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Black Mirror, quarta stagione: Black Museum

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Ebbene, eccoci arrivati all’ultimo episodio di questa nostra cavalcata nella pirotecnica quarta stagione di Black Mirror. Spiazzante come sempre, imprevedibile, tortuosamente avvolgente, alle volte irrisolta, complessa, sfaccettata, diversificata, che ci ha offerto un altro panorama ampio sulle nostre ossessioni di uomini “moderni” immersi in una contemporaneità oscuramente sinistra, enigmaticamente spettrale. Perché la tecnologia, forse, ha migliorato le condizioni di vita di ognuno di noi ma ci ha aperto a strade tanto nuove, così sperimentalmente fascinose quanto mellifluamente glaciali. Ci siamo spinti troppo oltre? L’affamatissimo desiderio di onniscienza, le nostre manie di controllo hanno imboccato derive angoscianti, sconfinando in surreali, macabri incubi mostruosi?

Ecco allora che l’antologia stavolta si conclude con questo piacevolissimo, geniale, metaforico, spaventosamente grottesco Black Museum.

Una ragazza di colore solca le strade desertiche di un’America arida, poi si ferma a una stazione di benzina. Poco più distante, ecco una costruzione rustica, quasi western che sembra una tavola calda per camionisti. Invece, è un museo degli orrori. Al suo interno, infatti, ci sono manufatti e oggetti che appartengono a vissuti inquietanti, se non terrificanti, sono i reperti che testimoniano storie del passato inconfessabilmente ripugnanti. Storie però realmente accadute, adesso narrate alla nostra turista-“avventrice”, all’apparenza un po’ ingenua e avventata, da un tracagnotto “oste”, custode di questa sorta di “pinacoteca” ai confini della realtà.

Al che la trama si ramifica e l’episodio diventa una specie di matriosca narrativa, in cui in questo caso ci vengono raccontate più storie, per l’esattezza tre, tre storie interconnesse che fanno da sfondo a quella principale, a quella appunto della ragazza nel museo.

Si parte con la storia di un dottorino a cui viene installata una “protesi”, il quale, in diretta comunicazione sensoriale con persone che indossano un casco di elettrodi che captano le loro percezioni fisiche, entrerà in vivo contatto col dolore. Uno strumento che, dapprincipio, gli tornerà utilissimo per riuscire a diagnosticare i mali di cui sono afflitti i suoi pazienti, permettendogli di arrivare con anticipo a prognosi impensabili rispetto a una normale visita superficiale. Lui coglie le dolenze più imperscrutabili, che sfuggirebbero a chiunque, ne sente gli spasimi, visceralmente cattura le strazianti fitte.

Col tempo però questo strumento di dolore diverrà uno strumento addirittura di piacere. Più il dottore riuscirà a sentire il dolore delle persone accanto a lui, più ne godrà immensamente. E questa perversa fruizione del godimento lo aberrerà moralmente. Prima infierirà su sé stesso, maciullando il suo corpo pur di godere delle sue abominevoli ferite, quindi, in una devianza oltre il punto di non ritorno, si trasformerà in un brutale assassino…

Una storia raggelante, truculenta, orripilante, cinicamente allarmante riguardo i leciti confini verso cui può spingersi la sperimentazione.

La seconda storia… una giovane coppia interraziale vive felicissimamente la propria serena vita di coppia, poi lei viene investita e cade in coma irreversibile. Nessun problema… è stato messo a punto un “programma” in grado di trasferire la sua coscienza nella testa del compagno. Così, potranno sentirsi sempre vicini e comunicare di anime congiunte. Ma arriva l’inghippo, come tutte le invenzioni rivoluzionarie, anche questa ha le sue preoccupanti e tristissime complicazioni… effetti collaterali di una sconvolgente, apparente “armonia”. Eternamente “scimmiottata”, potremmo sarcasticamente, amaramente dire.

Infine, la terza storia, quella di un uomo morto sulla sedia elettrica che, prima di morire, per il “bene” della famiglia, ha donato la sua “anima” dell’aldilà a fini “scientifici”.

E quindi il consueto colpo di scena, che rimette tutto in discussione.

Un episodio esagerato, di un cinismo talmente parossistico da risultare estremamente godibile, talmente “paranormale” nei suoi risvolti che non si può che rimanerne sconcertati e scossi. Tutto è condotto alle estreme conseguenze e non si pretende serietà e verosimiglianza da Black Mirror.

