IL GIOCO DI GERALD, recensione
Ebbene, oggi recensiamo un film piuttosto recente, cioè Il gioco di Gerald.
Firmato dal regista di Doctor Sleep, ovvero Mike Flanagan.
Il gioco di Gerald (Gerald’s Game) è un film targato Netflix. Distribuito, da tale appena dettavi piattaforma, nell’anno 2017. Ed è il libero adattamento, vale a dire la trasposizione cinematografica, con alcune licenze e inevitabili modifiche in sede di sceneggiatura, realizzata dallo stesso Flanagan e dal writer Jeff Howard, dell’omonimo e celeberrimo capolavoro letterario di Stephen King. Un thriller psicologico con venature orrifiche di natura puramente ancestrale delle più macabre e inquietanti.
La trama è molto semplice e scarnificata, eh eh, no, scarna:
Gerald Burlingame (Bruce Greenwood, Rambo, Indian – La grande sfida, Thirteen Days e lo stesso su citato e successivo Doctor Sleep) e l’avvenente, seducente moglie, Jessie (Carla Gugino, Sfida senza regole, Omicidio in diretta, Watchmen) sono, per l’appunto, una coppia di coniugi già in crisi matrimoniale. Gerald e Jessie decidono di trascorrere un weekend diverso dal solito. Il loro diversivo, se così possiamo definirlo, sarà recarsi nella loro casa vicina a un lago per godersi spensieratamente e “ludicamente” il fine settimana. Al che Gerald ha la balzana, un po’ perversa idea di sperimentare dei torbidi, irruenti e leggermente sadici e trasgressivi giochi d’adulti con la sua consorte. Ammanettandola al letto per gustare irruentemente con lei, lascivamente e inizialmente giocosa e consenziente, passionalmente e probabilmente in modo troppo arditamente sessuale, una giornata a base di sano divertimento piccante dei più stuzzicanti e morbosi. Osiamo dire, in maniera spinta e osé, al limite della fantasia proibita d’uno stupro inscenato per piacere sensualmente ludico. Dunque, all’improvviso, Gerald subisce un infarto, sì, un letale arresto cardiaco fulmineo e fulminante. Accasciandosi sul colpo e stramazzando al suolo, inerme.
Jessie, all’inizio, crede che lui stia scherzando. Poi, dopo pochi istanti, s’accorge invece che suo marito è morto sul serio. Poiché avvista immantinente il suo sangue fuoriuscirgli dal cranio.
Jessie si trova dunque legata agli stipiti del letto, mezz’ignuda, infreddolita nel calare impietoso della notte più spettrale delle sue solitarie angosce destinate, purtroppo per lei, a materializzarsi in un incubo a occhi aperti da cui pare non esservi via di scampo e da cui sembra non possa uscirne incolume mentre perfino un cane lupo solitario e affamato di carne fresca, spaventevolmente, le fa inaspettata visita.
Jessie, in preda al terrore e all’incalzante panico, non riesce più a distinguere la realtà oggettiva e umanamente sensoriale dall’immaginazione più allucinatoria, crollando lentamente eppur in modo crescentemente allarmante dentro la tetra, soffocante e ansiosa spirale d’una spasmodica angustia emotiva e doglianza percettiva via via più devastante.
Il gioco di Gerald, parimenti al romanzo di King, di cui tutto sommato è una fedele elaborazione efficace che smentisce quindi coloro che non pensavano fosse possibile trasferire visivamente l’opus suddetta di King, in quanto quest’ultima era allestita quasi esclusivamente sulle dinamiche, potremmo dire metaforicamente, atmosferiche dell’animo umano perturbato da infernali frangenti imponderabili e, in forma raccapricciante, in tal caso, dell’impaurita e incolpevole, povera Jessie, le cui emozioni, nel corso della sua tremenda avventura scioccante, cangiavano in modo precipitevolmente preoccupante, è un film più che meritevole della nostra attenzione e sostanzialmente più che decoroso, perciò abbastanza encomiabile.
Innanzitutto, com’appena scrittovi, non era facile rendere in immagini un libro che, a eccezion fatta del suo incipit, è pressoché privo di dialoghi, inoltre Flanagan (Il terrore del silenzio) dimostra di saper maneggiare con ottimo ritmo la narrazione onirica e al contempo sfuggente d’un materiale così, ripetiamo, a prima vista intraducibile e difficilissimamente intelligibile in chiave filmica.
Giostrandosi fra intelligenti trovate registiche di valente efficacia, perfino suggestivamente rilevanti. Infatti, Flanagan ricevette addirittura il plauso di nientepopodimeno che lo stesso Stephen King in carne e ossa, eh eh, il quale infatti spese molte parole d’elogio per tale da lui ammirato Il gioco di Gerald, in quanto lo definì perfettamente riuscito e ipnotico.
Molto del merito, comunque, della sua effettiva riuscita va alla performance d’una Carla Gugino a sua volta magnetica, bravissima e consuetamente, fisicamente stupenda e sensualissima, oltre che morbidamente, fascinosamente brillante, in senso attoriale parlando.
Il gioco di Gerald non è un grande film ma è un film figlio d’un regista ben conscio di non essere Stanley Kubrick (l’allusione comparativa, ovviamente, non è casuale). Il quale, ribadiamo, non ambendo per l’appunto a pretenziosità autoriali da incorniciare nei cinematografici annali della settima arte più memorabile, si limita distintamente a confezionare un buon prodotto d’entertainment con alcuni picchi immaginifici per niente malvagi…
Un buon film checché ne dicano molti incompetenti. Il film talvolta spaventa e rabbrividiamo dinanzi non tanto al lupo cattivo, bensì dirimpetto alla solita procace e arrapante Carla Gugino, una donna talmente bona da stimolare appetiti succulenti veramente piccanti. Eh eh. Non amo i lupi, sono una volpe. Ricordate: la volpe ottiene l’uva.
di Stefano Falotico