A Beautiful Mind, la perfezione nel Cinema non esiste, e neanche nella vi(s)ta

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Oggi, ho riguardato, per una mezz’oretta abbondante, questo “celebrato” film di Ron Howard, che ripassava su Sky in “prima fila” di HD. E molte domande mi sovvennero, torturandomi le meningi alla ricerca d’una spiegazione. A distanza di circa un ventennio, forse meno, appare così datata questa pellicola, retrò, profondamente hollywoodiana, enfatica oltre ogni modo, “spettacolarizzata” di retorica nella musica di James Horner. E Russell Crowe appare sempre invece troppo vecchio per la parte, almeno quando interpreta uno studente universitario, manierato, pieno di tic risibili da “schizofrenico” marcio che cammina con la sordina e si “squadra” in atteggiamenti alla Forrest Gump, occhieggiando poi “malevolo” e furbetto quando c’è da bere o quando, maldestro, corteggia fallace le ragazze.

Eppure era in cerca di un’idea originale, non solo Nash, ma Howard, che sperava d’incassare Oscar e ritirare statuette dorate simile a un Nobel.

Tutto fuori moda, sorpassato da un Cinema, vivaddio, meno convenzionale, più realista, meno romanzato, meno cadenzato dai difetti-“pregi” della grancassa “prestigiosa” di un film appunto da Zio.

E mi son domandato, così come Nash, se nel mondo esista la perfezione. No, la si anela, ma non c’è. E chi si sveglia verrà deriso come Nash e trattato da matto, così come son matti gli scacchi che subisce nonostante i suoi calibrati, studiatissimi, (s)composti calcoli mentali.

Si viene annientati dalla durezza oppressiva, invasiva, persistente della società, che non fa sconti e se ne frega del tuo passato. In fondo, per gli “amici”, quel che conta è che tu offra una faccia rassicurante, da bonaccione “senza problemi”, che tu sia sempre a modo di “brillantezza” e scaltra intraprendenza, che tu sia sulla notizia che fa cool, che non ti tiri mai indietro e alle tue strane idee non dia tanto peso, perché le idee “geniali” son già sintomatiche d’un (dis)agio se non si realizzeranno.

Son rincasato, palazzo deserto e un uccello che voleva da mangiare. Gli ho offerto un caffè. Abbiamo bevuto osservando il già precoce tramontare di noi nel Sole delle quattro di pomeriggio, alto, basso come le nostre teste di cazzo che volano per terra, atterrite dagli attentati, dal terrorismo psicologico, da un mondo che esalta i “vincenti” e distrugge la tua purezza lattea come una sc(r)emata ambizione che deve ammettere di non farsela. Non so se la Connelly, di mio rimango un cono… gelato. Con scaglie di cioccolato nei momenti di dolcezza e una vita poco da Mulino Bianco. Con buona pace dei “buongiorno” del “machoBanderas, ridottosi a parlar con le galline. No, qui mi sbaglio. Da gatta da pelare, la Griffith è oggi una che fa buon brodo.

Ho detto tutto…

 

 

di Stefano Falotico

 

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