Blade Runner – The Final Cut, recensione


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Ebbene, breve prologo ad apertura d’un film epocale. Riproposto, assieme al suo sequel, su Netflix in questi giorni.

Dunque, permettetemi una parabola da El Indio/Gian Maria Volontè di Per qualche dollaro in più.

Condita con qualche freddura micidiale da Clint Eastwood, l’unico revenant vivente, altro che Leo DiCaprio del film omonimo di Alejandro G. Iñárritu.

Sì, di mio sono uno straniero senza nome che vaga su questa terra sconsacrata e oramai scevra d’ogni memoria ma non è ancora tempo di morire… anche se ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…

Similmente a Guerre Stellari, avente protagonista come sempre l’immarcescibile e sto(r)ico capitano Han Solo, alias il memorabile, sempiterno Harrison, Blade Runner apre con una sorta di piccola prefazione letteraria che, anziché scorrere nel firmamento stellare di sovraimpressione scivolante nel buio ermetico d’uno spazio misterioso, scivola verso il basso a mo’ introduttivo degli antefatti, narratici da Philip K. Dick col suo Il cacciatore di androidi, che sono il fulcro basale su cui ruoterà la trama, comunque piuttosto lineare ma al contempo enigmaticamente seducente e contorta, di tale capolavoro intoccabile della Settima Arte da propugnare, tramandare e propagare ai posteri, gelosamente conservato, alla maniera d’una reliquia preziosissima, nella Biblioteca del Congresso in quanto quest’opera viene reputata, giustissimamente, di portata galattica da salvaguardare, in modo giudizioso, per il bene dell’umanità tutta.

Nella sua interezza!

Perlomeno fino a quando, purtroppo, s’estinguerà. Spegnendosi come una candela che arse al doppio d’una mortale fiamma. Al massimo splendore e fulgore! Infiammatevi con virulento calore!

Un’umanità che, al di là dei sensazionalistici e oscurantistici allarmismi eccessivi, a prescindere, di contraltare, dai negazionisti e dai soliti figli malsani di Nostradamus che profetizzano, in modo complottistico, un’irrimediabile e imminente cataclisma planetario e millenaristico, avvertendoci sulla fine assai prossima e pressoché irreversibile del genere umano stesso, dobbiamo ammettere effettivamente che, per via dell’infettivo contagio senza speciali effetti, bensì dovuto a una mastodontica influenza difficilmente arginabile assai realistica, non se la passa, ahinoi, benissimo.

Sprofondata infatti com’è nella quarantena, metaforicamente e non, asfissiata domesticamente negli innumerevoli appartamenti di un segregazionismo più nero dell’apartheid.

Cosicché, molti abitanti del nostro pianeta e tutti i cittadini italiani, espropriati di molte libertà legittime sino all’altro ieri ritenute inviolabili, possono uscire di casa soltanto previo autorizzazione d’un burocratico modulo interstatale da Tyrell Corporation.

Se non si dispone, mentre s’è a zonzo per strada, di questa specie di libretto di giustificazioni scolastiche, da scaricare tramite pdf internettiano, firmandolo in calce dopo l’opportuna stampa, si rischiano molte multe salatissime peggiori di uno zero in condotta rigidissimo. Stare muti e non basterà sanare il debito, leccando il culo non ai professori, bensì ai procuratori, finita la pacchia e iniziato nuovamente il semestre.

Oppure, in caso di trasgressioni non previste dal codice legislativo dell’apparato giudiziario, chiunque oserà sfidare la legge, avventurandosi anche solo nottetempo lungo le strade tetre e desertiche della sua città, eh sì, verrà severamente sbattuto in carcere in modo durissimo. Per di più, se affetto dal COVID-19 e sarà trovato in giro senz’essere munito del suddetto formulario con crocette, in maniera poco affettuosa, sentitamente sarà presto ammonito e spedito in un penitenziario simile ad Alcatraz. Forse prima anche al pronto soccorso poiché necessiterà delle cure riabilitative e cicatriziali per via delle ferite inferte lui dai tutori dell’ordine.

I quali, impietosamente, inizialmente lo accerchieranno e poi, forse abusando perfino del loro potere derivato dal distintivo, d’istinto picchieranno il malcapitato e disgraziato da dittatoriali signori poco distinti.

Insomma, siamo cascati nella notte da Insomnia di Christopher Nolan, specularmente identica alla piovosa oscurità cinerea del capolavoro per antonomasia di Ridley Scott.

Dato che, strozzato da quest’isolamento forzato più grave di quello trascorso da Jack Torrance di Shining, mi mancò la voglia di rispolverare la vecchia VHS contenente la registrazione da me effettuata dalla tv moltissimi anni or sono, essendo anche impossibilitato a riprodurla poiché non leggibile dal televisore da tanti anni in mia dotazione, non ho intenzione di parlarvi dell’edizione di Blade Runner distribuita nelle sue sale ai tempi della sua release. Ovvero quella in cui Ridley Scott aggiunse, nel finale, le scene dell’incipit mancante dell’appena citatavi opera magna di Stanley Kubrick.

