in gemito già sofferto per “mortificare” il mio nervoso corpo fremente.
E morse libidinosa il collo, sgorgandomi nelle labbra umide, insaporite di docile virilità mia segregata e da Lei flemmaticamente violata alla liet’agonia nostra. Leccò di grazioso gusto il prepuzio, e s’iniettò a magnificenza di già Donna, Lei ch’era soavissima per ammorbidirmi in litania d’ardimentoso, furioso amplesso. Concupiscenza… di danza lenta scandì il respiro in cullarci combaciati, io a guair “timido” e Lei sguaiatissima, urlante a inferocirmi nel silenzio del bosco.
Avviluppò il mio nascituro a spietato sverginar d’esperita femmina fiammante. Focosa, incitò il dolore dell’an(s)imo, e m’incupì per sempre nel viral, sensualissimo gioco delle maschere “adulte(re)”.
Ci spalmammo poi sonnecchianti in gracchiare vita ed esuberanza luminosa, anche se la Luna si attardò ad albeggiare. Ma forse m’avrebbe sottilmente tradito, inganno futile della mia “ingegnosa” fantasia o proibite, torbide rivelazioni a detonare per adombrar la purezza mia oramai d’eternità estinta. Bramosa è la Donna, e l’Uomo n’è giogo, a suo dileggio per letti infami o di sfamate altre irrefrenabili libagioni come il mistero esistenziale che in noi “aleggia” attorno a questo legiferante e mortal “sonnifero” ch’è la strada…
1. Coppia di coniugi per una festa “normale”. A elevazione del culo monumentale di Nicole Kidman snocciolato di musica minacciosa, di classico incendiarsi nel Kubrick “cimiteriale”. Sì, ogni suo capolavoro è un epitaffio fra il sardonico, l’analisi fredda, il futuro esser profetico, turba e stuzzica la vista, c’imbriglia in greca, classica eleganza… ch’eppur nuoterà in arabesco intreccio. Lineare la trama poi si spezza, recisa è dubbiosa e a irretire, di retrospezione indaga nell’ignoto.
2. La festa profuma di gelosia nell’abito del corteggiatore brizzolato.
Tom osserva, spaurito s’arrabbierà… piangendole amore esigerà una confessione a spezzargli il Cuor. E di liquori annegherà quando calerà (in) incognito.
3. La Notte è un doppio sogno. Tom precipita nell’incubo inaspettato della sua educazione perbenista. Anche solo una fantasia lo (di)strugge. E s’inventa “pornografo” della sua anima.
4. All’orgia, i “cannibali” deridono la sua ingenuità, modelle Escort in tanga su Frank Sinatra e incenso da Carnevale di Venezia. Fanno paura. Solo occhi, solo tremore, svelarsi e la tua mask cola vergogna. Son(n)o, fuggi! Sbranano, sgrana!
Ma le grane non ingrani, la pioggia è serenità della Notte te(r)sa?
5. Cos’è successo? La Notte è stata una violenza alla tua “Lolita”, Tom. Solo per inventate storie di Sesso.
Ma la fedeltà coniugale è un’altra vigliaccheria.
P.S.: quasi dappertutto, si continua a scrivere Bill al posto di Will. Tom è Will, il Dottore William Harford.
Questa è la dicitura.
Questa è la vita. Che vi piaccia o no, non sempre è come la immaginiamo.
(Stefano Falotico)