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Il grande John Travolta è Gotti, nel primo trailer

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Eh sì, un ritorno in grande stile per il redivivo John Travolta, interprete carismatico, sensazionale quando vuole esserlo, per via della indubitabile unicità e per una prestanza scenica che pare non arrestarsi mai. Parecchi, innumerevoli anni sono trascorsi da quando incendiava le piste da ballo sulle note dei Bee Gees, primeggiando come ballerino insuperabile ne La febbre del sabato sera, il film che lo impose all’attenzione mondiale come sex symbol. Poi, il suo percorso artistico lo conosciamo tutti. Caduto nell’oblio, rinasce col geniale Tarantino nell’epocale Pulp Fiction, ruolo che vale un’intera carriera, e negli anni novanta, proprio in virtù di questo stratosferico successo, inanella tutta una serie d’interpretazioni niente male, alternandosi fra ruoli seri e spericolati action come Face/Off. Ottiene plausi e riscuote nuovamente l’approvazione del grande pubblico. Ultimamente, l’avevamo ancora perso di vista, se lasciamo stare la sua apprezzata prova nella serie televisiva su O. J. Simpson. Aveva però partecipato come sempre a molte pellicole, fra cui il bruttissimo Io sono vendetta, b movie davvero disprezzabile. E la sua stella rischiava di appannarsi. Adesso, almeno a giudicare dalle prime immagini di questo trailer della Lionsgate, torna alla grande nei panni di John Gotti, celeberrimo criminale della famiglia Gambino, che divenne celebre soprattutto per aver sviato la legge in più di un’occasione e per la sua “abitudine” a vestire elegantissimo. Il personaggio di Gotti stava molto a cuore a Travolta, che da anni sognava d’interpretarlo e ci andò vicino quando a trasporre questa storia doveva essere il regista premio Oscar Barry Levinson. Il progetto saltò ma Travolta non si è mai arreso e alla fine è riuscito a portarlo sul grande schermo. Cosa ne pensate? Vi affascina quest’inedito John?

Aggiornamento del 6 Dicembre 2017 e nota a margine: in seguito a un improvviso colpo di scena, la Lionsgate non distribuirà più il film e la sua uscita è slittata a data indeterminata.

Inseriamo, finché resisterà su YouTube, il trailer originale dal canale non ufficiale.

di Stefano Falotico

 

Essere brave persone in questa società

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Sì, è compito arduo, anzi, “superlativizziamolo”, arduissimo, da perseguire con estrema cura dei dettagli e attenti alle distrazioni che possano sviarci da questo percorso. Sin dalla tenerissima età, fin da quando poppiamo latte materno, veniamo “schedati” in compartimenti che ci avviano, errando con la presunzione “adulta”, punitiva e maledettamente pedagogica, a doverci “istruire” secondo precetti banali, metodici, meccanici, ripetitivi, robotici di disgustosa “normalità”. Normalità, termine quanto mai “angusto”, perché reprime e incasella i nostri liberi slanci in un modus vivendi che si possa riconoscere “sano” agli occhi degli altri. Insomma, un compiacimento servile, abietto, mostruoso alla “burocrazia” di un ordine precostituito di falsi valori e regole ammansenti i nostri animi fieramente selvaggi, come pretendo, esigo altissimamente che sia il mio, remoto appunto da istruzioni per l’uso distorcenti e, questi sì, ammal(i)anti, nell’unica strada possibile e percorribile, l’ovvietà di una finta, questa sì, criminosa, “giustezza”. Se “travi” questa regola fatta di regole, e oserei dire anche tegole che ti lanciano in testa se non vi obbedisci, vieni marchiato dalla superficialità di massa, da quell’imbrogliante senso comune così a me risultante, essendo io la magnifica risultanze della complessità, repellente. Fascista, impositorio, impostore. Al che vieni ricoperto dei peggiori appellativi e s’innesca una battaglia psicologica degna delle fatiche di Ercole. Prove su prove in mezzo alle piovre, ai giudizi “scaltri” di chi, volendoti abbattere, pensa invece di essere nel giusto e deride le tue (pres)unte ridicolezze, affibbiandoti le patenti più esecrabili, disumane.

