DELITTO PERFETTO, recensione
Oggi recensiamo la sottovalutata pellicola di Andrew Davis, uscita nel ‘98, ovvero Delitto perfetto.
Remake del celeberrimo film omonimo Il delitto perfetto di Alfred Hitchcock con Grace Kelly.
Anzi, ci correggiamo, perlomeno siamo più precisi. Omonimo nel titolo originale, A Perfect Murder. In tal caso assente, ovvero nella “traduzione” italiana, dell’articolo determinativo il… per differenziarlo leggermente e renderlo appena riconoscibile, per l’appunto, rispetto al classico intramontabile firmato nientepopodimeno che dal regista de La finestra sul cortile, con protagonista Grace Kelly.
Andrew Davis è, come sopra dettovi, l’autore di questo rifacimento dei nineties che, a ben vedere, malgrado si confronti con un insuperato maestro qual fu Hitchcock, irraggiungibile e per l’appunto inimitabile, non ne sfigura troppo e, dall’eventuale paragone, a conti fatti non ne esce affatto con le ossa rotte. Ammesso che lo prendiamo semplicemente come un’operazione un po’ innocuamente commerciale, inevitabilmente ruffiana e patinata. Del tutto in linea con l’estemporanea estetica leccata ed hollywoodiana, come poc’anzi accennatovi, degli anni novanta.
Peraltro, Andrew Davis (Uccidete la colomba bianca) è un regista che abbiamo perso di vista in quanto oramai quasi del tutto inattivo in maniera ingiustificata, fattosi notare soprattutto nell’appena succitata decade. Decade nella quale si affermò come mestierante (espressione usata in forma spesso spregiativa e comunque da noi poco amata in quanto chi sa fare Cinema, anche in modo artigianale, è pur sempre un valido cineasta che non merita generaliste categorizzazioni superficiali), sfornando tutta una serie di pellicole di genere assolutamente non trascurabili. Pensiamo, per esempio, a Trappola in alto mare e soprattutto a quello che rimane, a tutt’oggi, il suo film più apprezzato e famoso, vale a dire Il fuggitivo.
Trama:
Steven Taylor (Michael Douglas) è un magnate della più esponente finanza, gestore di un importante fondo speculativo, sposato a un’affascinante e avvenente donna giovanissima di nome Emily Bradford (Gwyneth Paltrow).
Presto scopre che quest’ultima, cioè la sua consorte, perfino più ricca di lui, se la fa col sedicente pittore bohémien David Shaw (Viggo Mortensen). Anzi, Winston Lagrange. Sì, David Shaw non è altri che il nome fittizio, diciamo artistico, che Winston utilizza per mascherare la sua reale identità. Lagrange ha imparato a dipingere non a Berkeley, a differenza di ciò da lui sostenuto, bensì durante le sue lunghe detenzioni in carcere. Poiché è un truffatore simile a Monsieur Verdoux che, in passato, seduceva facoltosissime signore al fine d’intascarne le loro cospicue eredità. Insomma, è un impostore, un ignobile malfattore.
Taylor finge tristemente di sorvolare, seppur mal volentieri, riguardo il tradimento subito ed è al momento l’unico uomo entrato in possesso del passato assai compromettente di Lagrange. Taylor lo perdona, apparentemente. In verità lo ricatta subdolamente. In cambio del suo silenzio, Taylor infatti fa una proposta indecente a Lagrange. Più che altro a quest’ultimo, non solo economicamente, conveniente.
Gli donerà una grossissima cifra monetaria, con tanto di lauto anticipo già elargitogli, purché Lagrange ammazzi Emily. Da tempo infatti non corre più buon sangue fra Taylor ed Emily. Per di più, avendo appurato che Emily l’ha vilmente cornificato, Taylor vuole disfarsi di lei, rimanendo pulito. Affidando al sicario prescelto, in tal caso Lagrange, lo sporco onere di assassinarla in modo nefando e glacialmente meschino.
Dunque, Taylor propone laidamente a Lagrange un equo, al contempo infimo, criminoso quid pro quo di natura viscidamente omicida.
Come andrà a finire?
I quadri esibiti da Lagrange nel film sono ad opera dello stesso Mortensen.
Delitto perfetto si apre con dei languidi titoli di testa suggestivamente intonati alle belle musiche di James Newton Howard ed è fotografato, al solito in maniera egregia, dal grande Dariusz Wolski (La maledizione della prima luna, Dark City, Tutti i soldi del mondo).
Delitto perfetto è uno di quei classici film di cassetta ottimamente confezionato, targato Warner Bros, che andavano di moda ai tempi della sua release.
Non molto lungo, difatti è soltanto di 103 minuti la sua durata, Delitto perfetto è un buon film che, sorretto dalla classe attoriale di un Michael Douglas splendido, avvince e intrattiene malgrado la storia raccontataci, soprattutto per chi ha visto l’originale hitchcockiano, sia risaputa e a dispetto del suo impianto quasi televisivo da gialletto di prima serata su Rai 3.
Poiché, non avendo l’assurda pretesa di volersi porre a un livello superiore rispetto al suo celebre capostipite, il navigato e scaltro Davis sceglie la strada maestra del puro intrattenimento non di certo eccellente eppur allo stesso tempo efficace, a suo modo elegante e decisamente coinvolgente, inanellando pezzi di bravura nella sua pellicola e inserendovi giusti tocchi adrenalinici non malvagi, creando la necessaria, crescente suspense nell’imprimervi un gustoso e inquietante clima malsano. Inoltre, con significativi, distillati, non disprezzabili, dovuti, piccoli eppur sensibili accorgimenti narrativi rispetto al film di Hitchcock, aggiornando il suo Delitto perfetto alla contemporanea era moderna frenetica di una New York alto-borghesemente corrotta moralmente, sicuramente non crea, ovviamente, un’opera memorabile, però senza dubbio l’ammanta d’un perverso suo fascino indiscutibile e torbido.
Ma forse il merito della parziale riuscita del film è invece, ripetiamolo, adducibile al mitico, impeccabile, eterno Michael Douglas (doppiato magistralmente da Pino Colizzi), qui esibitosi magnificamente in una prova recitativa coi fiocchi che è una variazione tematica del suo sempiterno, bastardissimo Gordon Gekko?
Forse sì…
di Stefano Falotico