Un degno finale, impudente, freddamente allucinatorio. Al solito cupissimamente profetico.

Quello che possiamo rimproverargli è un eccesso di didascalismo con pedanti spiegazioni esternate allo spettatore per fargli meglio comprendere ciò che era già comprensibile da sé.

di Stefano Falotico

 

Black Mirror, quarta stagione: Metalhead

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Ebbene, eccoci giunti al penultimo “episodio” di quest’altalenante quarta stagione, Metalhead. Un episodio che ha fatto imbestialire molti che ne sono rimasti profondamente delusi. A me invece è piaciuto, e non poco. Ecco, in un futuro post-apocalittico non ben determinato, fotografato in un arido bianco e nero nitidissimo e cristallinamente mortifero, quasi funereo, tre persone, una donna e due uomini, uno giovane e uno di colore, penetrano in un magazzino per sottrarre del materiale “prezioso” e impossessarsi di uno scatolone. O meglio, a entrare nel covo sono la donna e il nero, il giovane ragazzo aspetta in macchina, fuori, a controllare che i suoi compagni possano agire indisturbati. Il nero viene “fregato” nella sua missione da un robot della sicurezza, che spietatamente lo ammazza, facendogli saltare la testa e disintegrandogliela, la donna in preda al panico fugge terrorizzata ma, anziché entrare nel furgone del suo “amico”, utilizza un altro veicolo. Il robot, indomitamente, fa fuori il ragazzo e guida il furgoncino, inseguendo la donna per le strade mal asfaltate e desolate. Da lì ha inizio una caccia allucinante e la donna tenterà disperatamente di salvar cara la pelle. Ma chi è questo robot? Spiegazioni non ci vengono fornite, intuiamo solamente che, in questa società alla Mad Max, dai panorami brulli, scarnamente spogli, probabilmente esistono questi automi killer a controllo di alcune zone.

Una discesa infernale nella paura, giocata sulla suspense, sulla corsa contro il tempo, scandita dai soliti colpi di scena, però ben congegnati, distillati con sapiente, giusta tensione e qualche attimo truculento ottimamente “dipanato” nei pur scarsi 41 minuti di durata. Ci sono soltanto tre attori, i due uomini vengono uccisi subito, rimane la sopravvissuta, una temeraria e magra Maxine Peake, volto scavato e occhi gelidamente agghiaccia(n)ti. Ma forse non si salverà neppure lei…

Scritto come sempre da Charlie Brooker e diretto da David Slade, si differenzia dalla maggior parte degli episodi di Black Mirror perché rinuncia proprio al “marchio di fabbrica” che ha reso unico questo prodotto antologico, in quanto stavolta, sì, il robot è una “specie” avanzata della tecnologia moderna e futuribile ma sono assenti i temi universali e metaforici che, appunto, ne sono stati lo stilema inconfondibile.

E molti si sono lamentati di questa scelta, di questo registro narrativo e, potremmo dire, diegetico.

È solo la storia di una survivor, con un nemico invincibile e infrangibile, ostinato e tremendo.

Insomma, se da Black Mirror vi aspettate sempre originalità e tematiche avanguardistiche che facciano riflettere, avete sbagliato episodio. Se vi accontentate di un episodio che vi terrà col fiato sospeso, facendovi tremare di raccapriccio, siete “capitati” nel posto giusto. Lugubre, cadaverico, esangue, come il viso emaciato e intagliato nella pietra della protagonista.

di Stefano Falotico

 

Oscar Nomination 2018, la full list e le nostre considerazioni

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Ebbene, sono state diramate le nomination agli Oscar 2018, annunciate da Andy Serkis e da un’abbastanza impresentabile Tiffany Haddish, vista la sua goffaggine e la maldestra improvvisazione con cui ha faticato non poco a biascicare i nomi dei candidati… Era solo una sgradevole posa, come si suol dire, per far scena? Ne dubitiamo, dato l’imbarazzo generale.

