C’ERA UNA TRUFFA A HOLLYWOOD, recensione
Ebbene, oggi vi parliamo di C’era una truffa a Hollywood, diretto da George Gallo.
Pellicola disponibile alla visione, qui in Italia, dal 26 dicembre scorso su Sky Cinema e disponibile in Blu-ray per l’acquisto a partire dal 19 gennaio 2022, C’era una truffa a Hollywood è la “traduzione”, assai eccentrica e non poco, potremmo dire, naïf, bislacca e cinefilo-citazionistica del suo titolo originale, assai dissimile nel suo significante, ovvero The Comeback Trail.
Su IMDb, il film viene accreditato erroneamente e imprecisamente come C’era una truffa ad Hollywood, quindi con una d eufonica che, in tal caso, oltre a essere grammaticamente scorretta e sconveniente, risulta e risona parecchio cacofonica e, ripetiamo, del tutto errata.
C’era una truffa a Hollywood (questa, la dicitura corretta ed esatta), come sopra dettovi, è un film diretto dal regista di Homeland Security. Gallo è più comunemente noto ai più e apprezzato per essere stato, fra gli altri e peraltro, lo sceneggiatore dello splendido Prima di mezzanotte con Robert De Niro. Il quale, di tale C’era una truffa a Hollywood, è uno degli interpreti principali assieme a Tommy Lee Jones, con cui aveva già lavorato in Cose nostre – Malavita di Luc Besson, e Morgan Freeman. Quest’ultimo, già a sua volta, attoriale partner lavorativo di De Niro per Last Vegas di Jon Turteltaub.
Freeman, che pare aver oramai collaudato un’amicizia, una forte intesa e affinità elettiva con George Gallo. In quanto, prima di C’era una truffa a Hollywood, nelle seguenti righe da noi ovviamente recensito e disaminato, aveva già girato con Gallo il film La rosa velenosa e, prossimamente, lo vedremo sempre per la direzione registica di Gallo, per l’appunto, in Vanquish e in Muti.
C’era una truffa a Hollywood è una spassosa, leggerissima e non troppo impegnata, in verità esilarante e scanzonata commedia agrodolce pregna di umorismo nero vivace e perfino macabro, ricolma di omaggi a tutt’andare al Cinema del passato e giocosamente intrisa, pervasa e corroborata addirittura da pugnaci e sottili venature noir-gangsteristiche se non memorabili, perlomeno nient’affatto disprezzabili, anzi, decisamente intelligenti e, ribadiamo, allettanti e dilettevoli. Ed è un remake, molto sui generis e all’americana, di un’omonima e misconosciuta opus di Harry Hurwitz. Per l’occasione, liberamente e creativamente reinventata, rielaborata, adattata e sceneggiata dallo stesso Gallo & Josh Posner.
Ora, passiamo velocemente alla trama:
Max Barber (un istrionico e buffonesco De Niro al top del suo camaleontismo autoironico, sebbene la sua recitazione sia caricata e smorfiosa) è uno scalcagnato e disperato produttore cinematografico di pellicole di bassa categoria, vale a dire dei cosiddetti b movies pedestri.
Il quale, fra un intrallazzo e l’altro, tra un film sgangherato e altre pellicole abbastanza infime, sciatte e mediocrissime, tira a campare alla bell’è meglio, arrangiandosi come può per sbarcare il lunario. Così facendo, si barcamena e vivacchia, anzi, cerca di sopravvivere nel duro mondo hollywoodiano, competitivamente difficilissimo.
Inoltre, oltre ad avere un’esistenza, non solo professionalmente parlando, piuttosto insoddisfacente e scombussolata, è in grave e insaldabile debito economico, a causa delle sue modeste finanze prosciugatesi, con un pericoloso e potente boss malavitoso del luogo di nome Reggie Fontaine (Freeman). Cosicché, angosciato a morte, strozzato psicologicamente e a livello logistico e pecuniario, impossibilitato realisticamente ad estirpare il saldo con Fontaine, di comun accordo truffaldino con Fontaine stesso, decide d’avventurarsi, diciamo eufemisticamente, attraverso un territorio veramente rischioso, osiamo dire criminoso.
