88 MINUTI, recensione

Pacino 88 Minutes poster

Oggi, recensiamo un film piuttosto sconosciuto e passato inosservato, direttamente distribuito da noi, in Italia, in home video. Ovvero 88 Minuti, diretto da Jon Avnet. La cui opera migliore rimane e probabilmente rimarrà Pomodori verdi fritta alla fermata del treno.

Un mestierante, Avnet, come si suol dire. Ultimamente smarritosi, cinematograficamente parlando, dissipando forse il suo talento “artigianale”, essendo stato assoldato soltanto per dirigere episodi televisivi di film e serie abbastanza trascurabili.

Eppure la sua carriera, certamente non entusiasmante ma interessante, era partita ottimamente e, nel suo carnet filmografico da director cosiddetto anonimo, infatti sono ravvisabili pellicole di un certo pregio e qualitativo decoro.

Film non eccezionali, nemmeno però malvagi. Pensiamo al sottovalutato The War con Kevin Costner, al dolce Qualcosa di personale con la splendida coppia Robert Redford-Michelle Pfeiffer, oppure al mediocre, più che altro convenzionale, ma al contempo appassionante thriller L’angolo rosso col solito ottimo Richard Gere.

Per finire con la sua ultima regia per il Cinema, vale a dire Sfida senza regole (Righteous Kill) con la coppia storica formata dai divi di The Irishman, cioè i mostri sacri Al Pacino e Robert De Niro.

Film, quest’ultimo, stroncato più del dovuto e anch’esso poco apprezzato. Sceneggiato, ricordiamolo, da Russell Gewirtz, autore dello script del magnifico Inside Man di Spike Lee.

Ebbene, prima dell’appena citatovi ed esageratamente linciato dalla Critica, Sfida senza regole, da non confondere ovviamente con Heat – La sfida, avente per protagonisti sempre Pacino & De Niro, Avnet diresse per l’appunto il film da noi qui preso in questione, 88 Minutes.

Inizialmente, a dirigerlo doveva esservi James Foley. Che, con Pacino, aveva già collaborato per Americani e il dimenticabile Un giorno da ricordare.

Trama:

Siamo a Seattle, negli Stati Uniti. Lo psichiatra forense Jack Gramm (un Pacino con un taglio di capelli abbastanza improponibile e alquanto pacchiano) insegna la sua materia all’università.

E collabora, in maniera assidua, con l’FBI. Così come spesso avviene, per esempio, nella nostrana CTU.

In seguito, infatti, a una sua schiacciante ed importante perizia psichiatrica, un uomo di nome Jon Forster (Neal McDonough) fu indiziato e accusato di aver in passato seviziato molte ragazze, uccidendole e impiccandole poi nell’appenderle efferatamente a testa in giù.

Secondo l’indagine psichiatrica condotta da Gramm, insomma, Forster sarebbe stato un omicida seriale e uno stupratore irredimibile. In base alla sua impietosa diagnosi, atta a reputarlo un individuo gravissimamente pericoloso oltre che un imperdonabile, miserabile serial killer da internare e da detenere all’ergastolo nel braccio più duro della morte, Forster è dunque impotentemente or in prigione e attende solamente di essere giustiziato immantinente.

Al che, durante la sera antecedente la sua esecuzione, accadono una serie di osceni reati macabri eseguiti nella stessa modalità che si presunse, forse erroneamente, essere figlia del “metodo” adottato da Forster.

Dunque, il colpevole dei passati crimini per cui Forster fu incarcerato, invero, non fu mai e non è Forster stesso? Si trattò di un madornale equivoco giudiziario atto a scatenare un’escalation vendicativa, sottilmente perfida, pianificata da Forster per essere risarcito dell’immane danno arbitrariamente perpetratogli?

Oppure vide giusto Gramm? Chi si nasconde perciò dietro i nuovi, mostruosi reati che stanno imperversando per le strade violente?

Nel frattempo, Gramm riceve sul suo cellulare una chiamata assai misteriosa. Una voce irriconoscibile gli annuncia che avrà soltanto 88 minuti per salvarsi la vita.

Bella fotografia di Denis Lenoir e bella prova di Al Pacino. Il quale, malgrado il look, come dettovi, ridicolmente appariscente, recita come sempre con egregia impeccabilità indiscutibile.

E, al di là di qualche tesa scena d’inseguimento e un buon twist finale, rappresenta naturalmente l’elemento migliore all’interno di 88 Minuti. Ripetiamo, comunque, non così disprezzabile come si disse quando uscì (in cassetta…).

Risalta inoltre l’energia istrionicamente grintosa della rossa Alicia Witt e la superba bellezza imbarazzante dell’eternamente sexy Amy Brenneman (Amici & vicini). L

Curiosità: nel già succitato Heat di Michael Mann, Amy Brenneman recitò la parte della giovane amante del personaggio interpretato da De Niro. Mentre qui assiste Pacino.

All’inizio, in Sfida senza regole, il detective “amico” di Turk (De Niro) doveva essere interpretato da un attore più giovane di De Niro. Ma, su suggerimento di De Niro stesso, fornito a Jon Avnet, si optò per affiancarlo al suo compagno ed amicale rivale, sul grande schermo, di tutta una meravigliosa vita, non solo professionale.

Che ve lo dico a fare? Al Pacino.

Nel cast, Leelee Sobieski (Eyes Wide Shut), Deborah Kara Unger (Crash) e William Forsythe (C’era una volta in AmericaColpevole d’omicidio).

di Stefano Falotico. Detto altresì la, no, il Jodie Foster de Il silenzio degli innocenti.
Ho detto Foster, non Forster.
Comunque, assomiglio anche a Scoprendo Forrester.

Che vi piaccia o no, Sean Connery è purtroppo morto. Io invece sono vivo e vegeto. E non sono Forster, nemmeno più solo.
Chiamatemi Jimmy Malone.

Va detta anche questa verità: Jodie Foster è stupenda ma è lesbica.

Sì, se conoscete una donna bella come Amy Brenneman che non voglia amoreggiare con me appena mi vede, significa che non è eterosessuale? No, è scema e più pazza di Buffalo Bill.

E questo è quanto.

Se siete invidiosi, vi spediamo al primo centro di salute mentale.

Un luogo ove sarebbe, a mio avviso, da deportare Fabrizio Corona. Un bell’uomo, certo.

Ma col cervello di una gallina. Cioè, un cervello microscopico come quello delle pseudo-donne che furono e sono così lobotomizzate da essere state ammaliate e sedotte, amate (si fa per dire) da Fabrizio.

So io dove dovrebbero andare…pacino brenneman 88 minutes

 

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