Partiamo col dire che quasi tutto ha rispettato i pronostici dei giorni scorsi. D’altronde, da quando esiste la rete, le voci di corridoio si diffondono tanto in fretta in modo tale che le previsioni dell’ultima ora, spesso, rispecchiano la realtà, e bastava recarsi su siti come awardscircuit.com per farsi un’idea abbastanza precisa di quali sarebbero state le scelte dell’Academy. Insomma, tutto come da programma, rispettando i “favori” della vigilia. E candidature abbastanza impeccabili, a cui quest’anno si possono imputare poche dimenticanze. Ma, come sempre accade, ci son state anche le classiche, inaspettate sorprese, e in ciò, al di là del valore vero o presunto degli Oscar, consiste il fascino di una manifestazione che, nonostante tutto, conserva piuttosto intatto il suo sacrosanto diritto di esistere. Che piacciano o meno, gli Oscar sono una tradizione inderogabile e imprescindibile come il Natale.

Dicevamo… le sorprese. Nella lista dei migliori registi non è apparso il nome dell’invece quotatissimo, almeno dai bookmakers, Martin McDonagh col suo Tre manifesti a Ebbing, Missouri, pellicola che prevedibilmente, in quasi tutte le altre categorie, si aggiudica una pioggia di nomination. E spiace che il nostro Luca Guadagnino col suo Chiamami col tuo nome non sia entrato nella cinquina “sacra”. Ma comunque il suo bellissimo film riceve quattro candidature di assoluta e pregiata importanza. Ce la fa invece, zitto zitto, Paul Thomas Anderson. Assolutamente non dato fra i papabili praticamente da nessuno prima del sorprendente annuncio. Resta fuori Spielberg.

Per la categoria Miglior Attore, ecco allora che il pur bravissimo e meritevole James Franco di The Disaster Artist, premiato con un giusto Golden Globe, viene “rimpiazzato” dal solito Denzel Washington. Ma in questa decisione non poco a suo sfavore devono aver giocato le tristi “misconduct allegations” delle settimane passate. E sullo squallido moralismo della sciocca America puritana non voglio proferire altra parola. Assente anche Tom Hanks di The Post. E per la serie la speranza è l’ultima a morire ma alla fine muore, eh eh, non ce la fa neanche Jake Gyllenhaal di Stronger.

Nota di merito e di rilievo per Christopher Plummer che, alla veneranda età di ottantotto primavere, rimpiazzando all’ultimo momento Kevin Spacey, diviene, con la sua candidatura come miglior attore non protagonista per Tutti i soldi del mondo, l’attore più vecchio della storia del Cinema a ottenere una nomination. Il record era detenuto da Gloria Stuart per Titanic, anni 87. Plummer peraltro aveva già battuto un altro record di “anzianità”, potremmo dire. Perché fu l’attore più vecchio a vincere un Oscar per Beginners. All’epoca aveva 82 anni.

Per il resto, come detto, tutto preventivato, con l’inevitabile trionfo di The Shape of Water. Ben 13 nomination!

Ecco la lista completa. Fatevi la vostra idea.

Best Picture

Call Me By Your Name
Peter Spears, Luca Guadagnino, Emilie Georges and Marco Morabito, Producers

Darkest Hour
Tim Bevan, Eric Fellner, Lisa Bruce, Anthony McCarten and Douglas Urbanski, Producers

Dunkirk
Emma Thomas and Christopher Nolan, Producers

Get Out
Sean McKittrick, Jason Blum, Edward H. Hamm Jr. and Jordan Peele, Producers

Lady Bird
Scott Rudin, Eli Bush and Evelyn O’Neill, Producers

Phantom Thread
JoAnne Sellar, Paul Thomas Anderson, Megan Ellison and Daniel Lupi, Producers

The Post
Amy Pascal, Steven Spielberg and Kristie Macosko Krieger, Producers

The Shape of Water
Guillermo del Toro and J. Miles Dale, Producers

Three Billboards Outside Ebbing, Missouri
Graham Broadbent, Pete Czernin and Martin McDonagh, Producers

Best Director

Dunkirk, Christopher Nolan
Get Out, Jordan Peele
Lady Bird, Greta Gerwig
Phantom Thread, Paul Thomas Anderson
The Shape of Water, Guillermo del Toro

Best Actor

Timothée Chalamet, Call Me By Your Name
Daniel Day Lewis, Phantom Thread
Daniel Kaluuya, Get Out
Gary Oldman, Darkest Hour
Denzel Washington, Roman J. Israel, Esq.