Cioè assoldare un attempato attore praticamente fallito, sul viale del tramonto e con manie suicide, Duke Montana (Lee Jones), ex star da quattro soldi di western alquanto osceni e scemi, in termini qualitativi, di certo non paragonabili ai capolavori inarrivabili di John Ford con John Wayne.
Scherzando e giocando anche con le parole, potremmo dire, western ben lungi, anzi, lontani anni luce dall’essere monumentali, naturalmente impossibili da incorniciare nella settima arte più elevata e raffinata, in cui però almeno compare spesso la Monument Valley a far da cornice alla triste “panoramica” della parabola discendente e amarissima di Montana.
Difatti, Barber vuole pianificare delittuosamente, d’omicidio preterintenzionale, addirittura la morte di Montana, volutamente girando e finanziando un film con Montana protagonista, contenente molte scene, senza stuntman, che vedranno Montana spericolatamente destreggiarsene arditamente a suo completo rischio non assicurato…
Per farla breve, Barber spera che Montana muoia sul set della sua nuova cialtronata imbarazzante, in modo tale da poterne intascare l’assicurazione precedentemente, come da contratto, con Fontaine pattuita e furbescamente stipulatagli.
Tutto andrà secondo i suoi loschi piani malsani?
C’era una truffa a Hollywood è esso stesso un film di serie b girato a mo’ di totale divertissement senza velleitarie pretenziosità artistiche e/o autoriali di sorta. Dunque, non si prende sul serio e lascia vedersi volentieri, date le sue esplicite intenzioni smaccatamente, più che trash, godibilmente e marcatamente kitsch.
Gallo, dunque, perfettamente conscio di filmare e firmare una semplice commedia parodicamente grottesca e per niente ambiziosa, da buon mestierante-artigiano qual sa altresì modestamente di essere coscientemente, desidera sol intrattenerci con una burlesca e buffa operetta sbarazzina di rapidissimo consumo, al fine di deliziarci e distrarci spassionatamente con un filmetto innocentemente allegro e adorabile, senza però rinunziare a qualche sorprendente guizzo arguto e inaspettatamente colto e cinefilo.
Il superbo trio formato dai mostri sacri De Niro-Lee Jones-Freeman si disimpegna con navigata bravura senza, ovviamente, strafare più del dovuto. Com’è giusto che sia. Anche perché il film non lo richiede.
C’era una truffa a Hollywood, come da noi ampiamente esplicatovi ed esposto, non è nulla di più d’una appetitosa sciocchezzuola realizzata e appositamente concepita per essere uno “stupido” guilty pleasure e basta.
Perciò, se non gradite questo tipo di operazioni cinefile innocuamente scherzose e farsesche, se le reputate solamente un’inutile perdita di tempo, per l’appunto, lasciate perdere subito.
Nell’eterogeneo, variegato e variopinto cast, fra notevoli caratteristi e facce uniche, assai adatte per un film congegnato così, Zach Braff (in verità, co-protagonista insieme a De Niro), Kate Katzman, Eddie Griffin, Patrick Muldoon, Chris Mullinax, la bellissima Julie Lott, Vincent Spano & Emile Hirsch (Into the Wild, Killer Joe).
Fotografia, chiaramente demodé, vintage e rozza, di Lucas Bielan.
Il film è naturalmente una stronzata colossale e non un colossal memorabile. Una cialtronata quasi falotica. Dunque, un vero capolavoro nel suo genere, una rarità pregiata. De Niro gigioneggia a briglia sciolta, i cavalli son imbizzarriti e il regista è un cavallo matto, oserei dire spericolato. Diciamocela, abbiamo bisogno di film così. Siamo infatti stanchi della perfezione.
Diamoci alla perdizione!
di Stefano Falotico