SERGIO LEONE & la sua TRILOGIA DEL TEMPO

In occasione della straordinaria e irrinunciabile edizione in cofanetto su Sergio Leone, intitolata La trilogia del tempo, disponibile all’acquisto a partire dall’imminente 17 Novembre, prenotabile fin da ora peraltro, disamineremo qui per l’appunto questa magnificenza imperdibile per ogni vero cinefilo di razza e assolutamente immancabile nella personale videoteca anche dei meno aficionado di Leone.Sergio Leone trilogia tempo

Innanzitutto, cos’è la trilogia del tempo leoniana? Con quest’espressione, s’intende, a livello puramente convenzionale, il terzetto delle ultime pellicole dirette da Leone, vale a dire C’era una volta il West, Giù la testa e C’era una volta in America, a loro volta realizzate e concretizzatesi nell’arco di ben sedici anni, aventi come principale tematica, potremmo dire, diegetica e non, la questione “time”. Non a caso, i titoli originali, per meglio dire americanizzati per il mercato mondiale di due delle opere sopra appena citatevi, contemplano esattamente la scritta… Once Upon a Time…

Film capitali, sviluppati secondo salti per l’appunto notevolmente temporali, imbastiti attraverso un uso ripetuto di flashback e svariati, labirintici passaggi avanti e indietro del tempo stesso in essi sviluppato, dilatato, trasfigurato, da Leone romanzato e personalissimamente elaborato. La trilogia del tempo, però, attenzione, non fu concepita a tavolino e originariamente programmata in questo senso ma scaturì per magiche fatalità del trascorrere stesso del concettuale, diciamo, tempo filmografico-cineastico ed esistenziale di Leone. Cioè, a differenza di quella denominata del dollaro, partorita subitaneamente come tale e ideata fin dapprincipio da Leone secondo il suo meditato volere (tant’è vero che le pellicole concernenti quest’ultima, ovvero Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo, uscirono rispettivamente e cronologicamente una di seguito all’altra a distanza di pochissimi anni), quella del tempo nacque, si ramificò e venne da sé. Chiariamo questo immantinente per quanto forse, nella mente di Leone, fosse chiaro, perlomeno a livello ideativo, di volerla prima o poi effettuare integralmente. La trilogia del tempo, oltre a vertere naturalmente sul concetto, evidenziamolo nuovamente, di tempo nella sua accezione anche più figurata, un tempo espanso e non, filtrato mediante la sua stilistica ottica poetica e il suo sguardo registico intimo e assai peculiare, è costituita da tre film che, nonostante siano di generi diversi, cioè un western, un dramma picaresco e un’epopea gangsteristica, presentano molti e significativi tratti in comune. Inoltre sono tutti e tre musicati da Ennio Morricone, fra l’altro così come avvenuto per quella del dollaro, e montati da Nino Baragli.

Or dunque, immergiamoci in questo viaggio mnemonico e sul tempo, partendo da C’era una volta il West.

Parliamo di un film tanto epicamente indimenticabile e oramai celeberrimo quanto altamente ancora discusso. Ci spiegheremo meglio nelle immediate righe seguenti. Innanzitutto premettiamo che, oggigiorno, C’era una volta il West viene dizionaristicamente ascritto alla cosiddetta trilogia del tempo di Sergio Leone, dopo quella, sempre in ambito prettamente generalista-archivistico del dollaro, constante di Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più & Il buono, il brutto, il cattivo. Rimarchiamolo di nuovo.

C’era una volta il West, pellicola della mastodontica e prominente, rilevante e corposissima durata di due ore e quarantacinque minuti nella sua versione originale presentata nelle sale europee ai tempi della sua ufficiale release, avvenuta precisamente a fine dicembre del ’68, di 145’ invece in quella americana dell’anno sempre suddetto (che, purtroppo, si rivelò fallimentare e la precluse, in seguito alle forti stroncature d’oltreoceano, dalla corsa gli Oscar), di circa tre ore nette infine per quanto riguarda la restaurata director’s cut definitiva.

