Colpo di (s)cena (in)aspettato, De Niro con The Comedian si “candida” agli Oscar
Con una mossa del tutto (im)prevista, come dico io, la Sony Pictures ha acquisito i diritti di The Comedian di Taylor Hackford e, senza pensarci due volte, sta accelerando sensibilmente le operazioni per “posizionare” il suo interprete, il magnifico Robert De Niro, alla candidatura come Miglior Attore già per gli Oscar di quest’anno. Un colpo straordinario, che ha spiazzato tutti. Quando i giochi, essendo a Ottobre, sembravan già “decretati”, con Denzel Washington di Fences dato per favoritissimo dai bookmakers, ecco spuntare il nome del grande Bob che rimescola le carte all’ultimo minuto.
Gli screenings della pellicola, tenutisi gli scorsi giorni, son infatti stati favorevolissimi e chi ha visto il film in anteprima dichiara appunto che la performance del mitico Robert sia proprio papabile di statuetta. Questo deve aver indotto la Sony Pictures a investire sulla pellicola e a muovere passi da gigante in previsione delle nominations.
A riportare la “notizia” è l’eminente Deadline, che si sofferma su The Comedian, anch’essa già incensandolo di lodi.
Come sappiamo, almeno i ben informati sanno, il film racconta la storia di un “vecchio” comico alla Don Rickles (di cui De Niro è estremo fan e col quale ha lavorato in Casinò) che viene “condannato” ai lavori socialmente utili per aver preso a microfonate lo spettatore di un suo show. Durante questa “cura” riabilitativa, incontrerà Harmony (Leslie Mann), una rossa fuoco sulla quarantina, che lo spronerà a ritornare in pista, a donargli una seconda, sfavillante giovinezza e a rifargli vedere la luce del suo animo che si stava appannano e oscurando.
Il cast è delle grandi occasioni. Robert recita infatti al fianco dell’amico Harvey Keitel, e per la prima volta nella sua carriera “duetta” con Danny DeVito. A questi si aggiungono i veterani “caratteristi” Patti LuPone ed Edie Falco.
Prima che la regia passasse nelle mani di Hackford (Ufficiale e gentiluomo, L’avvocato del diavolo,L’ultima eclissi), il progetto doveva essere diretto all’inizio da Sean Penn che poi lasciò a Mike Newell che, a sua volta, per divergenze con le tempistiche, “abbandonò” appunto ad Hackford.
Ora, resta solo da sapere l’esatta data in cui il film uscirà. Per Dicembre sicuramente, ma il giorno ancora non si sa.
Come si suol dire, good luck Bobby!
di Stefano Falotico
Westworld
Comincia a cavalcare l’onda di Sky Atlantic questa futuristica, bizzarra serie televisiva “programmata” nell’etere delle fantasie. Fantasie ribelli di personaggi irreali nella robotica di un creatore alla Truman Show, demiurgo filosofo che ha combinato degli errori di fabbricazione. Ove la macchina, umanizzata nei sentimenti, recalcitrante alle direttive, con “cocciuta” volontà altera il divertimento e semina morte e panico. Paesaggi incantevoli scanditi nella Monument Valley delle anime di “cristallo”, creature davinciane plasmate nella plastica di neuroni “host” dai microchip adesso sputanti rabbia ed emergenti di coscienza restaurata, antica memoria di hard disk antropocentrici. Stupisce la prima puntata proprio per l’impianto televisivo, anti-emozionale, raffreddato in un’estetica ancora work in progress. Molta carne al fuoco, molto “latte”, molto sangue, infetto giudizio dopo quest’esperienza trasfigurante. Forse un’esagerazione poco viva, molto vitrea. Staremo a vedere.
Chi sono gli artisti? Sono me(nte), poiché lo fui, lo sarò, lo nacqui e ne giacerò
Artista. Parola ingombrante per chi lo è perché, spesso frainteso e incompreso, nella vastità del suo creare, verrà assediato da uomini modesti che vorranno ovattarlo nella lor modestia, volendolo “allattare” al mendace adattamento di massa e sacrificando, “or dunque”, l’intrepida sua voglia fantasiosa di essere alt(e)ro.
Posso dichiarare, birbante e in modo acceso, che “dinamitardo”, in mio mo(n)do dinamico io sono l’incarnazione di colui che, facendosi artista, oramai s’è distaccato da una realtà assoggettata a me(ge)ri (dis)valori negri ove l’uomo si fa lavoro puttanesco e rinnega, per “campare”, la sua indole primigenia fatta di sogni. Io sogno e in quanto sognatore sono. Artista.
Chi ha letto i miei libri sa che li ho trasportati in una realtà più grande delle lor (r)esistenze. E, iniettandosi del Ver(b)o delle mie parole, come “avvelenata” prole, nel seme della mia foll(i)a hanno scoperto il Sutter Cane che in me vive, anzi vige. Non sono un Duce ma all’Arte tutta induco. Non lavoro per induzioni, ma per intuizioni. Sto in un bar e osservo la gente ciarliera che di chiacchiere innesta idee nel mio cer(vell)o. E imprigiono l’attimo nella creatività che si fa mente lavoratrice per al(a)ti pensieri. Pensieroso, rincaso e digito i neuroni creatisi così artistici nel divenire tastiera ergonomica al mio genio. E volano, rimbalzano, saltellano, giochicchiano fra colorate od opache visioni aperte al trecentosessanta gradi della mia infinità.
