IL BACIO DELLA PANTERA, recensione
Ebbene, in occasione della sua pregiata uscita in Blu-ray a colori definiti e accesi, recensiremo per l’occasione Il bacio della pantera (Cat People), ovvero lo scomodo, all’epoca assai osteggiato e non poco, ingiustamente criticato e snobbato film di Paul Schrader, vietato ai minori di anni 14, della durata consistente di un’ora e cinquantotto minuti assai corposi, diciamo visivamente succulenti e non privi, certamente, di materiale trasgressivo e fortemente piccante, eversivo e scandaloso.
Il bacio della pantera, distribuito nelle sale nell’82 è un rifacimento molto sui generis e assolutamente personale, rielaborato in chiave allusivamente molto più morbosamente erotica e a sfondo perversamente incestuoso, al contempo perturbante e fascinoso, della famosa pellicola omonima di Jacques Tourneur del 1942. Concettualmente, come appena sopra dettovi, personalizzata secondo l’ottica e la cinematografica poetica schraderiana. Schrader, sceneggiatore di Taxi Driver, rinomato regista apprezzato appena reduce da due opere notevolmente dalla Critica stimate, ovvero First Reformed e soprattutto Il collezionista di carte con Oscar Isaac.
Il quale, con tale suo Il bacio della pantera, insospettabilmente prodotto, fra gli altri, da nientepopodimeno che Jerry Bruckheimer, un nome apparentemente agli antipodi e antiteticamente, diametralmente opposto rispetto all’autore de Lo spacciatore e del writer di Toro scatenato, andò incontro a duri giudizi recensori piuttosto impietosi e negativamente lapidari. Oggi come oggi, Il bacio della pantera, che riscontra un’ottima media sul sito aggregatore metacritic.com, equivalente esattamente al 62% di opinioni se non eccelse o grandemente lusinghiere, perlomeno positive, è stato ampiamente rivalutato ma sono in tanti, anche presso l’intellighenzia, a non essere concordi nel giudicarlo una pellicola importante.
Tant’è vero che, così come testualmente peraltro riportato da Wikipedia (da estratto sottostante), questo remake di Schrader, inoltre quasi mai citato dai suoi cultori, estimatori e maggiori aficionado, i quali per l’appunto continuano a reputarlo un film minore all’interno della sua vasta filmografia alta, stratificata, complessa e tematicamente variegata, è tutt’ora visto come un film incapace di poter rivaleggiare, qualitativamente parlando, col capostipite originale:
«Incoraggiata, forse, dal revival del fantahorror classico sancito dal successo commerciale di An American Werewolf in London, la Universal commissiona al regista Paul Schrader l’impegnativo compito di rileggere in chiave contemporanea il celebre The Cat People firmato da Tourneur e sceneggiato da DeWitt Bodeen nel 1942. L’operazione promette bene per il cast impiegato e per il budget consistente, ma l’esito è discutibile. Il film non regge il confronto con la raffinata pellicola che lo ispira: la sceneggiatura di Alan Ormsby – a tratti confusa – aggiunge personaggi superflui senza riuscire a caratterizzarli nello spessore psicologico e, piegandosi gratuitamente alle regole dello spettacolo, punta esplicitamente sull’impostazione erotica e scabrosa. Le interpretazioni non sono impeccabili (ma innegabile è la presenza scenica della Kinski). I meriti principali dell’opera vanno cercati in qualche originale intuizione (in particolare, le scene di apertura e il finale) e nella qualità degli effetti speciali e della fotografia».
Trama, enunciatavi in poche righe esaustive e sintetiche per non rovinarvi, se non l’avete ancora mai visto, le potenti sorprese inquietanti: Irina Gallier (Nastassja Kinski) è una giovanissima, bellissima donna che, all’aeroporto di New Orleans, incontra finalmente e fatalmente suo fratello Paul (Malcolm McDowell). Che non vede da quando ha quattro anni. Irina, avvenente oltre ogni dire ma dalla venustà angelicata emanante infinita dolcezza adamantina profumata di torbida levità suadentemente sensuale, è vergine, sì, illibata. Suo fratello le confida maliziosamente e segretamente che sia lei che lui sono dannati da una macabra e terribile, animalesca, potremmo dire metaforicamente, maledizione ancestrale e arcana delle più bestiali, in senso lato e non. Ovvero, quando s’innamorano, si trasformano in pantere.