Ebbene, considerando C’era una volta il West il capostipite della trilogia del tempo sopra accennatavi, dunque conseguentemente ivi citandovi i due suoi seguiti, per meglio dire, prosecuzioni ideali, facenti parte per l’appunto, del trittico di tale convenzionale, diciamo, nomenclatura importante, vale a dire Giù la testa e l’altrettanto impressionante e monumentale C’era una volta in America (un colossale epitaffio oltre che memorabile, vero e proprio memoriale leoniano in senso totale), adesso ve ne parliamo in modo speriamo approfondito eppur non troppo prolisso, bensì esaustivamente limpido e puntuale.

Ovviamente, diretto da Sergio Leone, C’era una volta il West fu scritto e sceneggiato dallo stesso Leone assieme a Sergio Donati, a partire da un forte soggetto ideato e curato nientepopodimeno che da due dei cineasti più rilevanti e pregiati della nostra e mondiale cinematografia più elevata, ovvero il compianto Bernardo Bertolucci e Dario Argento, e venne prodotto dall’internazionale Paramount Pictures che, per l’occasione, v’investì un budget piuttosto cospicuamente considerevole. Concedendo addirittura a Leone il privilegio di girare molte scene nella Monument Valley. Laddove il padre pionieristico e fondatore statunitense del western per eccellenza, John Ford (Sentieri selvaggi), ambientò alcuni dei suoi massimi capolavori epocali. A inizio di questo nostro scritto, abbiamo affermato che C’era una volta il West, pur essendo or reputata quasi unanimemente dalla maggior parte dell’intellighenzia critica una pietra miliare inamovibile della settima arte più intoccabile, a proposito di tempo, impiegò non pochi anni per ottenere tale primato e traguardo adesso non scalfito e indiscusso. Poiché dapprincipio fu invece molto snobbata e malvista addirittura, non soltanto dai critici, bensì paradossalmente da una buona fetta di spettatori che non gradirono, di primo acchito, l’impianto, a detta loro, eccessivamente retorico, potremmo dire, all’italiana che la innerva. Noi pensiamo naturalmente che trattasi di una grande pellicola insindacabilmente ma vogliamo, in questa sede, estrapolarvi testualmente le critiche e le rispettive votazioni assegnatele dai tre dizionari di film più noti del nostro Paese, ossia il Morandini, il Farinotti e il Mereghetti. Questi ultimi, ahinoi, concordi a definire C’era una volta il West una pellicola per l’appunto fallace e incompiuta, esageratamente artefatta e finanche pletorica, sebbene funzionalmente, suggestivamente lirica e visivamente affascinante, sopravvalutata e, a lor dire, peccante di troppa voluta voglia artificiosa di risultare forzatamente magniloquente, quindi affetta da una certa compiaciuta, furbesca leziosità e da un’imperdonabile ridondanza stilistica un po’ stucchevole. Come se C’era una volta il West appaia ai loro occhi come un’opus adulterata da una formale ricercatezza inesorabilmente insincera e meno intellettualmente verace rispetto ad altre opere, sì, pur sempre molto sofisticate eppur più stimate e ritenute più autentiche, di Leone. Ciò è blasfemia pura?  Ecco le suddette opinioni messe a confronto. Iniziamo con quella del Morandini. Positiva e da quattro stellette piene assegnate. Dal cui dizionario vi estraiamo e apponiamo anche la trama: Cinque personaggi si affrontano intorno a una sorgente: Morton (Gabriele Ferzetti), magnate delle ferrovie, ha bisogno dell’acqua per le sue locomotive e fa eliminare i proprietari legittimi, i McBain, dal suo feroce sicario Frank (Henry Fonda); Jill (Claudia Cardinale), ex prostituta, vedova di un McBain; il bandito Cheyenne (Jason Robards), accusato della strage dei McBain; l’innominato dall’armonica (Charles Bronson) che vuole vendicare il fratello (Frank Wolff), assassinato da Frank e i suoi sgherri.

