PASSION PLAY, recensione

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Ebbene, ieri è stato il compleanno delle settanta primavere di un genio attoriale. Sì, lo è. Ovvero Bill Murray. Su Facebook, la gente l’ha celebrato. Al solito, pateticamente.

Dato che il 90% delle persone non è un attore di Hollywood ed è invece costretta a vivere da fessi, mitizza le vite altrui, dimenticando la lezione che John Lennon volle impartire anche ai suoi fan più accaniti, vale a dire non proiettare le proprie aspirazioni su personaggi elevati a dei e dunque idealizzati in quanto in moltissimi sognano la loro vita ma risulta soltanto frustrante identificarsi virtualmente nei modelli presi a modello.

Semmai, idolatrando modelle inarrivabili a cui il maschio medio italiano s’appella da sfigato mai visto, vergando commenti penosi del tipo: wow, wow, wow, dio c’è, sei Giunone, giunonica, meravigliosa, superlativa, quando una è bella è bella.

Intanto, dietro queste ruffianerie dolciastre, più stucchevoli delle peggiori canzoni di Ed Sheeran, più false di Ghost, più ributtanti della comunque deliziosa Unchained Melody dei Righteous Brothers elevata alla massima potenza del saccarosio schifosamente mieloso, il maschio arrapato, più becero del film Arrapaho, cela i suoi sconci pensieri più mostruosamente proibiti dietro una leziosa facciata da santo lontano anni luce dal sincero Michael Fassbender di Shame.

Insomma, uno scemo più fake del viso rifatto di Mickey Rourke.

Poi, come se non bastasse la leccata di culo tremenda, l’uomo italico impunemente aggiunge: dinanzi a te, mi sento brutto, non sono bello ma per te io, sì, belo. Addolciscimi e ammansiscimi, sono una pecorina/ella smarrita.

Dai, su, torniamo a Bill Murray.

Nato come cabarettista e classico guitto d’avanspettacolo inizialmente non cagato da nessuno, Bill s’evolse in forma poliedrica, in maniera falotica. Aggettivo qui femminilizzato, diciamo, che significa bizzarro, balzano, fantastico.

Detto ciò, appurato che la mia vita fu un eterno déjà vu da Ricomincio da capo, essendomi andato a cacciare anzitempo in una situazione paradossale e (in)castrante ogni mio potenziale dirty dancing a causa della mia timidezza da Bob De Niro de Lo sbirro, il boss e la bionda, tale Passion Play rappresenta la prima e unica regia di Mitch Glazer in un lungometraggio. Prima e, fortunatamente, ultima. A meno che, a distanza di dieci anni da questa sua boiata, comunque dalla durata digeribile, soltanto novanta minuti circa di banalità a buon mercato, il buon, anzi pessimo Mitch non decida di ammorbarci con una seconda incursione devastante dietro la macchina da presa.

Mitch Glazer, grande amico di Bill da una vita. Vi basterà scorrere la sua filmografia come sceneggiatore e produttore per accorgervi che Mitch e Bill incrociarono svariate volte le loro vite artistiche.

Ecco, Passion Play è un film arty, cioè uno di quei film che, nel suo ridicolo tentativo di ammodernare 9 settimane e ½ negli anni duemila con un Rourke speranzoso di essere tornato quello di una volta dopo la nomination all’Oscar per The Wrestler, un Mickey che s’illuse addirittura, con mille chirurgie facciali e faccia da culo bestiale, di poter apparire appetibile agli occhi di Megan Fox, fallisce miseramente. Megan Fox, bagascia di terza categoria, qui nella parte improponibile e poco credibile della Donna Uccello.

E ho detto tutto… Un film che vorrebbe anche assomigliare ad un  felliniano altamente delirante e fricchettone. Uno spettacolo immondo adatto a fenomeni da baraccone che, semmai come il sottoscritto, l’anno prima dell’uscita di Passion Play, furono obbligati da un amico freak ad andare a vedere Jennifer’s Body per rifarsi gli occhi su Megan. Un film neanche così brutto firmato da Karyn Kusama. Donna bruttina che diresse comunque qualche film più carino di Raoul Bova.

Ci rendiamo conto che, in Italia, diamo soldi a gente come Raoul Bova? Ci rendiamo conto che un idiota come Machine Gun Kelly è sposato a Megan Fox? La quale, a mio avviso, è meno affascinante d’una comune bella ragazza di tutti i giorni che passeggi(a) in centro ma, rispetto a codesta, guadagna molti più soldi, sì, miliardi perché nel mondo esistono i frustrati, sopra descrittivi, che la considerano una dea?

Ora, chiariamoci molto bene.

Mickey Rourke ha fatto il suo tempo ed è, oggi come oggi, soltanto un mezzo debosciato.

Di mio, potrei essere Stanley White de L’anno del dragone.

Combinatemi un’altra porcata e farete bene.

Sapete perché? Se, nella mia vita, gente imbecille non mi avesse bullizzato come un animale solamente perché all’epoca odiai la visione dell’amore da eterni bamboccioni, da spot dei Baci Perugina e altre amenità di sorca, no, di sor(ra)ta, oggi non sarei Stefano Falotico, bensì un povero coglione come quasi tutti.

Cioè persone che, così come ben sostenne il succitato Lennon, parlano, giudicano e rimangono però sostanzialmente passive, adorando le vite dei loro miti di cartapesta.

Vi do un consiglio: la vita è una sola, forse non esiste l’aldilà.

Risparmiate dunque il vostro tempo e non noleggiate mai questo film. Anche perché troverete difficoltà a trovarlo. Per nostra, vostra fortuna, non è mai stato distribuito in Italia.

Potete procacciarvelo, diciamo, in streaming in sub-ita.

Per quanto mi concerne, posso darvi un altro coniglio, no, consiglio.

I cosiddetti adulti faranno di tutto per distruggervi. Solitamente, in pochissimi di loro infatti posseggono la bellezza che fu di Mickey Rourke e la simpatia intelligentissima di Bill Murray.

Io sì, invece.

Potranno darmi del fallito poiché sono rancorosi e, nella loro vita misera e orribile, avrebbero desiderato avere una donna come Megan Fox.

La mia lei è più bella di Megan.

Quindi, ora, silenzio.

Sono squallido perché mi vanto di ciò?

No, non mi vanto di nulla. Di mio, non so neanche se domattina sarò ancora vivo.

E non m’importa svolgere una vita normale. Normalità per me si associa a propaganda pubblicitaria, alla peggiore estetica della vita puttana.

Ecco, se volete amare davvero, amate e non sognate, se voleste invece vedere due bei film d’amore, guardate Broken Flowers e Lost in Translation.

Amori tristi, amori malinconici, amori consumati, rimembrati, mai forse vissuti appieno, solamente meravigliosi. Surreali, puri. Amour fou, amore per te fu e non vi è più, chissà se sarà, intanto per me ora vi è.bill murray megan fox passion play

di Stefano Falotico

 

 

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