“Zodiac”, recensione
Cos’è l’angoscia? L’angoscia è la paura inconscia che l’uomo nero possa intralciare la tua serenità, ferendo mortalmente crudo e strategico, poi sparendo, eclissando(ci)
David Fincher ama le “ambientazioni” claustrofobiche, assurge a paladino dei soffocamenti al “nylon” dell’inquadratura, plana panic room dentro le anime dei suoi personaggi, deflora l’Eros in Thanatos marcescente, forgia di lucentezza i suoi eroi solitari nel diaframma polmonare di un’apnea respirativa da raggelar il sangue.
Dai corridoi neri di Alien³ ai combattimenti clandestini di Fight Club, dagli hide and seek d’un fin troppo studiato The Game, gioco psicologico appunto dalla mirabile, impeccabile, “pruriginosa” confezione però finalizzata solo a un’insopportabile “finezza” concentrica, fintamente ludica e piena zeppa, quindi zoppa, nei troppi buchi esangui d’un Cinema acerbo, dal “torturante” Seven, apice di sobrietà puramente thriller nella suspense diabolica in progress acuirsi, acutizzarti…, come un Purgatorio infernale senza catarsi idilliaca ma discesa sol che più profonda e lapidaria, quasi alla Friedkin “saturo” di contemporaneità alla fin fine poco “malvagia”, meno perturbante nel suo programmatico (non) essere prevedibile, dalla meticolosità entomologica dei social network pretestuosi ma calibrati per l’Oscar della “consacrazione”, è in questo capolavoro che aggiusta il tiro in “maniera”, e non manierismo, secchissimo, (s)tremante, da inalarci sospiri di “sollievo” stuprati dall’amputazione della requie. Un mozzafiato, perenne, insistito, “esagerato” inseguimento strozzato, sterilizzato in mis(t)ura perfetta.
Il film è già la locandina originale che mette i brividi, nebbiosa, languidamente tatuata nel marchio d’un serial killer “trasparente” ma impercettibile “a occhio nudo”. Amara, a martoriarci.
Lo capti, aguzzi le iridi ma t’acceca in silente abbacinarti di sangue “teso”, raschiato nella tua anima per sempre. Non si cancella il Male, è l’apoteosi estremizzata delle teorie di Nietzsche, la forza segregata, nelle cripte dell’omertà, che si ridesta come un lupo cattivo e strangola, da mostro “antropomorfo”, dai labili contorni “identikit”, le “fragole” dei boschi “mansueti”. Ove le coppie appartate si sbaciucchiano, forse illuse o dimentiche che il Mondo non è regnato, in to(s)to d’angeli amorevoli.
No, purtroppo, ci sono i mostri. Solo la gente in gamba n’è consapevole. E per questo ha paura… ha paura che il vicino di casa, che ti offre lo “zucchero”, possa stuprare tuo figlio minorenne quando gli chiederai d’accudirlo perché sei impegnato col tuo lavoro. Il mostro lo terrà a “bada”, uccidendolo nel mystic river d’una ferita traumatica inguaribile da “incubatrice”, allucinante proprio incubo “fragile” che s’affievolirà dietro taumaturgiche “pozioni” di felicità a sortire solo l’effetto deleterio dell’urlo da mutato tuo licantropo, morso che detonerà dinanzi a una Luna troppo “lucida” per luccicare nel Cuore divorato dal cannibale. Forse, è morto, il dolore hai sigillato, l’hai celato nelle fratture ricucite d’una paciosa maschera ma “addenta” d’altra lagrima opaca a vitr(e)o tuo umano che fu inghiottito prima di “nascerlo”.
Ti “partorì” nel suo graffio, trasmise il seme del Diavolo, baciandoti “carezzevolmente” sulle rubine guance.
Così è Zodiac. In questo vertice paradigmatico che trasgredisce la “logica” della “soluzione… di continuità”, poggia la sua grandezza.
Il “solito” maniaco, mica tanto. Uno dei più famosi della criminologia.
A tutt’oggi, la sua identità è stata sì dedotta dagli “esperti”, ma non è cert(ezz)a.
Fincher passa quasi tre ore a raccontarci la cattura (im)possibile, svia fin dall’inizio.
C’aspettiamo il già visto. Il mostro infatti, come da copione, colpisce senza volto, coperto nella penombra d’una fotografia da cardiopalma nightmare.
Trascorre un po’ di Tempo, anche la clessidra del minutaggio della pellicola, e… tic tac, bussa alla luce del (tras)colorito Sole, in un picnic dolce e scacciapensieri, di nuovo l’uomo nero, in senso figurato e proprio d’abito per come (non) ci appare.
Partono le indagini. Interminabili, da sfiancarci, Fincher si “disinteressa” del cattivo improvvisamente, centra la mira sulle dinamiche fra i personaggi. Chi molla, chi va a vivere lontano perché stanco, non solo dell’orrore del caso, distrutto dai suoi casini, chi ambizioso e giovane persevera “ingenuo” con scaltrezza da regalargli il premio come coglione dell’anno.
Perché, anche dovesse beccarlo, è già diventato William Petersen di Manhunter. Troppo bravo. Che stupido. Che cosa si aspetta?
Il mostro l’ha contaminato, è quasi appunto un Cruising.
Il resto angoscia, non visualizziamo nessun altro omicidio o arresto. O forse sì, chi lo sa? Potrebbe essere quel tizio tozzo nel magazzino, potrebbe anche non essere lui. Ed è qui che il Mondo fa paura.
Potrebbe essere chiunque…
(Stefano Falotico)