È STATA LA MANO DI DIO (The Hand of God), recensione
È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino – Una soave, malinconica e onirica ode romantica
Ebbene, è finalmente uscito sui nostri schermi e da noi recensito, dopo essere stato apprezzatamente presentato alla 78.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, È stata la mano di Dio, firmato da Paolo Sorrentino. Del quale, peraltro, poco prima della kermesse veneziana, disaminammo brevemente il suo excursus filmografico, concentrandocene nei suoi punti salienti e, osiamo dire, vincenti.
All’epoca, azzardammo a porvi la semplice ma stimolante, seguente domanda, ovvero è il regista italiano, se non più grande, attualmente più importante? E, in tale sede, aggiungiamo noi anche più internazionalmente esportabile? Considerato il fatto, giustappunto, che È stata la mano di Dio è il film dalla nostra commissione selezionato per poter essere nominato alle prossime candidature agli Oscar. Nella speranza, c’auguriamo vivamente, che possa bissare il successo come Miglior Film Straniero dopo la strepitosa, perfino un po’ inaspettata vittoria di Sorrentino agli Academy Awards con La grande bellezza?
Sì, È stata la mano di Dio, possiamo garantirvelo, ha tutte le carte in regola per vincere ancora e potersi aggiudicare dunque il massimo e più ambito riconoscimento mondiale da noi tutto agognato.
Però, premettiamo subito e doverosamente che È stata la mano di Dio, rispetto alla Grande bellezza, se ne discosta notevolmente per tematiche affrontate, opposte diametralmente. Se ne differenzia innanzitutto, ciò salta all’occhio immantinente, per l’ambientazione, essendo stato La grande bellezza ambientato nella capitale, cioè Roma, mentre è Napoli, in tutto e per tutto, la città protagonista di È stata la mano di Dio. Città fascinosa e folcloristica, ricolma di rilevante storia rinomata, città criticata e poi assai amata, denigrata e osteggiata da chi, affetto dai peggiori luoghi comuni (e questo non è un gioco soltanto di parole effimero o velleitario), reputa Napoli solamente una città quasi desolante che alterna, forse pateticamente, alla sua magnificenza architettonica, degna d’esser ritratta in modo pittorico e non solo raffigurata, in senso ridicolmente grottesco, in maniera impropriamente pittoresca e dispregiativamente ironica, la sua sana, creativa, vivaddio vitalistica follia di cui è intrisa a partire dalle sue veraci viscere partenopee, per l’appunto, e dalle sue epocali fondamenta importanti. Permetteteci tali licenze poetiche poiché Napoli è al centro di questa nuova storia tipicamente à la Sorrentino. Girata alla sua maniera, forse meno manieristica e artefatta se messa a confronto con la sua solita cifra stilistica, da molti detrattori di questo regista ritenuta estetizzante, a tratti eccessivamente calligrafica come ne La grande bellezza, fra l’altro.
Con È stata la mano di Dio, Paolo Sorrentino, coraggiosamente, compie un’operazione nostalgica gloriosa, straordinariamente autobiografica e, per l’appunto, fortemente stoica. In quanto, come sappiamo, ci racconta intimamente la sua vicenda personale, essenzialmente la sua storia. La sua vita, quindi, romanzandola delicatamente, liricamente trasfigurandola attraverso una magica macchina da presa pregna di sconfinata passione per il Cinema e incantevolmente ricolma della sua stessa esistenza che profuma di rinascita tanto imprevista quanto miracolistica. Giovanilmente difficile, segnata da un gravissimo lutto indicibile, cioè la tragica e prematura scomparsa dei suoi genitori. Un episodio impossibile da dimenticare, un avvenimento assai triste che nessuno può con facilità dimenticare. Ma può comunque sublimare, cicatrizzando tale immane, irreversibile ferita dell’anima, svoltando altrove, volando alto nella fantasia più pura e piena d’amore, volteggiando per scordare tutto, soprattutto il lutto, e altresì, dalle profondità del dolore interiore, risorgere invigoriti e gagliardamente, se possibile, ancora più sognatori. Ancora più inarrendevoli dinanzi alla beltà e al contempo alla durezza che una complessa, tentacolare giungla metropolitana come Napoli può sbatterti in faccia senza molte parsimonie.