Secondo Morandini, il film è pienamente da promuovere ed elogia quest’elegia ricolma di grandeur che lui definisce liturgica. Secondo Farinotti, invece, C’era una volta il West è un film pregno di poesia adatta solamente ai “ragionieri”. Ci sfugge, francamente, il significato di quest’assurdità vergata nero su bianco nel suo orgoglioso tomo. Contento lui… Mentre per Mereghetti, il film è strepitoso nelle sue singole parti e un capolavoro nelle combinazioni riuscitissime fra musica e ritmo delle immagini ma è allo stesso tempo pieno di personaggi irrisolti, possiede una trama sfilacciata, quindi non omogenea, spesso contorta e lo reputa macchinoso. Noi discordiamo in toto da Farinotti e da Mereghetti ma, per dovere di cronaca, vi abbiamo riferito quanto da loro espresso.

Passiamo dunque al secondo capitolo della trilogia del tempo, Giù la testa.

Soltanto oggi come oggi, Giù la testa è considerata una pellicola estremamente qualitativa. Così infatti come successo ad altre opere di Leone, fu assai sottovalutata. Anzi, a essere più obiettivi, Giù la testa fu il film incomprensibilmente più snobbato perfino dai fervidi ammiratori di Leone.

Film del 1972, Giù la testa è un film “politico”, apertamente di sinistra. Non a caso, apre con una citazione di Mao. Inizialmente, doveva intitolarsi C’era una volta la rivoluzione. E abbiamo detto tutto…

Interpretato magistralmente da due attori d’eccezione, i premi Oscar e compianti Rod Steiger e James Coburn, Giù la testa è la storia di un bandito messicano che si associa a un ex terrorista dell’IRA.

Unendo le forze, i due intrepidi gaglioffi cercheranno fra mille e più disavventure, di far fronte al regime…

Nel cast, Romolo Valli. Differentemente da C’era una volta il West e C’era una volta in America, stavolta la fotografia non è di Tonino Delli Colli, bensì di Giuseppe Ruzzolini.

Arriviamo infine a C’era una volta in America. Che recentemente avevamo già ampiamente analizzato.

C’era una volta in America andò incontro a molteplici difficoltà produttive ed ebbe una gestazione difficilissima. Opera testamento di Leone, il quale poi non riuscì mai a iniziare le riprese del suo agognato, irrealizzato film sull’assedio di Leningrado, C’era una volta in America è l’unico film di Leone tratto, seppur liberamente e con alcune licenze, da un romanzo. Cioè The Hoods di Harry Grey.

Nel corso del tempo, è uscito in varie versione. L’ultima, al di là di quella cinematografica, di quella ridotta statunitense e di quella estesa, è della bellezza immensa di 276 minuti. Praticamente e, per difetto, dura quattro ore.

Ed è la cronistoria, à la Marcel Proust, di due ex amici dell’infanzia, Noodles (Robert De Niro) e Max (James Woods) che, dopo essere divenuti gangster e soci in affari sporchi, fra litigi, intrighi, doppi giochi e sconsiderati colpi bassi, una donna da entrambi amatissima di nome Deborah e amici più o meno balordi, attraverseranno quasi mezzo secolo di vita, dagli anni venti ai sessanta e oltre, vivendo il Proibizionismo e contendendosi, da amici-nemici inseparabili e inguaribilmente rivali, potremmo dire, il senso di un’esistenza bigger than life.

Ma forse fu tutto un sogno immaginifico e immane, scandito dalle evocative note musicali Morricone, della nostalgica Yesterday dei Beatles, di Amapola e dalla sempiterna Summertime.

Parimenti, il Cinema di Sergio Leone è sognante, delirante, fantasmagorico e soprattutto immortale.bronson volta il west

di Stefano Falotico

 

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