ROCKY BALBOA: ancora lo recensisco alla mia maniera, cioè di tastiera a mani nude

rocky balboa

Dalle viscere della mia interiorità, riemerge di mie ancestrali rievocazioni, questa pellicola per me effettivamente e affettivamente storica, con un personaggio super stoico, dalle prepotenti emozioni come il Falotico.

Capitolo conclusivo della saga sul leggendario idolo popolare e delle folle, Rocky Balboa. L’underdog pugilatore di Philadelphia che, nel primo, epocale film capostipite di tale franchise, generatosi dal successo planetario e oscarizzato della suddetta pellicola progenitrice di tutti i susseguenti sequel, resistette sin al quindicesimo round contro il campione dei pesi massimi imbattuto, Apollo Creed. Non crollando dinanzi all’impeto turbolento dei pugni sferratigli contro da Creed, opponendosene con fierezza grintosa eppur perdendo ai punti decretati dai tabellini dei giudici del match.

Nel seguito, riuscì a sconfiggere Creed all’ultimo secondo, trionfando platealmente e cementando la sua epicità monumentale. Poi la storia proseguì, Creed risollevò da terra Balboa ma morì sotto i colpi impietosi del mostruoso Ivan Drago, scatenando l’ira vendicativa d’un Balboa irrefrenabile che distrusse ogni più nero, anche russo, scagliatogli addosso, pessimistico pronostico nefasto. Stupendo il mondo intero e nuovamente, risorgendo in gloria, dopo aver perso per l’ennesima volta tutto, nel quinto film. Mettendo, metaforicamente a tappeto e a mani nude assai crude, il suo pupillo Tommy Gunn che gli si rivoltò contro in maniera ingrata e profondamente strafottente, ingiusta e quindi da Rocky severamente punita con rabbia lapidaria e sacrosanta. Cazzuta.

Ed eccoci dunque arrivati a Rocky Balboa. Al momento, ripetiamolo, l’ultimo segmento della movimentata, appassionante, spesso purtroppo commerciale ed edonistica saga che, vi piaccia o no, creò il mito di Sly.

Rocky Balboa uscì, quasi in souplesse, il 12 Gennaio del 2007.

Ancora rimembro, nostalgicamente commosso, quella sera pallida nella quale, terminate da poco le feste natalizie, m’avviai solitario alla multisala di Rastignano, in provincia di Bologna. Proteggendomi, con un morbido, avvolgente giubbotto di pelle da pagliaccio stravagante, dal freddo e dalle intemperie rigide di quell’inverno per me straordinariamente reminiscente d’una mia era risorta fulgidamente in mistica, ancora calorosa e rinascimentale mia vita riscaturita dalla voragine dei miei imperscrutabili, aliena(n)ti bui esistenziali che, da tempo immemorabile, rapirono e rattrappirono il mio cuore in un abisso melanconico di nevrosi, di nevosi dolori e di laconiche, lascive e lacrimose apatie tormentose, di dolci ipocondrie morbose e di patetiche esagitazioni d’un mio animo stiepiditosi nell’aridità penosa e soventemente paralizzatosi, onestamente, in un precoce, tetro istupidimento per me stesso pericoloso.

Melodiosamente, in quel periodo di miei forti turbamenti animosi, amai una ragazza anche senza mai regalarle una mimosa e neppure delle rose. Però, dolcemente m’infilai spesso fra le sue gambe rosee e focose, gustando cremoso con lei svenevoli visioni armoniose non solo in sala cinematografica, bensì semplicemente sul letto, un po’ a luci rosse, del suo bell’appartamento accogliente ove consumammo più di un amplesso ardimentoso.

Ci gustammo in modo frizzante, effervescente e spensierato, arioso e giocoso. In una parola, delizioso. Lei mi baciò con dolcezza lussuriosa e io, volentieri e volenteroso, giammai violento o troppo burrascosamente voglioso, leccai ogni delicato momento di quelle carezze lievi permeate di romantica leggiadria e di godibili sensualità che, all’epoca, debellarono ogni mia triste nostalgia. Riscaldando la mia atavica depressione annale da cazzone vagabondo che, come il Balboa, nascose un talento misterioso e potente malgrado a quei tempi mi lasciassi andare, recandomi a noleggiare solamente film di Bergman alla videoteca Balboni. Ubicata, a Bologna, sotto il Meloncello.

Per via di questo mio atteggiamento schivo da ragazzo ritroso, fui preso solo per un coglioncello stolto e permaloso. Per un mezzo tonto come Stallone di Cop Land.

Ma ritorniamo sul film di tale mia recensione spettacolosa ché non voglio farvi innamorare, no, ammorbare coi miei racconti obiettivamente noiosi.

Sì, come quelli che Balboa/Stallone, in questa pellicola meravigliosa, rifila agli avventori del suo ristorantino rustico, chiamato Adrian’s. In memoria delle sue riaccesesi memorie da Celentano di turno? No, della sua defunta sposa con la quale non poté più desinare né cenare, affamato di passione, assieme al suo purissimo, eterno amore sanguigno e rosso come il colore cremisi poiché forse lei, sotto la lapide mortuaria, in quanto crepata, fu pure probabilmente cremata.

A parte gli scherzi, che grande film struggente. Di rabbie splendidamente rifulgenti, mai morte e vividamente ruggenti.

Ove Rocky, rimasto solo come un cane, ripudiato dal viziato figlio capriccioso, guardato con sospetto persino da suo cognato malmostoso, abbandonando ogni sua innata furia combattiva da born loser iroso, vivo seppellendosi in una senilità mortifera, di nuovo torna sul ring, ringhiando con la sue Eye of the Tiger da Survivor o forse da titanico eroe sopravvissuto e giammai abbattuto, specialmente nel suo cuore non ancora arenatosi e indomito.

Al che, torna ad allenarsi poiché Mason Dixon, attuale detentore del titolo di campione mondiale, la gente pensa che non sia grande quanto lui. Rocky Balboa, chi, sennò?

Fra ricordi e periferici ritorni, fra altre sberle prese in faccia e colpi duri da digerire, nonostante altre mille batoste tremende, Rocky è ancora tosto e non è affatto un pollo già arrosto.

Come nel primo, perderà ai punti e forse, a causa dei tantissimi ricevuti pugni a lui inferti dal giovanissimo e più scattante Mason, finirà in ospedale, come all’inizio di Rocky II, per curare le brutte ferite, in tal caso solo fisiche, con molti punti… sì, di sutura.

Rocky sa che la vita è dura e forse lo vedremo, dopo gli spinoff dei due Creed, in un’altra impossibile, stimolante, esaltante avventura.

Questo è un mio pezzo bellissimo con qualche filastrocca da signor Bonaventura.

Non so quale futuro m’attenderà in questa mia esistenziale gara dura, l’importante è comunque non pensare troppo riguardo quel che sarà venturo, bensì vivere e lasciarmi stare se non vorrete prendere una pesante fregatura.

Poiché, se gratuitamente provocato, mi par(s)e d’aver già dimostrato che non è tanto facile, così come invece molti tragicamente pensarono, battermi in ogni campo.

Buona vita a tutti.

Poi, fate voi.rocky balboa stallone

 

di Stefano Falotico

 

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