Poi, osservo De Niro nella pubblicità brasiliana del Seara Gourmet, e rimango perplesso, meditando sulle sue rughe sdilinquite in un fisico di pinguedine pura come la sua panza nel “rimestar” fra prosciuttifici e occhio volpino che sa come vendere la sua recitazione per un’arte che va a puttane.
Nacqui Arte fattasi carne metafisica e morirò celebrato come maledetto non per quel che dissi, ma per quel che ho detto e fatto. Sognai di essere scrittore e lo divenni. Sempre sia lodato.
di Stefano Falotico
Heat, al calor “latino” di Michael Mann, De Niro e Pacino discutono con Chris Nolan
Ebbene, con legittimo ritardo, essendo stato preso d’altri impegni e anche della mente imperi, io lynchiano che giusta-mente “deliro” in De Niro, questa magnifica pellicola col Bob decanto ancora, collegandomi al sito degli Oscar e mostrandovi, se non l’avete già viste, tali clip storiche di una rimpatriata doverosa, a “felicitazioni” che Heat, appunto, abbia superbamente compiuto vent’anni così ben “restored”.
Un capolavoro all’inizio, al momento della sua uscita, da molti critici non perfettamente capito, che è cresciuto con gli anni. Io, essendo sempre stato molto oltre(tombale), lo capii benissimo, per la dinamica esplosiva delle sue inquadrature radenti, per la “schiettezza” del suo sfrenato romanticismo malinconico, per gli epici scontri e la duellante sfida che lo impregna di atmosfere languide, “ossigenate” nei colori “acrilici” di notti solitari e messe “a fuoco”, zoomanti negli occhi nevrotici di Pacino e iscritti nel suo “simmetrico”-antitetico De Niro samurai, già ronin…
di Stefano Falotico
I geni sono tutti malinconici e anche “malconci”, Manchester By the Sea
Posso asserirlo con orgoglio sesquipedale e savoir–faire della mia anima integra e non ancora corrotta dalle iniquità bestiali di quest’animalesca massa sociale. Sono un genio, e come tale “erro” e mi elevo quel tanto da sprofondare in basso, ove le scogliere di Dover scivolano nel Christopher Nolan più Inception della mia fatiscenza risorgimentale. Perché sogno, e sognando trascendo così tanto da scendere appunto ove al comune mor(t)ale non è concesso “cadere”. Questo si chiama splendido decadimento. Non ced(iment)o e le mie ansie sempre più cemento, alla faccia di chi mi apostrofa (con far) demente.
Sì, la gente “normale”, non capendomi, mi tratta da perfetto idiota. All’inizio, vuoi anche compagnie ridanciane di mortifera “tranquillità” borghese, che mi etichettavano come matto, ne soffrii e patii lo strazio poi della mia ribellione, finendo in (re)parti psichiatrici che, su di me, sulla mia dignità usurpata, abusarono “schiettamente” di patenti e diagnostiche follie, dettate dalla presunzione di “referti” superficiali, non indaganti la profondità abissale del mio essere così spericolato nell’esplorazione viv(id)a della mia anima. Sì, oggi questa diversità non mi fa penare ma sempre più, godendone, in grande pensare.
Pochi “pazzi” come me han partorito, appunto, libri di sobria e raffinata levità, sprigionanti il gusto sincero, quasi bukowskiano, della via vera, delle emozioni, che io comprendo alla radice e le sviscero mai estirpandone la purezza, pochi pazzi come me posson vantarsi di essere fra i letterati e i pen(s)atori più prolifici sulla faccia della Terra. Così, immagino l’Inghilterra e poi l’Irlanda dublinese, interrogandomi sulla “povertà” degli operai e sulla pia vi(s)ta cas(t)a delle rive più marine, e continuo, non “lavorando”, a marinare questi “laureati” che si (s)freg(i)ano con “referenze” che dovrebbero, suppongono loro, renderli migliori di me. Io li getterei in pasto agli squali, qual sono, negli oceani più vasti della mia superiorità, che non ha bisogno, eppur sogna, di pezzi di carta, buoni solo a mio (av)viso per pulirsi il culo e leccare soldi facili sopraffacendo il prossimo coi ricatti del pensarsi meglio di lui. Molta gente, che pescioloni, a questi trucchetti abbocca. Meglio boccheggiare come me, uomo che non ha bisogno di tali becchi(ni) per vivere la sua fan(tasia). Ah, quelli in verità esigono, ed “erigono”, solo bocchini. Sboccati. Meglio i miei scritti alle volte boccacceschi, emananti il pudore non carnale della (meta)fi(si)ca linda come la pesca liscia delle sere di maggio quando, sbocciando, si mette nelle boccucce, morbidamente digerendola… questa vita di mer(da).
di Stefano Falotico
Cast & Crew Give An Oral History Of Michael Mann’s ‘Heat’ At Academy 4K Screening
Sorry, conspiracy theorists: Al Pacino and Robert De Niro actually did act opposite one another in their iconic diner conversation scene in Michael Mann’s 1995 magnum opus Heat.
