RITORNO AL FUTURO, recensione
Ebbene oggi recensiamo un film capitale della Storia del Cinema, una perla assoluta delle più indimenticabili e imprescindibili della settima arte più leggiadra e fantasiosamente onirica, una strepitosa e immortale commedia fantascientifica eternamente incastonata non soltanto nella memoria adolescenziale d’ogni spettatore mondiale, ovvero Ritorno al futuro (Back to the Future). Pietra miliare datata anno 1985 ma film, per l’appunto, che non sarà mai datato e giammai passerà di moda, non sarà cioè mai anacronistico a prescindere dal tempo intercorso fra la sua release nelle sale e ogni, potremmo dire simpaticamente e in forma citazionistica, “flusso canalizzatore” del continuum spazio temporale presente e/o prossimo venturo. Un film avanguardistico, Ritorno al futuro, che ai tempi della sua uscita, per l’appunto, riscosse immantinente un colossale successo di pubblico straordinario, totalizzando incassi da capogiro a livello planetario in maniera spasmodicamente universale, giustamente. Poiché Ritorno al futuro non è soltanto una delle vette più apoteotiche, fantasmagoriche e strabilianti del suo regista, il mirabolante e sempre lungimirante Robert Zemeckis, bensì rappresenta lo zenit, tuttora irraggiungibile e inviolato, imbattuto e supremo, d’ogni maggiore pellicola sui viaggi temporali e sulla soave beltà mnemonica del dover ricordare perennemente a noi stessi che il nostro destino non è già scritto, è continuamente suscettibile di possibilità revisionistiche. Noi però, pur avendo visto mille e più volte Ritorno al futuro, nonostante l’abbiamo oramai riguardato interminabilmente, non rivedremo mai la sacrosanta e nettissima affermazione secondo cui Ritorno al futuro, per l’appunto, come sopra già evidenziatovi chiaramente, fu ed è, rimarrà un masterpiece intoccabile e inamovibile che resisterà vita natural durante all’usura e all’avanzamento del tempo, conservando, in modo inscalfibile, cristallinamente il suo infrangibile valore marmoreo e la sua immacolata, abbacinante forza di suggestione adamantina. Un capolavoro cristallizzato indissolubilmente nella bacheca antologica del nostro averlo, in forma granitica, gelosamente custodito nella nostra pura biblioteca cinefila che lo eternerà, sino alla fine di tutti i tempi, all’interno del nostro averlo ascritto al nostro stesso vissuto indivisibile. Perdonateci se, in tale frangente, siamo stati ermetici o ridondanti, leggermente. Ma Ritorno al futuro, rimarchiamolo, è un film degno d’essersi conquistato, per l’appunto, nel corso del tempo, il perentorio suo posto d’onore nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti nel National Film Registry. La nostra non è eccessiva magnificazione nei riguardi di Ritorno al futuro, bensì equanime venerazione onestamente inequivocabile. In quanto, nessun uomo al mondo non può che amare alla follia questo capolavoro impareggiabile e insuperato. Per quanto tutti voi, presumo, l’avete visto, ci limiteremo a delinearvi la trama in pochissime righe, letteralmente estrapolandovela dal buon Dizionario dei Film Morandini che gli assegna un lusinghiero ma non eccelso voto di tre stellette, comunque sia, piene, sinteticamente giudicandolo assai positivamente: «Un diciottenne (Michael J. Fox) fa amicizia con uno strambo inventore (Christopher Lloyd) che, con la sua macchina per viaggiare nel tempo, lo manda indietro nel 1955, facendogli correre il rischio di far l’amore con la sua futura mammina. Sotto la scorza del racconto fantastico, è un film nel segno della nostalgia, a mezza strada tra la critica di costume e l’elogio del perbenismo. Divertente, perfetto congegno a orologeria. Scritta dal regista con Bob Gale, la sceneggiatura fu candidata all’Oscar. 2 seguiti».
Che dire, il compianto Morandini, il cui tomo dizionaristico è or stato ereditato dalle figlie Laura e Luisa che, invariabilmente, ne lasciano intatto il suo netto giudizio, ci trova concordi, ovviamente parzialmente.
Poiché, sebbene così come sottolineato anche dal suo rivale “enciclopedico” Paolo Mereghetti, Ritorno al futuro risenta, certamente, d’una indubbia leziosità hollywoodiana dall’happy end consolatorio (non è spoiler, d’altronde, come detto, Ritorno al futuro l’ha visto chiunque, non solo fra l’altro una sola volta) e, in fondo, d’una morale retorica e sdolcinatamente un po’ ruffiana, malgrado fosse stato cucinato per il grande pubblico non soltanto borghesemente americano, mantiene invece integro il suo fascino magicamente affabulatorio, è un film ammaliante, pazzescamente divertente e, detta come va detta, geniale. Capace di cambiare molti registri in una mescolanza di generi che vanno speditamente dall’action alla commedia brillante, dalla science fiction più spigliata al Cinema d’avventura più coloratamente avventuroso e pieno di sorprese esaltanti.
Musiche del compositore di colonne sonore preferito di Robert Zemeckis (Benvenuti a Marwen), cioè l’immancabile Alan Silvestri (Forrest Gump), fotografia di Dean Cundey. Anch’egli frequente collaboratore di Zemeckis, vedasi, per esempio, Chi ha incastrato Roger Rabbit e La morte ti fa bella.
Nel cast, Lea Thompson, Crispin Glover, rispettivamente nei panni di Lorraine Baines e George McFly, cioè i futuri genitori del personaggio principale, ovvero Marty McFy, vale a dire Michael J. Fox, Thomas F. Wilson nel ruolo del mitico, antipaticissimo e al contempo esilarante e buffissimo bullo Biff Tannen, perfino un giovanissimo Billy Zane (Titanic) e la bella Claudia Wells as la fidanzata di Marty, Jennifer Parker. Che sarà poi sostituita dall’ancora più attraente Elisabeth Shue.
Fra i produttori, se mai ce ne fosse il bisogno di dirlo, quel geniaccio inaudito di Steven Spielberg.
di Stefano Falotico