Best Actress

Sally Hawkins, The Shape of Water
Frances McDormand, Three Billboards Outside Ebbing, Missouri
Margo Robbie, I, Tonya
Saoirse Ronan, Lady Bird
Meryl Streep, The Post

Best Supporting Actor

Willem Dafoe. The Florida Project
Woody Harrelson, Three Billboards Outside Ebbing, Missouri
Richard Jenkins, The Shape of Water
Christopher Plummer, All the Money in the World
Sam Rockwell, Three Billboards Outside Ebbing, Missouri

Best Supporting Actress

Mary J. Blige, Mudbound
Allison Janney, I, Tonya
Leslie Manville, Phantom Thread
Laurie Metcalfe, Lady Bird
Octavia Spencer, The Shape of Water

Best Original Screenplay

The Big Sick, Written by Emily V. Gordon & Kumail Nanjiani
Get Out, Written by Jordan Peele
Lady Bird, Written Greta Gerwig
The Shape of Water, Screenplay by Guillermo del Toro & Vanessa Taylor; Story by Guillermo del Toro
Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, Written by Martin McDonagh

Best Adapted Screenplay

Call Me By Your Name, Written by James Ivory
The Disaster Artist, 
Written by Scott Neustadter and Michael H. Weber
Logan, 
Written by Scott Frank & James Mangold and Michael Green; Story by James Mangold
Molly’s Game, 
Written by Aaron Sorkin
Mudbound, Written by Virgil Williams and Dee Rees

Best Documentary Feature

Abacus: Small Enough to Jail, Steve James, Mark Mitten and Julie Goldman
Faces Places, 
Agnès Varda, JR and Rosalie Varda
Icarus, Bryan Fogel and Dan Cogan
Last Men in Aleppo, Feras Fayyad, Kareem Abeed and Søren Steen Jespersen
Strong Island, Yance Ford and Joslyn Barnes

Best Documentary Short

Edith+Eddie, Laura Checkoway and Thomas Lee Wright
Heaven is a Traffic Jam on the 405, 
Frank Stiefel
Heroin(e), Elaine McMillion Sheldon and Kerrin Sheldon
Knife Skills, Thomas Lennon
Traffic Stop, Kate Davis and David Heilbroner

Best Animated Feature

The Boss Baby, Tom McGrath and Ramsey Naito (DreamWorks Animation)
The Breadwinner, Nora Twomey and Anthony Leo (GKIDS)
Coco, Lee Unkrich and Darla K. Anderson (Disney-Pixar)
Ferdinand, Carlos Saldanha (20th Century Fox)
Loving Vincent, Dorota Kobiela, Hugh Welchman and Ivan Mactaggart (Roadside Attractions)

Best Animated Short

Dear Basketball, Glen Keane and Kobe Bryant
Garden Party, 
Victor Caire and Gabriel Grapperon
Lou, Dave Mullins and Dana Murray
Negative Space, Max Porter and Ru Kuwahata
Revolting Rhymes, Jakob Schuh and Jan Lachauer

Best Foreign Language Film

A Fantastic Woman, Chile
The Insult, Lebanon
Loveless, Russia
On Body and Soul, Hungary
The Square, Sweden

Best Live Action Short

DeKalb Elementary, Reed Van Dyk
The Eleven O’Clock, Derin Seale and Josh Lawson
My Nephew Emmett, Kevin Wilson, Jr.
The Silent Child, Chris Overton and Rachel Shenton
Watu Wote / All of Us, Katja Benrath and Tobias Rosen

Best Cinematography

Blade Runner 2049, Roger A. Deakins
Darkest Hour, 
Bruno Delbonnel
Dunkirk, 
Hoyte van Hoytema
Mudbound, 
Rachel Morrison 
The Shape of Water, 
Dan Lousten

Best Costume Design

Beauty and the Beast, Jacqueline Durran
Darkest Hour, 
Jacqueline Durran
Phantom Thread, 
Mark Bridges
The Shape of Water, 
Luis Sequeira
Victoria and Abdul, Consolata Boyle

Best Film Editing

Baby Driver, Paul Machliss and Jonathan Amos
Dunkirk, 
Lee Smith
I, Tonya, Tatiani S. Riegel
The Shape of Water, Sidney Wolinsky
Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, Jon Gregory

