Dolemite Is My Name, recensione
Oggi recensiamo un film targato Netflix, ovvero Dolemite Is My Name con Eddie Murphy, uscito da pochissimo su tale piattaforma di streaming, la più famosa e utilizzata al mondo.
Dolemite Is My Name è un film davvero meritevole passato, ahinoi, un po’ ingiustamente sotto silenzio qui in Italia. Ove, sinceramente, se n’è ancora sentito parlare poco. A torto poiché, ribadiamo, Dolemite Is My Name, diretto dal valente Craig Brewer (Footloose) e scritto da Scott Alexander e Larry Karaszewski, coppia di mirabili sceneggiatori già al servizio di notevoli, pregevoli opere del compianto Milos Forman (Man on the Moon) e di Tim Burton (Ed Wood), è un film assai divertente oltre che, sotto molteplici aspetti, fortemente rilevante.
In primis, il suo merito maggiore è quello di aver permesso al grande Eddie Murphy, dopo tanti anni di oblio recitativo e di prove alimentari in film non degni della sua carismatica caratura da insuperabile attore brillante, di tornare ai suoi livelli più altamente qualitativi ed esilaranti.
Murphy, infatti, dopo essersi sprecato in tanti filmetti di quart’ordine negli ultimi anni, non azzeccandone praticamente nessuna, come si suol dire, qui è in stato di grazia e ritrova la verve dei suoi tempi migliori, rispolverando e tirando fuori dal suo cilindro (ed è il caso di dirlo, dato che il personaggio da lui interpretato lo indossa, eh eh) e dalla sua manica o, per meglio dire, dal suo manico attoriale, un gran bell’asso sfolgorante.
Permetteteci questo gioco di parole metaforico come se ci trovassimo dinanzi al suo jolly rubamazzo d’una scaltra partita a poker.
Sì, perché il personaggio incarnato da Murphy, così come v’esplicheremo nelle righe seguenti, potremmo perfino accomunarlo, di raffronti, parallelismi e similitudini meta-cinematografiche, nientepopodimeno che ad Arthur Fleck/Joaquin Phoenix di Joker nella sua versione possibilmente, antiteticamente vincente.
Cioè se Fleck, dinanzi al tavolo da gioco della vita, perse disgraziatamente tutto, impazzendo e adirandosi oltremisura a mo’ di reazione esplosiva nei riguardi di una sua intera esistenza che si rivelò enormemente sfortunata, il personaggio di Eddie Murphy, al contrario, in forma similmente speculare ma contrapposta, fortunosamente a lui più favorevole e di successo, dopo tante sventure e sciagurate vicissitudini al limite dell’involontariamente ridicolo, riuscì miracolosamente a risalire la china e ad agguantare, potremmo dire, il suo Re per una notte.
Questa infatti è la trama di Dolemite Is My Name:
uno stand-up comedian senz’arte né parte, vale a dire il tragicomico, realmente esistito Rudy Ray Moore (Murphy), è il vicedirettore d’un modesto negozio di dischi.
Insoddisfatto del suo lavoro, sogna da sempre di sfondare nel mondo della musica e dell’intrattenimento da cabaret ma le sue incursioni in entrambi questi settori si sono rivelate puntualmente fallimentari.
Rudy però, malgrado le continue, umilianti delusioni infinite, non demorde e non vuole darsi assolutamente per vinto.
Assistito dalla buona sorte, per lui accade veramente l’imponderabile più straordinario. Durante una sera, incontra per caso in strada un barbone. Un pazzo delirante e un sobillatore mitomane che, per via della sua assurda follia, paradossalmente attira la sua curiosità.
Il clochard, farneticando a più non posso, racconta a Rudy di un fantomatico, da lui totalmente inventato personaggio fantasiosamente leggendario a cui ha appioppato il nome di Dolemite.
Rudy inizialmente prende, ovviamente, questa storia per un’allucinata scempiaggine partorita dalla mente alienata di un homeless alla deriva.
Riflettendovi però sopra, riciclando le mille storie surreali narrategli dal barbone, decide di dare vita proprio lui stesso al mitico Dolemite.
Riciclandosi come commediante d’avanspettacolo volgarissimo ma irresistibile.
Ottiene inaspettatamente un successo strepitoso. Tant’è che, di lì a poco, Rudy incide dei dischi e gira perfino un film talmente imbarazzante, un guilty pleasure così inguardabile, impresentabile e orribile da diventare addirittura un cult irrinunciabile.
Insomma, incredibile ma vero. Dolemite, il personaggio creato dalla fervida immaginazione di un poveraccio, è divenuto un character in carne e ossa, anzi, per meglio dire l’incarnazione sfavillante, senza macchia né paura, di tutti i sogni finalmente concretizzatisi di Rudy.
Dolemite Is My Name è un film bellissimo e imperdibile.
Omaggio alla blaxploitation e al Cinema trash ove a farla da padrone è un Murphy scatenato in forma splendente.
Per lui si parla di candidatura pressoché sicura ai Golden Globe.
Affiancato da un cast egualmente in palla in cui spicca un inedito e sorprendente Wesley Snipes, anche lui bravissimo, nell’ingrata parte di D’Urville Martin.
Un biopic coi fiocchi. Anzi, col papillon, eh eh.
Non esistono, in verità, ragioni oggettive per non guardare questo film.
È perfetto sotto ogni punto di vista e sa unire il divertimento più intelligente a dolenti riflessioni caustiche sul grottesco senso della vita.
L’unico motivo che potrebbe indurvi a desistere dal guardarlo è forse la durata.
Due ore infatti, per una semplice commedia, sono troppe.
Dolemite Is My Name, se fosse stato probabilmente sforbiciato di almeno quindici minuti, ne avrebbe giovato in snellezza e compattezza.
Ma anche nella sua completa, a volte dispersiva, frammentaria interezza, rimane un film di enorme brillantezza!
Con un Eddie Murphy di sicura, imbattibile destrezza.
di Stefano Falotico