Anzi, bando alle sottigliezze romantiche, tale metamorfosi avviene quando, per ragioni primigenie e misteriose, si eccitano a livello puramente, carnalmente sessuale più primordiale e sinceramente umano. Irrefrenabile e incontenibilmente, impulsivamente selvaggio. Anzi, selvatico…
Intanto, una pantera fugge dallo zoo, il cui sovrintendente è l’ambiguo Oliver Yates (John Heard). Irina, attualmente disoccupata, conosce Oliver che la assume, forse infatuandosene…
Il bacio della pantera, rivisto oggi, appare senza dubbio datato e, malgrado le torpide atmosfere di morte mescolate a un tetro, mortifero, spettralmente languido erotismo soffuso di sicuro impatto psico-emotivo, in quanto agisce a livello inconscio, scatenandoci d’istinto delle sensazioni provocanti, lungo la sua lunga durata annoia estenuantemente e risulta estremamente prevedibile in più parti fra di loro scollate e disomogenee, perfino mal dirette e sciattamente orchestrate. Risultando disorganico, premeditatamente orrifico nell’esplosione di scene di violenza gratuita, come nella tremenda, raccapricciante scena del morso letale della pantera in gabbia che mostruosamente stacca il braccio a un custode dinanzi agli occhi bellissimi dalle iridi magneticamente cangevoli ma, in tale frangente agghiacciante, allucinati e inorriditi, impietriti della scioccata Irina/Kinski. La cui espressione del suo viso stupendo repentinamente viene rattrappita in una smorfia di terrore abnorme. Il bacio della pantera funziona sul versante prettamente viscerale, dimostrandosi invece quasi penoso e dozzinale nella sua parte specialmente centrale e soprattutto palesandosi ai nostri occhi di spettatori, giustappunto, adulti e smaliziati, ingenuamente ed esageratamente ricolmo di nauseanti, tristi e troppo chiaramente esplicitate allusioni sessuali che dopo un po’ inevitabilmente stancano e stomacano in modo indigeribile e funesto. Voleva essere un pugno allo stomaco ma appare soltanto un pugno agli occhi, figurativamente parlando, scagliato volgarmente verso il buon gusto, sconfinando nel truculento sanguinoso più grottesco che è un triste affronto alla nostra tollerabilità. E sinceramente, tutto ciò, da un regista dotato di enorme acume e finissima sensibilità come Paul Schrader, non è minimamente accettabile. La bella, secca e classica fotografia chiaroscurale, in perfetta linea col clima sudaticcio e malsano della vicenda narrataci e mostrataci da Schrader, è evocativa e magistralmente firmata da un ispirato, specie nelle scene notturne, John Bailey (Qualcosa è cambiato).
Malcolm McDowell, al solito, risulta una scelta azzeccata e vincente per interpretare il repellente personaggio del fratello di Irina. Nei folli lineamenti, infatti, della sua faccia eternamente incastonata nell’immaginario collettivo da disturbato Alex di Arancia meccanica, è impresso iconicamente il ritratto fisionomico dell’uomo psicologicamente tanto instabile quanto interiormente fragile e dunque capace, da un istante all’altro, di poter compiere scellerate nefandezze anche sessualmente malate.
Discrete le musiche di Giorgio Moroder (Scarface) e notevole la canzone dei titoli di testa cantata da David Bowie e da lui scritta, intitolata Cat People (Putting Out Fire). Ovviamente però, il punto di forza de Il bacio della pantera è l’adorabile Nastassja Kinski, stordente e accecante ipnoticamente, Poiché, in particolar modo, nella seconda ora del film, si scatena in esuberanti, strepitosi e inarrivabili nudi abbondanti da incorniciare indelebilmente e marmoreamente nella storia, nudi sfavillanti da immediato, virile innamoramento e folgorazione godibilmente contemplativa di noi attoniti, ammirati e da lei indotti in stato piacevolmente catatonico. Essendo qui, Nastassja, allo zenit della sua femminilità immane e incredibile, lussuriosamente esagerata. Nudi parsimoniosi nei quali la sua beltà acerba eppur seducente in maniera sconfinata, meravigliosamente, risplende in tutta la sua armonica, magnificenza irresistibilità impressionante, paradisiaca e superbamente graziosa. Illuminandoci di soavità lucente e d’idilliaco incanto venerante, non solamente in forma platonica, la sua Venere incarnata con sex appeal travolgente e scultoreo infinitamente. Una donna favolosa, grandiosamente deliziosa e, in tal caso, nient’affatto pruriginosa a svelarsi in tutta la sua carica erotica impetuosa e per noi ardimentosa. Insomma, un capolavoro di donna ma il film è, sostanzialmente, ben poca cosa.
di Stefano Falotico