Best Makeup and Hairstyling

Darkest Hour
Kazuhiro Tsuji, David Malinowski and Lucy Sibbick

Victoria and Abdul
Daniel Phillips and Lou Sheppard

Wonder
Arjen Tuiten

Best Production Design

Beauty and the Beast
Production Design: Sarah Greenwood; Set Decoration: Katie Spencer

Blade Runner
 2049
Production Design: Dennis Gassner; Set Decoration: Alessandra Querzola

Darkest Hour
Production Design: Sarah Greenwood; Set Decoration: Katie Spencer

Dunkirk
Production Design: Nathan Crowley; Set Decoration: Gary Fettis

The Shape of Water
Production Design: Paul Denham Austerberry; Set Decoration: Shane Vieau and Jeff Melvin

Best Original Score

Dunkirk, Hans Zimmer
Phantom Thread, Jonny Greenwood
The Shape of Water, Alexandre Desplat
Star Wars: The Last Jedi, John Williams
Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, Carter Burwell

Best Original Song

“Mighty River,” Mudbound
Music and Lyric by Mary J. Blige, Raphael Saadiq and Taura Stinson

“Mystery of Love,” Call Me By Your Name
Music and Lyric by Sufjan Stevens

“Remember Me,” Coco
Music and Lyric by Kristen Anderson-Lopez and Robert Lopez

“Stand Up for Something,” Marshall
Music by Diane Warren; Lyric by Lonnie R. Lynn and Diane Warren

“This is Me,” The Greatest Showman
Music and Lyric by Benj Pasek and Justin Paul

Best Sound Editing

Baby Driver, Julian Slater
Blade Runner 2049, 
Mark Mangini and Theo Green
Dunkirk, Richard King and Alex Gibson
The Shape of Water, Nathan Robitoille and Nelson Ferreira
Star Wars: The Last Jedi, Matthew Wood and Ron Klyce

Best Sound Mixing

Baby Driver, Julian Slater, Tim Cavagin and Mary H. Ellis
Blade Runner 2049, 
Ron Bartlett, Doug Hemphill and Mac Ruth
Dunkirk, Mark Weingarten, Gregg Landaker and Gary A. Rizzo
The Shape of Water, Christian Cooke, Brad Zoern and Glen Gauthier
Star Wars: The Last Jedi, David Parker, Michael Semanick, Ren Klyce and Stuart Wilson

Best Visual Effects

Blade Runner 2049, John Nelson, Gerd Nefzer, Paul Lambert and Richard R. Hoover
Guardians of the Galaxy Vol. 2, 
Christopher Townsend, Guy Williams, Jonathan Fawkner and Dan Sudick
Kong: Skull Island, Stephen Rosenbaum, Jeff White, Scott Benza and Mike Meinardus
Star Wars: the Last Jedi, Ben Morris, Mike Mulholland, Neal Scanlan and Chris Corbould
War for the Planet of the Apes, Joe Letteri, Daniel Barrett, Dan Lemmon and Joel Whist

di Stefano Falotico

 

Black Mirror, quarta stagione: Hang the DJ

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Ebbene, recensiamo quello che da molti è stato definito l’episodio certamente più riuscito di questa quarta stagione.