Qui, fratelli della congrega cinti in raccoglimento virtuale, poiché v’invitai a casa mia ma foste costretti a declinare tale gentile offerta per le restrizioni e i divieti impostivi e da me sopra scrittivi ed elencativi, vi parlerò in maniera doverosamente entusiastica d’un film che, soprattutto in queste spettrali notti timorate di dio, vi obbligo di rivedere e santificare in gloria, beatificandolo in quanto va magnificato più di Distretto 13 e Fog di Carpenter.

Blade Runner – The Final Cut, un film tenuto in auge persino dall’onnipotente poiché di un altro pianeta… ché iddio stesso in persona non riuscì a generare pur partorendo, dal grembo della Santa Vergine, una terrestre collettività che avrebbe dato alla luce, il 20 Novembre del 1950, una figa di cristo e della madonna, cioè Sean Young.

Purtroppo, peggiorata del tutto nel non lontano 2011 quando, in seguito alla sua incurabile addiction, divenne fisicamente brutta e finì in rehab. Inoltre, troppi maniaci hollywoodiani, ingordi e assatanati della sua venustà irresistibile da Maddalena, la deturparono impunemente, probabilmente come Harvey Weinstein, sciupando la dolcissima pudicizia sensualissima e al contempo maliziosissima di questa dea immacolatamente idilliaca da me adoratissima.

Insomma, Sean Young, nel 1982, anno dell’uscita di Blade Runner, stimolò inverecondi, primordiali istinti amorevoli e anche sinceramente animaleschi da Ace Ventura: Pet Detective. Ah, che voglia di petting… di calde carezze.

Sì, nel film, Harrison Ford/Rick Deckard deve appurare se il personaggio interpretato da Sean, sotto mentite spoglie, sia (im)pura, una replicante o una donna insuperabile perfino dalla CGI deaging, in modo “young”, del suo clone digitale di Blade Runner 2049.

Lui la vede e se n’innamora folgorato, piacevolissimamente imbarazzato e impietrito dinanzi a una donna così stupefacente più dell’estasiante fotografia impressionante di Jordan Cronenweth, un grande.

Che la immortalò in modo paradisiaco e sfavillante!

Rick, per conto dei suoi superiori, dovette indagare in merito alla veridicità, diciamo, dell’umanità di tale creatura divina Per constatare, domande alla mano e occhio da salame, riguardo al fatto se fosse davvero una donna favolosa, una super figa cosmica oppure un’androide bionica forse solo iper-bona.

Al che, la sottopose a un quiz di domande ipotetiche da psichiatra della mutua. Domandandole, comunque con sensibile tatto, che cosa ricordasse del suo passato. Poiché potrebbe essere stato irreale e/o semplicemente generato da una memoria artificiale impiantatale nella calotta cranica.

Onestamente, me ne sarei sbattuto se Rachael/Sean fosse vera o finta. Mi sarei tolto immediatamente la canottiera, permeandola in zona equatoriale di surriscaldamento provocato dal buco dell’ozono.

Sovraccaricando le calotte termiche. Sgelandola dal freddo della sua vita vissuta nel terrore come la quarantena dei sei, poi quattro wanted/ricercati del film, compresa lei.

Se fossi stato al posto di Rick, sì, non mi sarei mai permesso di perpetrarle un brutto scherzo ma l’avrei fatta… piangere di amore, eh già, le avrei immesso subito il mio dick con furente, fenomenale e irreprimibile ardore. Infatti, così viene, no, avviene dopo i titoli di coda ma il minutaggio finisce e schizza la dissolvenza in nero mentre, ve lo dico subito, alla penombra, forse di un’erezione, no, edizione censurata e tenutaci nascosta, Rick se la fotté bellamente dietro delle persiane da architettura fantascientifica, baroccamente ammaliante, figlia della scenografia impotente, no, imponente di Lawrence G. Paull.

Alla Sean di quei tempi, eh già, avrei dato subito un figlio con passione superiore a quella di Cristo. Senza musica di Vangelis poiché, nelle chiaroscurali notti da lupi, giocosamente irredente, in cui s’amoreggia morbidamente ignudi di tangibili danze del ventre, bisogna lasciare stare il Vangelo ed essere biblicamente crocefissi solamente alla nuda condizione umana più carnalmente peccaminosa, dunque sincera, senza giochini da investigatore delle immor(t)alità, così come invece, più di Giuda, finse bugiardamente di essere Dick dirimpetto a Zhora Salome/Joanna Cassidy.

Quando la scoprì… nel night club. Adocchiandola di buon occhio da guardone volpone e, allo stesso tempo, con sospetto spiandola. Ah, quella donna fu eternamente malvista…

Oh sì, fratelli e sorelle, la notte senza giorno è ancora lunga e non basterà avere amici immaginari come J.F. Sebastian. Non è tempo per i giocattoli e per i nani.