Un concentrato spaventoso di luoghi comuni da cui possono estrarsi, intraprendenti e creative, soltanto le menti più sagge e geniali, come la mia, che imbocca sempre un “vicolo cieco”, ah ah, per poter subito svoltare inaspettatamente, di vero, verso prospettive e orizzonti che invece tanto “terrorizzano” l’uomo “normale”, agganciato in maniera terragna e utilitaristica a quella che lui considera l’univa vi(t)a “rispettabile” e “corretta”. Orrore, orrore, da combattere con ogni mezzo intellettivo, ed è giusto ribellarsi a chi ti guarda dall’alto in basso, a chi ti appioppa le sue oscene “virtù”.

E giù con gli insulti in questo caravanserraglio di assurdità spacciate per incontrovertibile, indubitabile “verità”.

Un macello questa società… ci sono le persone depresse che, non sufficientemente (s)contente dei loro disagi, se ti senti agiato e in uno stato di piacevole benessere psico-fisico, fanno di tutto per indurti a soffrire come loro, a guardar la vita dal loro bislacco punto di vista. E vogliono accomunarti alle loro disgrazie, trascinandoti nel baratro delle perdizioni. Persone sempre sospettose, persone, queste sì, malate. Il tuo sorriso le infastidisce e preferirebbero, sai che bellezza, che tu ti attenga alle comuni (s)fighe. Detrattori del mondo, detronizzanti il piacere della vita, distorsori del godimento. Invidiosi, peccanti di loro follie che vorrebbero trasmetterti per il mal comune mezzo gaudio. Nella fiera più agghiacciante del malessere condiviso, delle rabbie stolte, del cattivo veder l’esistenza da basamenti fallaci.

Poi, in questa sarabanda di immonde regole aberranti, hanno inventato la psichiatria, branca del nazismo. Che vorrebbe sintetizzare la stupenda meraviglia del tuo animo coraggioso e privo di sovrastrutture castranti e demagogiche, in un reparto biochimico da cavia da laboratorio. Rifuggitene e, se qualcuno oserà, avrà la pretesa di volervi giudicare con arbitrio e coscienza borghese, presentategli la vostra genialità. Se ne siete privi, portate perlomeno avanti la vostra umanità, con classe, eleganza, l’orgoglio di essere vivi e fortunatamente non delle macchine di questa società così bugiarda, ipocrita, tremenda. Impostata sulla più meschina e, questa sì, ingannevole apparenza manichea.

Abbiate fede.

 

di Stefano Falotico

Qualitˆ: 2nda Generazione.   Titolo Del Film: Undisputed.   Distribuito in Italia da: Lˆntia Cinema e Audiovisivi s.r.l.

Qualitˆ: 2nda Generazione.
Titolo Del Film: Undisputed.
Distribuito in Italia da: Lˆntia Cinema e Audiovisivi s.r.l.

 

Racconti di Cinema – Rocky IV, il Cinema è anche questo, non solo i capolavori indiscussi

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Rocky IV: Ebbene, eccoci qua con un altro Racconto di Cinema. Vi stupirà, lo so, l’intestazione di questa recensione. Perché mai recensire un film in maniera unanime considerato dalla Critica una pellicola volgarmente narcisistica? Perché il Cinema è anche questo, non solo i capolavori indiscussi, e mi soffermerei personalmente su vari livelli di lettura insospettabili.
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Ebbene, eccoci qua con un altro racconto di Cinema. Vi stupirà, lo so, l’intestazione di questa recensione. Perché mai recensire un film in maniera unanime considerato dalla Critica una pellicola volgarmente narcisistica? Perché il Cinema è anche questo, non solo i capolavori indiscussi, e mi soffermerei personalmente su vari livelli di lettura insospettabili.