Immagini suadenti, una musica melodiosa e veniamo immersi in una sala convention. Almeno così sembra, perché invero è un lussuoso ristorante ove il cuore solitario del giovanissimo Frank sta aspettando una donna. Gli è stato fissato infatti un appuntamento. Sì, non è stato lui a decidere chi incontrare, non è stata la sua solitudine desiderosa di una relazione sentimentale a imbattersi, che ne so, attraverso siti d’incontri virtuali, in una persona che ha potuto “opzionare”, in cui proiettare il suo oggetto del desiderio, bensì il Sistema, un software sofisticatissimo che “recapita” alle anime bisognose d’amore la persona ideale sulla base di un semplice algoritmo che, misurando i nostri comportamenti, il nostro carattere, le nostre peculiarità emotive, le nostre genetiche sensibilità, ha affidato a un programma “specialissimo” il compito di selezionare le coppie. Al che, l’impacciato Farnk incontra Amy. Entrambi sono alla loro prima esperienza, prima d’allora non avevano mai sfruttato questa “app” molto particolare. Il Sistema ha inoltre deciso che il loro sarà un breve incontro, fuggevole, della durata di soltanto dodici ore. Non riusciranno a consumare e saranno preda delle loro goffaggini e timidezze ma noi spettatori capiamo subito che fra i due è scattato qualcosa di magico, la classica scintilla, è esplosa l’elettrizzante chimica dell’attrazione fatale. Ma, volenti o nolenti, sono costretti a lasciarsi malinconicamente. Sì, perché loro non hanno facoltà di scegliere chi vogliono come compagno della vita, è il Sistema che, in modo arbitrario e quasi autoritario, impone le scelte d’amore o presunte tali. Così, assistiamo in parallelo all’avvicendarsi di altri incontri, della durata più o meno variabile, in cui tutti e due, come d’altronde tutti coloro che abbiano deciso di vivere in questo Sistema, distopico e apparentemente idilliaco, pare che sottostiano in maniera remissiva alle discutibili regole del gioco. E vengono praticamente obbligati a fare sesso e frequentare, per quell’arco di tempo stabilito, persone che semmai ritengono insopportabili, decisamente non affini o agli antipodi rispetto al loro modo d’essere. Ma solo così il Sistema può, in base appunto alle loro reazioni, agli attriti che ne sortiscono, alle dinamiche emotive che s’innescano, decretare chi potrà essere definitivamente la loro anima gemella. Un purgatorio terrestre in cui gli abitanti del Sistema hanno abdicato persino benevolmente, senz’opporsi alla massacrante trappola psicologica, convinti che i loro sforzi saranno alla fine ripagati dalla giustezza di un mezzo pressoché infallibile.

Il Sistema li farà rincontrare e sarà ancora amore immortale. Però il Sistema nuovamente deve separarli… o forse no, perché i due innamorati si ribelleranno e altro non possiamo svelarvi. Come andrà a finire? Sfuggiranno dalla prigionia di una realtà solo in superficie linda e insindacabile che agisce tremendamente sulle loro anime unicamente per il loro “bene?”.

Lo sceneggiatore Charlie Brooker compie un prodigio di delicatezza e l’episodio è un mix irresistibile, fascinoso, appassionante di tenerezza romantica, di amor fou e angoscianti colpi di scena, scanditi con precisione narrativa tale da suscitare commozione ed empatia. Gettando comunque ancora una volta un’ombra inquietante su un futuro che assomiglia, per certi versi, mostruosamente al nostro presente, ove sembra che anche i sentimenti debbano rispondere a delle logiche “informatiche” e le emozioni par che siano cronometrate, regolamentate e schematicamente allineate secondo “programma”.

Regia del bravissimo Tim Van Patten e prova egregia, persino energica dei simpatici e coinvolgenti Georgina Campbell e Joe Cole.

di Stefano Falotico

 

The Irishman, il teaser poster ufficiale (?)

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Nelle scorse ore, alcuni siti, fra cui in primis IMDb, hanno diffuso sulle loro pagine questo poster.

Subito, gli scettici hanno dubitato della veridicità dell’immagine, “screditandola” e dandole l’appellativo di fake. Invece, pare verissima.

Alcuni, perfino, dinanzi a quest’inaspettata mossa pubblicitaria di Netflix, molto in anticipo sui tempi, perché infatti le riprese di The Irishman sono ancora attualmente in pieno corso in quel di New York e si protrarranno per giorni, hanno criticato tal locandina, definendola una bruttura, un’imitazione dei peggiori manifesti italiani che imitano quelli americani.

Innanzitutto, è un teaser, e la parola stessa include il concetto d’indefinito e “provvisorio”.

E peraltro io vorrei invece esprimermi in maniera estremamente positiva. Sembra un poster d’antan, artigianale, che ricorda quello originale de Le Iene, che prende in prestito una foto di scena e la satura nei colori lividi di Rodrigo Prieto, incastonando gli altisonanti credits di De Niro, Pacino e Pesci nella “cornice” di un muro bianchissimo in contrasto con le sfumature morbidamente dense dell’insieme, con un De Niro rabbioso e ghignante, con la sua classica smorfia da cane iroso.

Niente male. Altroché.