Lo sa il magnetico gigante Roy Batty/Rutger Hauer. Tanto agghiacciante quanto ipnotico in Blade Runner.

Un gigante che, con la sola forza del suo sguardo penetrante, distrugge ogni canzonetta di Piero Pelù grazie al potere ardente del diablo.

Quindi, prende su parola Clint Eastwood:

– Indio, hai finito di dire stronzate?

– E tu chi sei?

– Una testa di cazzo, non lo sapevi?

Voglio raccontarti io una storia, sono stanco dei tuoi deliri e delle tue fandonie.

– Dimmi pure. Sentiamo tutti che ha da dire questo monco…

– Bene. Dovete sapere che, in passato, recitai la mia vita in maniera un po’ autistica da Ryan Gosling non da Denis Villeneuve, bensì da Drive, un autista. Vivendo nelle tenebre cupissime della mia notte cieca, opprimente e nerissima. O forse vedendo la vita con le stesse iridescenti, cangevoli luminosità dei fulgidi occhi languidi di Daryl Hannah.

Per molto tempo, fui sottoposto a domande da Rick Deckard. Fui preso per semi-uomo sofferente della sindrome di Asperger, la stessa di cui è congenitamente affetta la Hannah.

Poiché mi mossi nel mondo in maniera troppo falotica, no, robotica da D.A.R.Y.L.

– E invece qual è la verità, oh, nostro cavaliere pallido?

– La verità è che Blade Runner è uno dei film più belli del mondo. Illumina difatti, nella tetraggine di tal mondo infausto ed eclissatosi nella perdizione di tantissime anime oramai decadenti, le vite ancora pulsanti di cuore vivamente umano.

– Ehi, che cazzo di risposta è mai questa? Vogliamo sapere la verità sul tuo conto.

Ho visto navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia.

– Dunque? Ah… è tempo di morire?

– Per te, sì, Indio.

– Che cos’è una freddura, questa qui? Fai il serio, biondo. Mi vuoi fare uno scherzo, eh?

Non è uno scherzo, è una corda.

Avanti, fratello brutto di nome Eli Wallach, da lassù impiccalo più in alto.

Ed Eli, sorridendomi, benedicendomi dal cielo, sghignazza sotto i baffi e mi dice:

Ehi, biondo. Lo sai di chi sei figlio tu…?

– Non puoi farmi questo, monco! – grida impaurito El Indio.

– Perché no? Al mio mulo non piace la gente che ride. Soprattutto quando le risate cattive si commettono ai danni di uomini e donne più belli/e e virginali di Sean Young dei tempi d’oro. E si dice loro di essere dei replicanti, accusandoli di malattie mentali poiché non si crede ai loro ricordi e all’unicità della vita nella sua complessa diversità. Violando e violentando il loro pudore con mostruoso sacrilegio immondo.

– No, non puoi farlo!

– Infatti, non lo farò. Sei un cornuto, mica un bianco unicorno, sei un essere infausto, meriti solo di essere ingannato da Faust. Sì, quello di Goethe, hai finito di fare lo smargiasso, arrossandoti furbescamente le gote.

– Che dio ti benedica. Sarà dunque solo questa la mia pena?

– No, su questo invece sbagli. Io perdono, Dio no.

– Oh, signore altissimo. Che tu sia lodato. Ti ringrazio, tu sei un dio.

Bravo…

Comunque, a parte gli scherzi, non è che mi farai la fine di quello sciroccato e scimunito di Brion James/Leon Kowalski?

– Kowalksi di Gran Torino?

– Sì, buonanotte. Sei più cretino di quello che pensavo.

– Che vorresti dire?

Quello che ho detto…

 

EPILOGO:

Ah, s’è fatto tardi. Vi lascio alla trama di Wikipedia…

Il film è ambientato in una Los Angeles distopica dell’anno 2019. La tecnologia ha permesso la creazione di esseri sintetici del tutto simili agli umani, detti “replicanti”, utilizzati come schiavi, dotati di capacità intellettuali e forza fisica estremamente superiori agli uomini, ma con una longevità limitata a 4 anni. Sei replicanti del modello più evoluto (tre femmine e tre maschi), capitanati da Roy Batty, sono fuggiti dalle colonie extramondo e, giunti furtivamente a Los Angeles, hanno cercato di introdursi nella Tyrell Corporation, l’azienda dove erano stati creati, allo scopo di far togliere il limite alle loro vite. Due di loro (un maschio e una femmina) sono finiti in un campo elettrico rimanendo folgorati,[14] mentre gli altri quattro sono fuggiti. Uno di questi, Leon, è stato individuato tra i candidati in cerca di lavoro alla Tyrell, ma è riuscito a scappare sparando all’agente Holden, che lo stava sottoponendo a un test per il riconoscimento dei replicanti.

Adesso sono stanco.

Riguardatevi il film e non rompete le palle. La notte si fa leggendario noir.blade runner harrison ford blade runner sean young

di Stefano Falotico

 

 

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