Ora, partiamo innanzitutto da Sylvester Stallone. Non siamo bugiardi. Chi di noi non l’ha amato soprattutto nell’infanzia perché modello inarrivabile dell’uomo comune che risorge dalle sue ceneri e dal nulla si fa da solo, vincendo i pregiudizi sulla sua limitatezza e battagliando con un destino spesso complicato e doloroso? Il proletario, l’uomo del popolo che, perlomeno, conquista la meta agognata dei suoi desideri. E questa tipologia d’uomo è certamente incarnata nella sua creatura più riuscita, Rocky Balboa, un “fallito”, un underdog, un riscuotitore di debiti che tira a campare fra incontri clandestini e che rinasce trovando l’amore della sua vita ma soprattutto ottenendo la straordinaria possibilità di sfidare per il titolo mondiale dei pesi massimi il campione assoluto in carica, il mitico Apollo Creed. Perderà ai punti, ma come uomo vincerà… la storia la conoscete tutti e m’imbarazza dover sottolineare che il suo Rocky, visto l’incredibile successo e gli Oscar vinti, inaugurerà una saga storica che, piaccia o meno, è entrata sin da subito nell’immaginario collettivo, definendo quasi un genere e un’epoca.

Il successo del primo Rocky, inevitabilmente, induce Stallone stesso e i produttori a girare dei seguiti. Il primo e il secondo vengono diretti dallo stesso Sly e, se non trascendentali e perfetti come il capostipite, si possono dire tutto sommato riusciti, almeno a livello emozionale, tralasciando la ripetitività delle trame e gli inesorabili, quasi patetici lieti fini. Al che, avviene per molti cinefili e non solo, l’irreparabile. Perché, esaltato dagli incassi e dalla sua  stessa Stallone-mania, Sylvester gira il quarto capitolo, appunto considerato il film più brutto della serie. Ma era comprensibile che si arrivasse al parossismo del personaggio. Trama scarna, quasi inesistente, snodi narrativi banalissimi e mediocrità imbarazzante secondo prevedibilissimo “copione”, eh eh, insomma… ribadiamolp, per chi non l’avesse visto o per chi non è dotato di buona memoria. Un gigantesco atleta russo, che risponde al nome tonitruante di Ivan Drago, uccide Apollo Creed in un’esibizione pugilistica, dunque Rocky, arrabbiato come non mai, si vendicherà “sportivamente”, battendolo in sua terra natia, la temibile Ex Unione Sovietica, sotto gli occhi addirittura di Gorbaciov in persona o, meglio, il suo “fac-simile”.

Il primo livello di lettura è cinematograficamente il più semplice. Per chi mastica l’ABC della Settima Arte (e questo film credo non si possa annoverare in questa nomea pregiata), è un film stupido a livelli infimi. Come disse qualcuno, un rito mercantile dell’istintività di massa, un pretesto per il titanismo più sciocco, in ciò la sua volgarità, lo sfoggio trionfalistico di due macchine da guerra, un’iperbole dal cattivo gusto. Inutile aggiungere altro.

Insomma, per chi abbia superato le ingenuità manichee dei film buono vs cattivo che non danno niente a livello prettamente cinematografico, un film inguardabile.

Però è piaciuto un sacco. Scopriamo, o tentiamo di scoprire, perché. Prima di tutto, naturalmente, perché come detto, più che un film, è un monumento alla fisicità stratosferica di Stallone che era all’apice del suo divismo e della sua ipertrofica, magnifica forza muscolare. Quindi, da questo punto di vista, è un totem intoccabile per i suoi fan. Stallone alla fine stravince e fa un discorso anche ecumenico con tanto di scroscianti, commossi applausi. Poi, nonostante il tema della vendetta, è infatti una sorta di revenge movie, è un’esplosione di retorica, buoni sentimenti ed elogio di Davide contro Golia. E questo allieta sempre i palati del grande pubblico.

Ma non va disprezzato. È infatti, a livello oserei dire politico, al di là dei machismi esaspera(n)ti, sbandierati ai quattro venti, anzi, a bandiera stelle e strisce, un film addirittura importante. Perché è l’esemplificazione dell’edonismo reaganiano e, assieme a Top Gun il ritratto esemplare dei confusi anni ottanta in cui imperava la Guerra Fredda. Non per niente, visti come venivano dipinti i russi, cattivissimi e idioti, in Russia ne fu proibita la visione per molto tempo.