Le Iene

di Stefano Falotico

 

Screen Actors Guild Awards – I vincitori

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Outstanding Performance by a Cast in a Motion Picture
THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI (Fox Searchlight)
ABBIE CORNISH / Anne
PETER DINKLAGE / James
WOODY HARRELSON / Willoughby
JOHN HAWKES / Charlie
LUCAS HEDGES / Robbie
ŽELJKO IVANEK / Desk Sgt.
CALEB LANDRY JONES / Red Welby
FRANCES McDORMAND / Mildred
CLARKE PETERS / Abercrombie
SAM ROCKWELL / Dixon
SAMARA WEAVING / Penelope

Outstanding Performance by a Female Actor in a Leading Role
FRANCES McDORMAND / Mildred – “THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI” (Fox Searchlight)

Outstanding Performance by a Male Actor in a Leading Role
GARY OLDMAN / Winston Churchill – “DARKEST HOUR” (Focus Features)

Oustanding Performance by an Ensemble in a Drama Series
THIS IS US (NBC)
ERIS BAKER / Tess Pearson
ALEXANDRA BRECKENRIDGE / Sophie
STERLING K. BROWN / Randall Pearson
LONNIE CHAVIS / Young Randall
JUSTIN HARTLEY / Kevin Pearson
FAITHE HERMAN / Annie Pearson
RON CEPHAS JONES / William Hill
CHRISSY METZ / Kate Pearson
MANDY MOORE / Rebecca Pearson
CHRIS SULLIVAN / Toby Damon
MILO VENTIMIGLIA / Jack Pearson
SUSAN KELECHI WATSON / Beth Pearson
HANNAH ZEILE / Teenage Kate

Outstanding Performance by a Female Actor in a Drama Series
CLAIRE FOY / Queen Elizabeth II – “THE CROWN” (Netflix)

Outstanding Performance by a Male Actor in a Drama Series
STERLING K. BROWN / Randall Pearson – “THIS IS US” (NBC)

Life Achievement Award
Morgan Freeman

Outstanding Performance by a Female Actor in a Television Movie or Limited Series
NICOLE KIDMAN / Celeste Wright – “BIG LITTLE LIES” (HBO)

Outstanding Performance by a Male Actor in a Television Movie or Limited Series
ALEXANDER SKARSGÅRD / Perry Wright – “BIG LITTLE LIES” (HBO)

Outstanding Performance by a Male Actor in a Supporting Role
SAM ROCKWELL / Dixon – “THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI” (Fox Searchlight)

Outstanding Performance by a Female Actor in a Supporting Role
ALLISON JANNEY / LaVona Golden – “I, TONYA” (Neon/30West)

Outstanding Performance by an Ensemble in a Comedy Series
VEEP (HBO)
DAN BAKKEDAHL / Roger Furlong
ANNA CHLUMSKY / Amy Brookheimer
GARY COLE / Kent Davison
MARGARET COLIN / Jane McCabe
KEVIN DUNN / Ben Cafferty
CLEA DUVALL / Marjorie Palmiotti
NELSON FRANKLIN / Will
TONY HALE / Gary Walsh
JULIA LOUIS-DREYFUS / Selina Meyer
SAM RICHARDSON / Richard Splett
(continued on next page)
PAUL SCHEER / Stevie
REID SCOTT / Dan Egan
TIMOTHY SIMONS / Jonah Ryan
SARAH SUTHERLAND / Catherine Meyer
MATT WALSH / Mike McLintock

Outstanding Performance by a Female Actor in a Comedy Series
JULIA LOUIS-DREYFUS / Selina Meyer – “VEEP” (HBO)

Outstanding Performance by a Male Actor in a Comedy Series
WILLIAM H. MACY / Frank Gallagher – “SHAMELESS” (Showtime)

 

 

Black Mirror, quarta stagione: Crocodile

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Ebbene, stavolta recensirò per voi quello che è stato definito l’“episodio” più brutto di tutte le stagioni di Black Mirror, ovvero Crocodile. Permettetemi in parte di dissentire, ne spiegherò le ragioni.

Diretto dall’esperto John Hillcoat (The RoadLawlessCodice 999), è certamente irrisolto, non del tutto riuscito, abbastanza carente in materia di pathos e forse troppo sbrigativo, ma questi sono difetti tipici di questo genere di “produzioni” che, dovendo obbligatoriamente stare nel minutaggio di solo un’oretta, inevitabilmente peccano di superficialità e son costrette ad accelerare narrativamente, con snodi spesso troppo facili.