That’s been confirmed many times over the years of course. But thanks to the fact that in the film’s final cut, all their scenes are composed of interspersed close up shots, a curious urban legend has persisted holding that the two never actually met on set. Tonight however, during a special screening of Heat‘s new 4K remaster at the Samuel Goldwyn Theatre followed by an entertaining Q&A with Pacino, De Niro, and Mann themselves, once again the record was set straight about the duo’s interactions in the classic film. Make a note, skeptics, that a photo of them sitting together hung for years on the wall of Kate Mantilini in Beverly Hills where the scene was shot.
Moderated by Intersteller and The Dark Knight trilogy director Christopher Nolan (who himself made several nods to Heat in the opening sequence of 2008’s The Dark Knight), the discussion was joined later co-stars Amy Brenneman, Val Kilmer, Diane Venora, and Mykelti Williamson, along with producers Art Linson and Peter Jan Brugge, editor William Goldenberg, sound mixer Andy Nelson, and cinematographer Dante Spinotti.
Now, if you’ve been on IMDB, watched the home video special edition or caught the stray interview with Pacino, De Niro, or Mann, chances are you’ve already heard most of what was discussed tonight. But who cares, because for the first time in two decades, the three shared a stage to talk about the beloved film, shed some light on how it was made, and laugh together about the experience. The packed theater – beforehand, bent around a nearby parking lot, there was a long line of people hoping to get in – laughed right along with them. When, that is, they weren’t breaking out into spontaneous applause and more than one standing ovation for the film and its cast and crew.
Among the highlights: in explaining his famously over-the-top performance as LAPD Lt. Vincent Hanna, Pacino confirmed something long known to those familiar the original script, that the character is a drug addict who “chips cocaine”. That detail was left out of the shoot but Pacino kept it in mind while performing as a way to explain his mannerisms and outbursts. “Just so you know,” he said tonight, “where some of the behavior comes from.”
Mann also recounted his inspiration for the film, the real life experiences of his friend, Chicago police detective Charlie Adamson, who in 1963 ended up killing criminal Neal McCauley (for whom De Niro’s character was named). McCauley and Adamson actually met before their later fatal encounter, having dinner together with a conversation that was reportedly very similar to the one Pacino and De Niro have in the famous scene. As Mann put it, “they had the kind of intimacy only strangers can have,” and just as easily were torn apart.
Also under discussion, the detailed backstories Mann devised for all of his characters – “Michael is the king of backstory” said Williamson tonight – as well as the intense work that went into creating the film’s intense realism. For instance, to prepare for the film’s climactic bank heist, De Niro and co-stars Val Kimer and Tom Sizemore cased a bank in Century City (with, it was made clear, permission of bank security), then were made to recount from memory the layout once they left.
Williamson told a story tonight I’d personally never heard before. It seems that when he was asked to meet with Mann and Pacino about taking the part of LAPD detective Drucker, he was told straight up by Pacino that “you got robbed” for not receiving an Oscar nomination for his work the year before in Forest Gump and that the snub was part of why they wanted him for the role.
As for the small number of scenes shared by the film’s two stars, Mann explained how the two playing off one another increased the subtlety of their performances. “If Bob is shifting his weight,” Mann said, “Al is doing something to counter,” almost, he explained, as if afraid De Niro might go for a gun. The diner scene in particular was also fairly raw, done at De Niro’s suggestion without any rehearsal before they set about filming it.
The Goldwyn Theater might not be the best equipped to demonstrate the full beauty of a 4K presentation, but the new print looked fantastic, with eye popping detail that shines a bright light on the work of cinematographer Spinotti. A particular stand out is how the new print makes clear some of the technical achievements Mann and Spinotti employed to make the city of Los Angeles itself as much a character as the actors moving inside it. “L.A. is a weigh station on the way to somewhere else,” said Mann tonight about the way the city looks throughout Heat. One way that was achieved was to combine then-new computer effects to heighten the city’s iconic cityscape.
For example, in the scene in which De Niro’s McCauley and Brenneman’s Eady talk on a balcony overlooking Sunset plaza, Spinotti explained how the L.A. landscape seen in the shot was filmed on a very low framerate to increase exposure. Meanwhile, De Niro and Brenneman were filmed on location in front of a green screen blocking the actual view, which was added to the background of the shot in post. It’s unnoticeable in previous home video releases but in the new print, it makes L.A.’s nighttime view look like a surreal dream, or perhaps a nightmare. It adds to the sense, as it was said more than once tonight, of how all the film’s characters are in their own way imprisoned in Los Angeles.
Release from Fox Home Video is set for some time in 2017 (no word on whether there will be a theatrical re-release), which is to say audiences will have to wait a bit longer to judge for themselves how it looks. But if the reaction from the crowd tonight is any indication, it will be worth that wait.