E, comunque, se si abbandonano con sfacciataggine le ambizioni da critici sussiegosi e da spettatori esigenti, è un film che intrattiene come non mai. Tutti sappiamo come andrà a finire, ma non vediamo l’ora di ammirare due corpi perfetti che se le danno di santa ragione, spaccandosi carne e ossa, con tanto di mascelle slogate, sangue a fiotti e costole rotte, massacrate.

Insomma, se lo si prende per un film che possa “divertirci”, è decisamente accettabile e alla fin fine godibile.

Ma noi rimaniamo dell’idea che il primo, ovvio, sia insuperabile, di un altro livello e che Stallone abbia firmato un grande, nostalgico film anche col suo Rocky Balboa del 2006, prima di Creed e spinoff vari.

A proposito… Drago tornerà e sarà ancora vendetta, parola di Stallone!

di Stefano Falotico

 

La mia psiche da Comedian, ritratto di un uomo da farsi, che molto non si dà da fare e non molte se ne fa, facendosela, può darsi, dai dai, spinge!

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Sì, siamo esseri bizzarri, colorati, talvolta opachi, menestrelli di questa commedia umana che è la vita. Vita che si prospetta, quando piccoli succhiamo il latte, come materna, pronta ad accoglierci nel suo grembo per instillarci fiducia nella “succhiata”, nella poppata, nella pappa, si spero nella “(s)pompata”, orgogliosi del nostro uccellino. Molti, crescendo, rimangono afflitti dal complesso di Edipo, altri diventano pedofili. Lo sa bene il Papa, che non scopa mai, almeno così ci dicono (e sul dubbio vi lascio riflettere…), ma ammonisce la Chiesa, chiedendole di estirpare i preti pedofili. A mio avviso, nonostante le mie “cadute” nell’infantilismo più be(l)ato, non capisco perché il Papa non generalizzi la “scomunica” anche a tutta la pedofilia, abominio della nostra “bella” società. Sì, un problema di comunicazione. Alcuni, dopo gli studi liceali, si laureano in questa Scienza, delle Comunicazioni. E non capisco il motivo che l’induca a voler esternarsi come uomini “comunicanti”. Da che scimmia e scimmia, l’uomo ha sempre meglio comunicato con uno sguardo, un’alzata sopraccigliare e piccole allusioni gestuali piuttosto che con la verbosità didattica, pedagogica e demagogica delle parole. Lo sapeva bene Marlon Brando, che recitava in silenzio, con gutturali grugniti che lo resero Il Padrino della recitazione. I grandi attori, nella vita, non han bisogno di esprimersi dietro “preamboli”, monologhi ed esagitazioni dell’ego “parlato”. Tanto la gente sparla lo stesso. Eh sì. Oggi, ad esempio, rincasavo dopo essere andato al bar a bermi il caffè consueto. Due donne del mio condominio, incrociandomi all’entrata, risero platealmente di me, perché credo siano rimaste esterrefatte, in sen(s)o ridicolo, dalla mia sacrosanta goffaggine. Sì, quando (non) voglio, sono l’emblema fisico, non fica/o, non ficcante, della stupidaggine, l’incarnazione della stronzata. Un tempo me ne dolevo, adesso accetto il mio Pippo continuando a farmi le “pippe”. Sì, cari pupi, continuate nelle pratiche masturbatorie, soprattutto del cervello. Elaborate teorie, inventatevi strategie per sopravvivere al carnaio macellante che è l’esistenza. Esistenza che ci porta a essere tristi come dei clown, perché la meschina realtà ci sciupa, ci logora, ci usura, e “arrugginiamo” non più ruggenti nel cammino decadente dei nostri sogni perduti, prendendo tutto a ridere per non piangere. No, non scambiatemi per logorroico, sebbene parli di logoramenti, e neppure per malinconico. Sì, la mia apparenza tradisce il mio aspetto interiore. Dall’esterno, a proposito di esternazioni, devo ammettere che appaio come un buco nero, lontano dai femminili “buchini”, un bruco insomma senza le “farfalline”, e io spesso blocco la mia spontaneità e gli altri, percependo questo “blocco”, mi mettono in bocca le parole più sb(l)occate che vogliono, a uso e consumo di come desiderano, anche “desinano”, dipingermi. Sì, visto che io non so “vestirmi” di una maschera sociale, la superficialità del prossimo, non mio, mi affibbia le patenti che più lo aggradano e che io meno gradisco. Sono un mistero perfino per me stesso, un concentrato di contraddizioni, un preservativo (non) vivente del piacere, un addolorato di Immacolata Concezione, e trovo sempre l’Harvey Keitel di turno che vorrebbe che io mi “enunciassi” e facessi il personaggio. Ma non sono una cosa. In cuor mio, in maniera forse inconscia e sicuramente di “coscia”, so che la vita è un cazzo(ne) in culo. Mi prendono per uomo volgare, ma son solo un commediante. Sì, la vita non è nascondersi dietro una menzione, dietro una cagata e anche una “minzione”, non è semplice allattamento, è quasi sempre poco allettamento. Anche se garantisco che nel mio (di)letto tante potrei allattare. Ah ah, no, volevo dire allietare.