È stata la mano di Dio è indiscutibilmente un capolavoro. Fra le opere di Sorrentino, la più autentica, la più intima, la più romantica, la più emozionalmente mastodontica.
È un viaggio introspettivo, intarsiato e corredato d’immagini bellissime, nel passato di Sorrentino da lui poetizzato, da lui finanche polemizzato, odiato ma inevitabilmente riabbracciato. Un tuffo spettacolare non solo, paesaggisticamente parlando, nel mare che costeggia il Vesuvio, spentosi vulcano che si staglia però eternamente prominente nella sua Napoli stramba e colorata, nella sua Napoli magnifica in quanto debordante di umanissime contraddizioni impagabili. Per di più, È stata la mano di Dio diviene un tuffo marino, a livello metaforico, sì, prettamente figurato eppur persino esteticamente figurativo, nel liquido e incandescente magma esplosivo dei ricordi che tornano a galla e si visualizzano d’incanto. I ricordi che, anziché intristire, ridonano respiro sensibile e alato.
Quei ricordi che fanno male, gli stessi ricordi che pensavi forse, in modo illusorio, d’aver per sempre rimosso ma, invece, come detto, prima o poi riaffiorano, riemergendo prepotenti, irreprimibili e potentissimi come la furia illuminante di Nettuno.
Perché non puoi spegnerli come lo stesso Vesuvio.
Essi, infermabili, tacquero e potesti, arrendendotene, soggiacerne melanconicamente, ma prima o poi ribollono visceralmente in maniera ineludibile e rilucente. E, da tale sussultante ribollio furioso dell’inconscio rispuntato, apparentemente sommerso e soppresso, ecco che quella disumana morte si trasforma in voglia incredibile di vivere, di rivivere di nuovo.
Di risentire la vita ancora e ancora, ancora e ancora.
È stata la mano di Dio, ripetiamo, è un’opera immensamente bella, eccezionale e poetica.
Dunque, ci prepariamo con impavido orgoglio, non solo da fervidi napoletani, fieri giustamente delle loro origini, nonostante i loro stessi mille difetti, a concorrere agli Oscar per vincere un’altra volta.
Risuona, anche nel trailer, riguardo Diego Armando Maradona, quell’epica esultazione esclamante… è un gigante!
Ecco, se per Sorrentino, Maradona ebbe poteri, a detta sua, quasi divinatori o associabili al divino, in quanto da Sorrentino ritenuto un prodigio della natura inaudito, capace col suo genio balistico di emozionare un’intera città contradditoria, ostica ed eroica come Napoli, È stata la mano di Dio è parimenti un grandissimo film, uno strepitoso goal imparabile dei più spiazzanti e sorprendenti. Soprattutto, evidenziamolo ancora, una vetta della settima arte delle più romantiche e vellutate. Ruspante, calorosa, stupendamente malinconica e toccante.
È il colpo geniale e passionale che il Cinema italiano aspettava da tempo immemorabile.
Cast:
- Filippo Scotti: Fabietto Schisa
- Toni Servillo: Saverio Schisa
- Teresa Saponangelo: Maria Schisa
- Luisa Ranieri: Patrizia
- Betti Pedrazzi: Baronessa Focale
- Massimiliano Gallo: Franco
- Renato Carpentieri: Alfredo
- Cristiana Dell’Anna: Sorella di Armando
- Monica Nappo: Silvana
- Enzo Decaro: San Gennaro
- Biagio Manna: Armando
- Sofya Gershevich: Yulia
- Marlon Joubert: Marchino Schisa
- Rossella Di Lucca: Daniela Schisa
- Ciro Capano: Antonio Capuano
- Lino Musella: Marriettiello
- Adriano Saleri: assistente Fellini
- Roberto Oliveri: Maurizio
- Carmen Pommella: Annarella
- Fiorenza D’Antonio: Gigliola
Il nudo integrale di Luisa Ranieri già varrebbe interamente il prezzo totale del biglietto. Ma questo è niente. Siamo di fronte a un film perfetto come la Venere di Botticelli. Poesia purissima incastonata in immagini poetiche oltre il concetto di stupendamente incantevole.
di Stefano Falotico