“Voglia di ricominciare”, recensione
Voglia saltami addosso, proverbiale f(r)ase esistenziale di transizioni, risse “funamboliche “con tuo padre, tagli cicatriziali, catartiche (re)visioni della tua boy’s life
Da quando scrivo coll’elegante carattere Garamond, son meno collerico, la tastiera ha assunto un’espressione radiosa e la mia opalescenza, con tendenze all’avvilimento, schizza parole serafiche eppure rasoianti, come pervaso da un senso di pace onirica, che “scolora” imbrunito in saccenti superbie e poi si rinnova placida a cheti fresche nei ritmi di un film che “tramontò”, scordato dal mio Tempo dissipato, qui rivisto a occhi meno gelidi, d’atipia mentale in giocoso umore che ballonzol’ancora intristito spesso, deluso ma, anche cogitabondo in tanti pensieri tetri, si cristallizza euforico a danza dell’anima.
Perché lo sottovalutai alla sua uscita? Forse per prese di posizioni annesse a dizionari che lo liquidarono. Ho imparato che la vita, come i film, sono un’esperienza soggettiva.
Oggi sei un DiCaprio capriccioso a ciuffo “brillantina”, ieri fosti un foschissimo De Niro manesco, quasi LaMotta autodistruttivo nel mai arrestato ardore di farti male e farlo, schivando, picchiando i sentimenti più cari per oscurarti i sibili veri del sangue vivifico.
Un film nostalgico, immerso in atmosfere sonnolente, lento e poi “arrabbiato” nelle lotte discriminanti fra un patrigno violento e l’adolescenza turbolenta, acerba, “dispettosa” d’un adottivo figlio, quasi stronzetto, forse incompreso.
L’amore materno, carne d’una Ellen Barkin trasgressiva, volgare, poi levità di gesti affettuosi da regalarle un sogno lungo una vita, sassofoni “stonati”, strimpellate fra la natura montagnosa, i ricordi che montano nervosi, l’appetito vien mangiando e Leo, il lupo, che De Niro conosce… (non) perde il vizio ma guadagna la borsa di studio.
Film sottostimato, un De Niro attaccato per troppi ghigni “storti” di bocca malferma, invece ottimo, “travolgente” di cattivo-buono oscillante fra un sorriso sincero e la solita buffoneria da (stra)pazzo. Una Barkin, dicevo, commovente ma un’opera autentica, “rustica”, quasi fuori da ogni cronologia, dominata dal carisma giovanissimo, sempre già verde del grande DiCaprio.
Da odiare per la bravura quanto De Niro, entrambi da venire “alle mani”.
Il finale contagia, strozza di libertà, vive in cascate del Cuore.
(Stefano Falotico)