Vi ripropongo questa clip che esemplifica al meglio quanto (non) detto. Fottetevela! Mi provocano e io sono un provocatore. Anche se quella lì è più provocante…

 

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di Stefano Falotico

 

 

 

The Irishman di Scorsese, le prime immagini di De Niro dal set

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Ebbene, tutto secondo i piani. Dopo anni di “congetture”, rimandi, lunedì scorso, a New York, sono finalmente iniziate le riprese di The Irishman di Martin Scorsese. Anni infiniti di gestazione per i primi ciak di un progetto mastodontico di cui si parla fin dal 2008, quando fu data la notizia che Scorsese e De Niro avrebbero nuovamente congiunto le forze per l’adattamento del romanzo di Charles Brandt, I Heard You Paint Houses (Ho sentito che dipingi case…). Il film, come oramai quasi tutti sanno, dopo la dipartita della Paramount Pictures, che all’ultimo momento si è ritirata per il budget troppo esoso, sarà finanziato e distribuito da Netflix, e narra la storia del criminale della malavita Frank Sheeran, un reduce della Seconda Guerra Mondiale, che era ammanicato con la mafia e, a detta dell’autore del libro, fu coinvolto in prima persona nell’omicidio di Jimmy Hoffa. A vestire i panni di Sheeran, appunto De Niro, che ritorna in coppia con Scorsese a più di vent’anni di distanza dal magnifico Casinò del 1995. Daily Mail è riuscito, in esclusiva, ad “aggiudicarsi” le primissime foto dal set, che ritraggono De Niro in scena. Possente, con nerissimi occhiali e scarpe decisamente col tacco, giusto per sembrare Sheeran, che era molto più alto di De Niro, quasi un metro e novanta. Insomma, ci siamo. E noi cinefili non possiamo che essere entusiasti.

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Wonder Wheel, il poster e le prime immagini ufficiali del nuovo film di Woody Allen

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Ebbene, oramai ci siamo, in attesa del trailer, che dovrebbe essere finalmente diffuso nelle prossime ore, sono state diramate le prime immagini ufficiali e ci è stato mostrato il primo, bellissimo poster, o locandina, se amate questo termine oggi piuttosto desueto e invece, soprattutto in questo caso, molto pertinente. Cioè quel suggestivo stampato di forma pubblicitaria che serve a promuovere, attraverso lo strumento grafico, quello che è un prodotto, anche artistico, definizione ancor più inerente e precisa se è un film di Woody Allen, maestro indiscusso dell’eleganza, della ricerca stilistica, dell’immediata riconoscibilità e della sobria raffinatezza.

Un “manifesto” davvero incantevole, che ritrae la protagonista, una stupenda Kate Winslet, sdraiata sul letto in posa trasognante, mentre dalla finestra, sullo sfondo, risalta la celeberrima giostra di Coney Island. Ancora al centro della storia dunque New York, anche se periferica, e immersa in un’atmosfera crepuscolare, autunnale, lontana dai fasti lussuosi della nevrotica Manhattan. Ma, a leggere la sinossi, è incontrovertibilmente, possiamo asserirlo con orgoglio, un film di Woody Allen, come potrebbe essere altrimenti?