Subito, in un montaggio sincopato molto “ballerino”, in maniera, oserei dire, lisergica… veniamo catapultati nel caos di una disco-dance. Poi, i due protagonisti, un ragazzotto ben pasciuto e una ragazzina quasi anoressica, ritornano a casa a tutta velocità sul loro macchinone. Ancora sballati e ubriachi, investono involontariamente un passante in bicicletta e l’ammazzano sul colpo. Sconvolti, anziché chiamare la polizia e identificarsi come autori del “delitto”, ben consci delle orribili conseguenze a cui andrebbero incontro, liberi da sguardi indiscreti, essendo quel posto quasi abbandonato da Dio, raccolgono il cadavere dall’asfalto e lo gettano in un lago lì vicino. Maschereranno nelle loro colpevoli coscienze il misfatto per anni.

Quindi… salto temporale. Una donna, con marito e figli, fa una conferenza e viene celebrata come geniale, innovatrice architetta. È la stessa donna autrice dell’omicidio, adesso profondamente cambiata nel look, cresciuta e con una vita soddisfacente e ambiziosa. Nella sua stanza dell’albergo, fa capolino la sua vecchia conoscenza, il suo ex ragazzo… che le confida, mostrandole una foto di giornale, che la moglie di quell’uomo da loro ucciso tanti anni fa è viva, non si dà pace per la scomparsa del marito ed è disperata. E sta cercando ancora la verità… poiché non ha mai saputo perché fosse sparito nel nulla. In questa notte d’antichi complessi di colpa, di un glaciale passato tormentoso che riemerge in tutto il suo brutale, gelido orrore, accadrà ancora una volta qualcosa di macabro…

Intanto, un’agente assicurativa sta interrogando vari testimoni riguardo un banale incidente stradale. Sì, è stata sviluppata e messa a punto una tecnologia rivoluzionaria, il “rammentatore”, uno strumento che legge nei ricordi delle persone per rievocare “tangibilmente” ciò che è custodito negli anfratti “soggettivi” della memoria.

Questa è la prassi…

Quell’incidente stradale è stato fuggevolmente visto anche dalla nostra signora “morte”. E qui viene il bello, anzi, l’orrido… come avrete potuto facilmente intuire. Viene interrogata, le verità emergono, i suoi delitti non possono essere più nascosti e ci scappa un’altra morta. E via via la violenza esplode sanguinaria e incontrollabile. Sino al twist finale che ha dell’incredibile e che naturalmente non vi sveleremo per non rovinarvi la sorpresa.

Ecco, il tutto poteva essere indubbiamente svolto meglio, non ci convince la deragliante, repentina deriva omicida della protagonista, incarnata dalla magrissima e luciferina Andrea Riseborough, e la sceneggiatura di Charlie Brooker lascia molto a desiderare. Troppo meccanica, automatica la follia che viene ingenerata, esagerate le dinamiche assassine e la logica qui non combacia tanto con la verosimiglianza narrativa e con le cause-effetto della vicenda. Insomma, possibile che questa donna, all’apparenza normalissima, si sia trasformata in uno spietato mostro all’improvviso? No, forse a ben vedere, da quel giorno maledetto di quel cadavere buttato nelle acque, la sua psiche aveva già subito una sinistra deviazione celata proprio nei ricordi della sua bestialità arcanamente umana e probabilmente lei sempre mentito su questo “cambiamento” perfino a sé stessa, coprendosi d’una maschera sociale apparentemente perfetta quanto ambiguamente terrificante.

Quindi Crocodile è proprio brutto? Sì, in parte lo è, e non emoziona neppure molto, non avvince nella trama e nei suoi sviluppi, ma almeno vince sul piano dell’ambientazione e dell’eleganza formale delle immagini, immergendoci in una cupa Islanda spettrale da noir polizieschi da Jo Nesbø, e alla fin fine si fa apprezzare per il taglio prospettico delle freddissime inquadrature, per l’interpretazione distaccata e agghiacciante della Riseborough e ci ha fatto sorridere onestamente per il finale tanto grottesco quanto inaspettato e al solito cinicamente crudele in puro stile Black Mirror.

Una simpatica sciocchezza, insomma, pretendiamo certo di meglio, ma Crocodile non è così disprezzabile come si è letto in giro. Soprattutto se siete amanti di tetre location e dei panorami aridamente gelati e umanamente raggelanti.

 

di Stefano Falotico


 
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