Motherless Brooklyn, recensione

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Ebbene, oggi recensiamo Motherless Brooklyn – I segreti di una città, pellicola della corposa durata di due ore e ventiquattro minuti che segna la seconda regia di Edward Norton a distanza di quasi vent’anni dal suo interessante e simpatico debutto dietro la macchina da presa, ovvero Tentazioni d’amore del quale fu, assieme a Ben Stiller, anche interprete.

Per Motherless Brooklyn non fa parimenti eccezione e, oltre ad adattare lui stesso il libro omonimo di Jonathan Lethem e a co-produrre la sua opera, si è riservato il ruolo dell’assoluto interprete principale, vale a dire Lionel Essrog, un timido ragazzo affetto dalla sindrome di Tourette, una malattia psichica spesso invalidante che affligge fortemente colui che la patisce, obbligando il soggetto interessato, a seconda della sua gravità, involontariamente a tic e a smorfie soventemente disturbanti, compromettendone altamente il funzionamento sociale.

Lionel, nonostante questo suo disturbo, lavora per il detective privato Frank Minna (Bruce Willis). Un uomo che l’ha salvato dall’orfanotrofio, che da allora gli è mentore e, prendendolo sotto la sua ala protettiva, lo salvaguarda dallo sciacallaggio di un mondo cinico e putrefatto.

In una plumbea mattinata fumosa, Minna però viene ferito seriamente e, nonostante le prestategli e svelte cure mediche da lui ricevute al pronto soccorso, non ce la fa e muore sotto gli occhi di Lionel.

Che, da questo momento in poi, spinto da un rabbioso e sacrosanto spirito giustizialista, si trasforma lui stesso in investigatore, addentrandosi in una decadente Brooklyn fatiscente, cinerea e spettrale, torbidamente notturna, scandita da incontri con personaggi d’alto spicco della politica come il potente e forse assai corrotto responsabile urbano della metropoli, Moses Randolph (Alec Baldwin) e, fra gli altri, con un geniale ex architetto caduto rovinosamente in disgrazia, cioè Paul Randolph (Willem Dafoe).

Soprattutto Lionel entra in contatto, per strane circostanze, con Laura Rose (Gugu Mbatha-Raw), carpendo da lei molte informazioni segrete e, pian piano, legandosene sempre più affettivamente.

Motherless Brooklyn ha purtroppo ricevuto un’accoglienza piuttosto fredda dalla Critica, nonostante il cast di spicco e le sue pregiate presentazioni ai festival più importanti. Infatti, è stato il film d’apertura della scorsa Festa del Cinema di Roma.

Ce ne dispiacciamo poiché Motherless Brooklyn, sebbene non sia un capolavoro, è stato un progetto covato per lunghissimo tempo da Norton.

Il quale, profondendo al suo dream project una tangibile e sentita, viscerale passione registica e interpretativa, pur non avendo firmato un film forse pienamente riuscito che non brilla in modo trascendentale o memorabile, ha dimostrato un talento nient’affatto disprezzabile.

Avvalendosi dell’ottima scenografia ambientale e d’epoca di Beth Mickle e coadiuvandosi dell’ammaliante, avvolgente colonna sonora di Daniel Pemberton, Norton ha saputo inoltre creare un bel neo-noir assai classico e jazzistico, sì, costruito su melodie ritmiche perfettamente bilanciate e calibrate a livello filmico.

Che, avvalendosi perfino dell’ipnotica Daily Batlles di Thom Yorke, pur non spiccando davvero mai di originalità, c’immerge, con elegante stile, in un cupo sottobosco suburbano magneticamente irresistibile, tetramente permeato, in modo melanconicamente morbido, da atmosfere seduttivamente affascinanti e, potremmo dire addirittura, così figurativamente pittoriche e melodiosamente delicate tanto da rendere Motherless Brooklyn quasi una pellicola intimistica e romanticamente leggiadra.

di Stefano Falotico

 

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