“L’esorcista”, recensione

Attento Max!

Attento Max!

Suoni gracchianti d’intrepida nebbia ad anima nera e blasfema

Friedkin, un nome ch’aleggia sinuoso in mio stordirmi nervoso, fremito scrosciante di ruvid’astrazioni da sonnambulo. Quando, fra i cuscini “stracciati” della mia dormienza apparente, mi ridesto su palpebre dal crepitio famelico, ossessionato a inseguire le ombre “malevole” delle notti “smargiasse”. Mi profumo d’incubi e schivo ancora la goliardia di questa città da me ripudiata, ché gorgheggia soltanto in goliardie vanesie, “innalzate” a calici volgari d’una irreligiosità dell’anima. Sono ateo e non m’aspetto nulla dalla vita, in quanto nichilista alato, evoluzione che ha sorvolato le inezie prodighe alla carnalità più bieca e truffaldina dell’esistenza vera. Odio i vostri “gusti” golosi, la mia leggiadria isso gloriosa e nessuno può smorzare l’onnipotenza febbrile di tal (im)permeabile scivolarmi nei lucidi “alberi” d’un aggrovigliato Cuore superbo, spaccatutto in disossarsi angoscioso, “lurido” in venerato avorio del mio Tempo ignoto e lustrato.
Luciferino, scheggio le nuvole dei plumbei tramonti, m’accascio a (di)letto e imbevo i miei sogni di nostalgia vivifica. Urtico le mie iridi ottenebrate in guaito a vegliare su di voi, i morti viventi sempre “svegli” quando invece mi parete fredde “pareti” già insanguinate dentro cimiteri ovattati da un becchino che succhia il seno flaccido d’una grassa, laida puttana “indiavolata”.
Ieri, avete festeggiato e ricordato l’anniversario della morte di Fellini. A costui sputo in faccia, ché morisse seppellito di più e coperto di fango. Il suo “cinema” era, semmai lo fu in quanto per me non lo è mai stato (e non voglio ridestarmi a rivalutarlo), provinciale, adattato all’allattamento delle sue (s)manie sessuali inappagate, circoscritto al prepuzio sudato, sudicio della sua ombelicale misoginia camuffata d’amore per le donn(acc)e.
Fellini è identico a questa zona “erogena” in cui son nato, e Dio mi salvi da tale sfortunata ubicazione originata nel Sant’Orsola, ospedale del reparto maternità ove venivan partoriti appunto i figli delle madri abitanti in odiata, schifosa Bologna. “Capoluogo” di merde che sbevacchiano sotto portici “morbosi”, remoti dalla mia decadenza sprofondante gioiosamente, sì, questa è vita, la maledizione perpetua.
A rinnovarsi ogni dì, per ardere e darvele!
Fellini e le sue “dolci” vite ad allen(t)are la sua noia, come dico io, il sen(s)o dei suoi complessi di Edipo (ir)risolti e irrisori. Lo derido apertamente e, anche ora ch’è defunto, in questo “Ognissanti”, lo sbeffeggio analmente.
Fellini e la sua Fontana di Trevi con Mastroianni patetico che chiede “venia” alla troiona Ekberg, che gli sussurra un “canzonatorio”, incitante… “come”… come here Marcello.
Che suona proprio come, fra cascate e frizzanti bollicine, tira fuori l’uccello…
Che schifo! Si vergogni, “ma(e)stro” del cazzo.
Poi, qui nella Romagna “emiliana”, quando d’accento strascicato pronunciano Fellini, sembra che “dicano” (espressione di cui abusano) Filini, sì, come il ragionierino Filini della saga fantozziana.

Fellini vs Friedkin. Udite e palpatene d’orecchie, per intendere, la differenza.
Captate “Fellini” e ficcatelo dinanzi al mille volte più melodico “Friedkin”.
Tutta un’altra storia. A me va a genio William. Si fotta Federico.
Fellini non ha inventato nulla, ha cazzeggiato di già letto e visto in “vitelloneggiare” sempre a rammemorarci la sua inutile “gioventù” vecchissima. Un panzone che “bomboloneneggiava” di ricordi che “scorno”. E lo sbatto… sottoterra con pinze e senza “pinzimoni”. Vaffanculo, flatulente essere immondo!

Friedkin t’incula!

Da ritrovamenti archeologici, anche delle leggende popolari, ecco il demone Pazuzu che viene “scoperchiato” come il vaso di Pandora.
Un’attrice,  Chris MacNeil (Ellen Burstyn) si trova là ove il Diavolo è stato “disturbato”… per le riprese di un film. Ha portato anche la figlia minorenne.
Ritorna(no) nella loro bella villa in quel di Georgetown. Da allora, succedono eventi orribili. La figlia mostra segni di “pazzia”, appare cambiata improvvisamente senza raziocinio psichiatrico che possa reggere. Quindi, non prende sonno, si dimena oscenamente e un pervasivo, strano sentore “cattivo” stritola la madre in un dubbio che, pian piano terrorizzandola, assumerà “certezza” assoluta.
La figlia pare essere posseduta. La madre è scettica, è una donna colta e non crede a queste “robe”. Ma sarà costretta a convincersene dinanzi al vero insostenibile.
Al che, come ultima “spiaggia”, chiama un esorcista. L’esorcista l’escogita tutte ma non ne cava un “ragno”, anzi il buco della figa la figlia trafigge col crocefisso, bestemmiando con voce virile contro Cristo!
Il decano Padre Lankaster Merrin, qui incarnato nel volto mortifero, da Settimo sigillo, del grande Max von Sydow, è impotente di fronte a questo.
La figlia è sempre più mostruosa, nonostante tutto.

Nel frattempo delle urla, un altro esorcista, giovane e con alle spalle un caso simile di possessione, è entrato nel gioco… del demonio.
Ma entrambi, Cristo Santo, non riescono a debellare il Male. Fin a quando il Diavolo prende davvero il sopravvento e ammazza d’infarto il “vecchio”.
Sconvolto, ucciso dalla paura, il giovane esorcista si scaglia contro la ragazza e implora Satana affinché entri nel suo corpo. Satana, gran figlio di puttana, lo soddisfa seduta (spiritica) stante. Appena l’esorcista s’accorge che la sua anima è stata violata, per non ferire la ragazza, si suicida, gettandosi dalla finestra.
Passano le stagioni… la madre e la figlia, Regan, vanno a vivere a Los Angeles, patria dei “sogni” e di Hollywood… per provare a scagionare l’incubo.
Ma qualcosa, nei loro occhi, è impresso di orrido “amarcord”.

Ecco, poi ditemi se Friedkin non ne sa una più del Diavolo rispetto a quel borghesuccio del Fellini.

(Stefano Falotico)

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