WONDER WHEEL racconta la storia di quattro personaggi le cui vite si intrecciano nel caos del parco divertimenti di Coney Island negli anni Cinquanta. Ginny (Kate Winslet), è una ex attrice emozionalmente volatile che adesso lavora come cameriera in un ristorante di pesce. Humpty (Jim Belushi), è il marito di Ginny, un rude giostraio. Mickey (Justin Timberlake) è un giovane bagnino di bell’aspetto che sogna di diventare un drammaturgo. Carolina (Juno Temple) è la figlia di Humpty e si sta nascondendo da alcuni gangster nell’appartamento del padre. Alla fotografia c’è Vittorio Storaro, che cattura una storia di passione, violenza e tradimento, sullo sfondo la tela pittoresca della Coney Island degli anni Cinquanta.

 

Il film sarà presentato in anteprima mondiale al New York Film Festival ed è atteso nelle sale il primo Dicembre.

Come per tutte le opere di Woody Allen, c’è grande attesa, e la pellicola uscirà proprio nel periodo più importante, la fine dell’anno, per poter entrare nella corsa agli Oscar.

A comporre il ricco ed eterogeneo cast, oltre alla già citata Winslet, il ritrovato Jim Belushi, Justin Timberlake e Juno Temple.Wonder-Wheel-James-Belushi Wonder-Wheel-Juno-Temple Wonder-Wheel-Juno-Temple-2018 Wonder-Wheel-Justin-Timberlake Wonder-Wheel-Kate-Winslet Wonder-Wheel-Kate-Winslet-2018

di Stefano Falotico

 

David Lynch è un tagliaerbe

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Non mi riferisco al mediocrissimo film di Brett Leonard con Pierce Brosnan, ma al racconto di Stephen King a cui il film citato è vagamente ispirato.

Vi ricorderete, comunque… L’apertura della coscienza, sino allo sconfinamento nella realtà virtuale. Nel superamento dei propri limiti “umani”.

Ecco, cosa c’entra Lynch? La serie capolavoro Twin Peaksrevival” è stata un disastro a livello commerciale, con ascolti bassissimi che peraltro sono scesi di puntata in puntata, ma chi ama il Cinema, perché Cinema più alto e anche oltre è, non può che esserne rimasto incantato, meravigliato e imprigionato. E, soprattutto, nello scorrere inesausto, fluido, magmatico ed ermetico di queste soavi immagini ipnotizzanti, credo che, come è capitato al sottoscritto, ne sia rimasto profondamente turbato in senso ascendente di un risveglio emozionale, di nuove aperture mentali scardinate dal maestro, che non per niente ha disseminato la sua opera capitale di simbolismi, barocchismi anche talvolta esagerati, nella ricerca, penso proprio, di squartare l’animo dello spettatore più sensibile, colui che può averne carpito l’assoluta bellezza e fascino estremo, nell’indurlo nelle sue viscere a riprendere coscienza, ad alleviarsi dal male quotidiano che affligge l’uomo medio, malato di “fighettismo”, di burocratica adempienza noiosa alla frivolezza merceologica, immerso senza fondo nelle sue bassezze, nelle sue dozzinali invidie giornaliere, nella sua esistenza piatta fatta di burle, sciocchezze, ambizioni sfrenate, ammorbato dalla sua visione utilitaristica, carnale, sessualmente avvinghiata alla più meschina e mentitrice apparenza.

Con Lynch abbiamo viaggiato alla ricerca della nostra purezza abissale, e il viaggio appunto di Cooper, del finale, per accompagnare Laura Palmer verso ancora l’incubo interminabile, è esemplificativo di tutto ciò.

di Stefano Falotico

 

Superman era ed è un esistenzialista e forse io sono Batman

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Titolo alquanto ironico, essendo l’ironia un dono delle persone malinconiche come me, che poi si aprono a slanci insospettati di vitalità, lasciando “sguazzare” il mantello nell’aria nobile della lor decadenza. Ah ah. Sì, credo che mai mi sposerò ma nel vacillar cheto e frastagliato del mio esser celibe, possibilmente “cieco”, ballo pensieroso in questo mondo penoso.

