MYSTIC RIVER, recensione
Ebbene, oggi recensiamo l’acclamato e celeberrimo Mystic River di Clint Eastwood (Il corriere – The Mule).
Robusto, appassionante, incalzante e commovente drammone della durata di due ore e diciotto minuti uscito in sala nel 2003. Mystic River fu osannato dalla Critica mondiale ma forse, rivisto col senno di poi, sebbene premettiamo subito che trattasi indubbiamente di un’opera di estrema, magistrale, qualitativa importanza indiscutibile, soprattutto imprescindibile per ogni amante di uno dei più grandi registi viventi (atteso a fine anno con la sua attesissima, nuova opus, vale a dire Cry Macho), non sia esente da una certa difettosa, ricercata retorica e, a differenza di altre adamantine opere del maestro Eastwood, asciutte e maggiormente viscerali, sia una pellicola che, in molti punti, paia programmaticamente concepita in modo leggermente ricattatorio, cioè allestita con un’indubbia, premeditata studiatezza ruffiana per piacere a chiunque indiscriminatamente, date le tematiche scottanti in essa trattate e narrate già di per sé accattivanti poiché intrinsecamente seduttive ed eticamente stimolanti.
Mystic River è l’adattamento cinematografico, ottimamente sceneggiato da Brian Helgeland (già writer per Eastwood del magnifico e, questo sì, assai sottovalutato Debito di sangue), dell’omonimo romanzo di Dennis Lehane, da noi tradotto col titolo La morte non aspetta.
Per non sciupare la visione a eventuali ignari di Mystic River, pellicola come detto assai famosa e dunque si presuppone oramai vista da tutti, specialmente da ogni vero cinefilo amante della Settima Arte più imperdibile e pura, ci limiteremo in maniera assolutamente concisa a descrivervene, anzi ad accennarvi alla trama sinteticamente, delineandola nella sua secca essenzialità perentoria:
siamo a Boston nel lontano ‘75 ove la vita di tre ragazzi giovanissimi, Dave, Jimmy e Sean, sarà per sempre sconvolta da una brutale efferatezza mostruosa compiuta a madornale danno di uno loro, cioè il rapimento di Dave Boyle (Jason Kelly da bambino, Tim Robbins da grande), indotto ingannevolmente e in modo apparentemente innocuo da un finto sacerdote a entrare nella sua macchina.
Dave subirà segretamente un’immonda violenza pedofila e, a causa di tale aberrante, incancellabile e traumatico crimine perverso perpetrato contro la sua inviolabile purezza immacolata, da lì in poi dovrà perennemente convivere faticosamente contro i terribili demoni interiori della sua eternamente, psicologicamente lesa coscienza oramai irreversibilmente scalfita e ferita in modo atroce. Molti anni dopo, anche la vita di un altro dei tre, cioè Jimmy Marcum (Sean Penn), sarà emotivamente distrutta.
Poiché, in un bosco limitrofo alla città in cui abita, verrà scoperto in maniera scioccante il cadavere di sua figlia minorenne Katie (Emmy Rossum), barbaramente seviziata e uccisa orridamente.
A indagare sulla sua morte, neanche a farlo apposta, sarà Sean Devine (Kevin Bacon), uno degli uomini dell’inseparabile terzetto dei nostri… amici d’infanzia, adesso divenuto poliziotto.
Ma non è tutto…
Film dai molti ed evidenti pregi, Mystic River è un’opera certamente potente, sensibile e ovviamente perturbante, è il lapidario, mortifero ritratto nerissimo e spettrale di un’America che, da tempo immemorabile, ha perso la sua utopistica, trasparentemente innocente, bianca candidezza virtuosamente virginale a livello naturalmente morale.
Candidato a sei premi Oscar (fra cui Miglior Film e Migliore Regia), Mystic River si aggiudicò le statuette come miglior attore protagonista e come non protagonista, andate rispettivamente a Sean Penn e a Tim Robbins.
Grandioso e impeccabile a livello tecnicamente formale (splendida fotografia di Tom Stern, montaggio di Joel Cox, intera colonna sonora composta da Eastwood stesso), Mystic River è un grande film ma, come dettovi, è altresì il classico crime–drama spesso volutamente toccante da portarci inevitabilmente a credere che, in tal caso, Eastwood abbia peccato di calcolata furbizia per giocare abbastanza facile con temi che, per via della loro inattaccabile natura impegnata, giocoforza suscitano istintivamente lacrime e applausi a scena aperta probabilmente intenzionali, per quanto perdonabili, essendo un’opera bellissima ma partorita da un Eastwood, comunque eccellente, che però aveva preventivamente calcolato che, con un film così, avrebbe sbancato e, come si suol dire, sfondato una porta aperta in modo difficilmente criticabile.
Nel cast, Laura Linney, Marcia Gay Harden e Laurence Fishburne.
di Stefano Falotico