Solo per vendetta di Roger Donaldson con Nicolas Cage, recensione

SEEKING JUSTICE, (aka JUSTICE, aka THE HUNGRY RABBIT), Nicolas Cage, 2011, ph: Alan Markfield/©Anchor Bay Films

SEEKING JUSTICE, (aka JUSTICE, aka THE HUNGRY RABBIT), Nicolas Cage, 2011, ph: Alan Markfield/©Anchor Bay Films

Vogliamo recensire per voi una pellicola passata piuttosto inosservata quando uscì, ovvero Solo per vendetta (Seeking Justice) di Roger Donaldson con Nicolas Cage, January Jones e Guy Pearce.

Realizzata con un budget veramente molto basso per gli standard hollywoodiani, cioè solamente 17 milioni di dollari, fallì totalmente al botteghino.

Gli spettatori, difatti, disertarono le sale che la proiettarono e la Critica, parimenti, non le fu affatto benevolente. Tant’è che, a tutt’oggi, metacritic.com le assegna un decisamente insufficiente 38% di medie recensorie, sicuramente una valutazione poco onorevole.

Nicolas Cage, inoltre, poté persino negativamente fregiarsi (ovviamente siamo sarcastici) di una candidatura ai Razzie Award per la sua interpretazione, sfiorandone la triste vittoria poiché sconfitto ai punti, diciamo, da Adam Sandler d’Indovina perché ti odio, venendo addirittura candidato nello stesso anno anche per un’altra sua performance poco amata e, potremmo dire, complementare e gemellare. Quella di Ghost Rider: Spirit of Vengeance.

Ma Solo per vendetta, distribuito qui da noi dalla Eagle Pictures il 2 Settembre del 2011, è davvero così brutto come si dice in giro? Anzi, nemmeno lo si dice in giro perché, come si suol dire, eh eh, di questo film pochi ne sono a conoscenza.

Perdonateci i nostri giochi di parole, intrisi di goliardica spiritosaggine ma è vero, Solo per vendetta è un film pressoché misconosciuto.

Nemmeno gli aficionado del mitico Nic Cage lo citano mai quando, in preda alla magnificazione del loro idolo, adorano enumerare le sue interpretazioni meno riuscite ma menzionabili in quanto da lui esibite senz’alcuna vergogna ma guascona sfrontatezza nei cosiddetti suoi guilty pleasure. A loro modo indimenticabili.

Pensate invece che il dizionario dei film Morandini gli assegna ben tre stellette e mezzo, definendolo il miglior film dell’australiano Roger Donaldson (Senza via di scampo, Cadillac Man, White Sands, Specie mortale, Thirteen Days, Indian – La grande sfida). Regista sicuramente non eccelso, vale a dire un perenne mestierante che, nel corso degli anni, s’è districato fra pellicole, spesso action, di puro intrattenimento decoroso senza però mai elevarsi allo stato di cineasta di significativo rilievo. Regista però, al contempo, nient’affatto disprezzabile, capace infatti di realizzare pellicole di genere forse non memorabili o annoverabili fra le migliori della storia, però corroborate di robusta efficacia e soventemente molto godibili.

Ecco, Solo per vendetta, se giudicato sotto questa prospettiva, cioè se visto come film senza troppe pretese, si rivela senz’ombra di dubbio un buon thriller di serie b della durata di un’ora e quarantacinque minuti che scorrono senza un attimo di tregua e c’incollano alla sua visione, tutto sommato soddisfacendoci e cinematograficamente saziandoci.

Trama:

Will Gerard (Nicolas Cage) è un professore di letteratura, felicemente sposato con la sua dolce e adorata moglie Laura (January Jones).

La loro vita coniugale, straordinariamente amorosa e sentimentalmente idilliaca, pare scorrere assai piacevolmente.

Sino a quando, durante una cupa notte, Laura viene aggredita e stuprata senz’apparente ragione da un uomo, rimanendo viva per miracolo.

Quella sera, Will aveva incontrato un suo amico e collega per giocare assieme a lui a scacchi.

Ovviamente, una volta appresa la terribile notizia dell’aggressione subita ai danni di sua moglie, si reca sconvolto in ospedale per sincerarsi delle sue condizioni.

Lei, per l’appunto, non è morta ma ha riportato delle fratture multiple e il suo viso è profondamente segnato da vistose ferite.

In sala d’attesa, Will viene avvicinato da un misterioso personaggio di nome Simon (Guy Pearce). Il quale si presenta a Will come il direttore di una segreta organizzazione in grado di uccidere ogni colpevole di gravi reati, come quello subito da Laura, in maniera rapidissima, senza che le vittime debbano perciò logorarsi in processi estenuanti e lunghissimi per cui spesso, peraltro, i criminali vengono assurdamente assolti a causa di scarsi indizi e/o prove contro di loro.

Simon offre una proposta indecente a Will. La sua organizzazione ammazzerà l’aggressore, da essa già subito identificato, in cambio di favori.

Will, assalito dalla confusione, ancora scioccato dall’agghiacciante evento occorso a sua moglie, accetta il patto propostogli da Simon.

Incosciente che, da quest’istante fatale in poi, verrà inconsapevolmente trascinato in un pericoloso gioco di gatto col topo ove Simon, da sadico manipolare del suo destino, rappresenterà per Will una sorta di strozzino malvagiamente burattinaio. Aspirando l’ignaro Will in una torpida, paurosa spirale di oscure macchinazioni, neri intrighi e spettrali omicidi.

Se la presenza nel cast di Guy Pearce è accessoria eppur iconica e memore del ben più sofisticato Memento, imponendosi comunque per scenica forza magnetica, irresistibilmente diabolica, Nicolas Cage si dimostra in tal caso altrettanto carismatico.

Infatti, recitando con la sordina, dunque tenendo in bilanciato controllo il suo non sempre apprezzabile, caratteristico overacting, pur non risultando sinceramente credibile nei panni di un’insegnante che declama ai suoi studenti alcuni celeberrimi sonetti di Shakespeare, stavolta è in parte e in palla.

Calibrando, infatti, con giustezza mimica le sue classiche, grottesche e fastidiose smorfie, qui invece armonicamente collocate al posto giusto e distillate con estrema moderazione, ha donato al suo personaggio un’intensa, incisiva statura drammatica da uomo che, ferito a morte, pur di soddisfare la sua sete di vendetta è stato ingenuamente pronto a un azzardato, adrenalinico gioco più grande di lui che gli ha divorato e spezzato l’anima in maniera, potremmo dire, tachicardica e “mozzafiato”.

Solo per vendetta è insomma, per noi, un bel film. Checché se ne dica. Un film compatto e appassionante che, senza fronzoli o superflui e deleteri intellettualismi, va dritto al sodo.

Un appagante prodotto che, sebbene non brilli per originalità, sa comunque ammaliarci in virtù anche della tetra e avvolgente fotografia volutamente da anni ottanta di David Tattersall (Il miglio verde, Con Air di Simon West e Next di Lee Tamahori con lo stesso Cage, Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma).

Curiosità: il titolo di lavorazione era The Hungry Rabbit Jumps. Naturalmente più strampalatamente originale di quello assai banale e generico poi affibbiatogli. The Hungry Rabbit Jumps, fra l’altro, è la frase pronunciata sino allo sfinimento da Guy Pearce, la frase chiave alla base dell’intricato rebus della trama del film stesso.

di Stefano Falotico

 

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