Una riflessione seria, anche troppo. Rimedito ai miei passati, trascorsi fra beata fanciullezza e lontano dai romanticismi dozzinali che tanto “prendevano” i miei coetanei, oggi “rappresi” in vite agganciate a fiere certezze. Io son sempre stato lontano dalle certezze, nella perenne, persino estenuante ricerca di centri logici, di basi gravitazionali, ho sempre fatto ruotare il mio destino. Che, in quanto continua-mente in divenire, come dev’essere, lascio che sia sospeso oggi nell’incredulità e domani nel vagar lunatico fra incognite baluginanti nel buio di schiarite risposte che mi appaiono saltellanti nell’oscurità insistita, forse (in)esistente, del nero e poi solare, ancor sol(id)o domani. Evviva il pessimismo fatale dell’uomo non ovattato. Son ancora diffidente rispetto ai giudizi facili, emessi spesso per far sentire, le persone che li pronunciano, stabili nella comodità di affibbiar al prossimo un’etichetta che possa tranquillizzare le lor coscienze, persone spesso colpevoli di arroganza, di manicheismo (ba)lordo, di presunzione figlia di anime vanagloriose, sospettose, appunto, che, illudendosi di poter ascrivere il prossimo in qualche “reparto”, fingono di esser contente/i della lor (r)esistenza. Impudicamente, con enorme coraggio, io mi son sempre esposto, in questa macellazione che è la vita occidentale coi suoi plebiscitari giudizi e le sue sentenze volgarmente superficiali. Impaurita com’è la massa da persone come me che non finiscono d’interrogarsi, esplorano il proprio cuore e lo denudano con schietta baldanza che non teme di nascondere persino i suoi sba(di)gli. Peccate, amici, sbagliate, gli errori son sempre meglio dell’orrore di chi ha smesso di domandarsi alcunché e vive di maschere. Si stanno putrefacendo. Molta gente n’è ossessionata, dalle maschere, per questo si cela dietro lavori “autoritari” o “importanti”, credendo che lo status symbol sia un riconoscimento al loro valore. Accumulando gradini nella scala gerarchica, tali persone pensano di aver sistemato le loro paure, le loro timidezze, di non aver più alcuna preoccupazione. E in questo “dolce” far “tutto” vivono solo, secondo me, più incoscienti di quando erano dei teenager stupidi. Anziché crescere davvero, hanno sostituito alla crescita dell’anima quella del conto in banca. E, in questo lor ripugnante trastullarsi (in)felice, ridono con mortifera alterigia, con quella burbanza che a me tanto spaventa e repelle. Aborro il lor aver fatto abortire il (dis)piacere della disperazione, della ricerca della vera felicità, che non si acquista con uno stipendio danaroso né con le chiacchiere vane(sie), ma si conquista anche patendo, soffrendo, lottando, esperendo dalle cadute, dai tonfi. Sì, i tonfi ci fan trionfare, non i trionfi, cari uomini tronfi. Allorché mi chiedo chi sono. Io e loro con l’oro… E scopro, con grande orgoglio, che in mezzo a tanta pusillanimità e ipocrisia ciarliera, brava solo a dispensar consigli banali, a non guardar il prossimo nelle sue interezze emozionali, che sono complesse e richiedono sacrificio, i miei malesseri son stati proprio l’avamposto dello scoprirmi superiore. Lo affermo con estremo “puntiglio”, perché ho trasceso gli schemi, le certezze appunto giudicanti l’altro “diverso” da noi, son stato esigente, e continuo a esserlo, nel mio chiedermi sempre un perché, nel mio non fermarmi al chi sono ma al chi potrei essere. Perseverando nei dolori delle mie notti insonni, disdegnando la superbia di chi pensa già di conoscerti e delle tue “debolezze” ride, di chi non vive ma di surrogati pensa di vivere, raccattando e mendicando approvazione facile, cercando consolazioni figlie della più bieca vigliaccheria dell’animo. Che dev’essere strano, unico, prezioso, invece.

di Stefano Falotico

BATMAN RETURNS, Michael Keaton, 1992

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