OCCHIALI NERI, recensione
Dopo aver letto molte critiche devastanti, pensavo di assistere a un film tragicamente comico e imbarazzante. Invece, sapete qual è la verità, triste e da film di paura-orrore? Non è per niente brutto questo film di Argento e molti di voi, anziché scrivere di Cinema, dovrebbero andare a coltivare le cicorie. Per voi, ci vogliono gli accompagnatori!
Ebbene, oggi recensiamo la nuova, attesissima opus di Dario Argento, maestro indiscusso del brivido e rivoluzionario cineasta che, a dispetto forse dei suoi ultimi passi falsi concernenti le sue recenti pellicole non particolarmente apprezzate, dopo il flop e le stroncature impietose riguardanti il suo Dracula 3D, a distanza di dieci anni esatti da quest’ultimo film appena citatovi, riesuma non il cadavere di Nosferatu, bensì una vecchia sceneggiatura dimenticata, riposta nel metaforico cassetto dei suoi progetti irrealizzati e momentaneamente accantonati, firmata dal suo storico collaboratore e spesso inseparabile sceneggiatore, ovvero Franco Ferrini (C’era una volta in America), già giustappunto writer per Argento degli script di Phenomena, Il cartaio e Non ho sonno.
Abbiamo citato, non a caso, queste tre opere della premiata ditta Argento-Ferrini, in quanto la trama del film da noi disaminato, in molte situazioni, nel districarsi della sua terribile, inquietante narrazione dipanatasi e mostrataci, diegeticamente le evoca frequentemente nell’interessante riverberarsi perdurevole d’un continuum, potremmo dire, auto-citazionistico di matrice metacinematografica assai rilevante e coerente con l’excursus registico e la poetica di Argento stesso. Premessa, questa, importantissima per poter apprezzare Occhiali neri, senza perciò adottare, perdonateci il seguente gioco di parole, ottiche recensorie prevenute, metaforicamente usanti i paraocchi. Questa, la sinossi ufficiale di Occhiali neri:
Roma. L’eclissi oscura il Sole – come un presagio – in una torrida giornata d’estate.
Un serial killer che ha preso di mira le prostitute mette gli occhi su Diana, una giovane escort. Durante il furioso inseguimento in auto, la ragazza va a schiantarsi contro un’altra automobile. Come conseguenza lei rimane cieca e l’intera famiglia del decenne Chin muore. Nonostante la cecità, Diana decide di prendere con sé il bambino e, con lui e il suo pastore tedesco Nerea, si dà alla fuga. L’assassino però è ancora a piede libero e non desiste dai suoi propositi.
La prostituta d’alto bordo è interpretata dalla bella Ilenia Pastorelli. La quale recita con disinvolta “ingenuità” attoriale perfettamente intonata allo sguardo argentiano. Argento, infatti, non si è mai troppo preoccupato della direzione recitativa, concentrandosi invece maggiormente sull’amalgama delle sue tenebrose storie ripiene di suggestioni soventemente oniriche ed ermeticamente tetre. Dando più spazio, dunque, alle atmosfere e volutamente tralasciando l’aspetto riguardante la recitazione dei suoi attori protagonisti. Anzi, aggiungiamo, spesso e volentieri preferì (e anche adesso, con questa sua opera, tale suo particolare, più o meno opinabile, stilema registico non smentisce) e preferisce prestare attenzione alle suggestioni da effonderci sottilmente. Diciamo questo perché in molti hanno sadicamente e ingratamente distrutto la performance della Pastorelli, maltrattando quest’ultima in modo estremamente irrispettoso del suo lavoro e di conseguenza ridicolizzando Argento stesso, incapace, a detta loro, di avere polso e colpevole di essersi rimbambito irreversibilmente.
Inevitabilmente criticando pesantemente Occhiali neri, partendo erroneamente e, osiamo dire, perfino arbitrariamente e ignorantemente, da presupposti critici assai equivoci e figli solamente d’un ingiusto accanimento scioccante rivolto, da molti anni a questa parte, a un autore grandioso, qual è comunque Argento, a prescindere dall’abbassamento qualitativo delle sue ultime pellicole. Compresa questa da noi presa in questione.
Chiaritici su ciò, cioè con quanto appena scrittovi, Occhiali neri non è minimamente paragonabile all’Argento degli anni d’oro, non è di certo un capolavoro e non è nemmeno un bel film. Però, altresì, non è affatto brutto e/o da buttare, oppure addirittura imbarazzante e inguardabile, a differenza di quanto invece stupidamente sostenuto da molti sciocchi recensori e capre dell’ultima ora.
Poiché Argento è sempre sostanzialmente stato questo, nel bene o nel male. Seguentemente vi spiegheremo brevemente.
Non vogliamo, intendiamoci bene, spezzare lance in favore di Argento da suoi fan “ciechi”, esteticamente parlando, né desideriamo scagliarci contro molta intellighenzia attuale per puro spirito provocatorio da bastian contrari stolti e miopi.
Il Cinema di Argento è estremamente autoriale, potremmo dire, spesso anche artisticamente “artigianale”. Ricolmo d’incongruenze narrative e di evidenti stonature a livello di coerenza logica nelle sue trame (vedasi Phenomena). Almeno all’apparenza.
Scusate, a un David Lynch abbiamo mai chiesto sensatezza? Allora perché pretendere logicità da Argento? Semplicemente perché, forse rispondereste voi, Lynch realizza pellicole marcatamente nonsense, rendendole dichiaratamente incomprensibili e al contempo, a seconda dell’intelligenza dei vari spettatori, a loro modo intelligibili? No, scusate, quest’atteggiamento si chiama capzioso cinismo e autentico, disgustoso comportamento da furbi sofisti-solipsisti della Settima Arte che piace o non piace in base a personalissimi, dunque a loro volta criticabilissimi, gusti e pareri soggettivi ed egoisticamente personali.
Quindi, il problema che si pone con Occhiali neri è soltanto uno. Il film non è un horror, non è un thriller ed è, per circa un’ora, a parte l’inizio truculento e trash, spaventosamente grottesco, un film intimista. Sì, avete letto bene, non ci siamo sbagliati.
È la storia di una donna autentica e pasoliniana, un’Anna Magnani ante litteram inserita in un contesto cupamente torbido e malsano, Diana/Pastorelli, che continua a fare la prostituta malgrado sia divenuta cieca. Ma s’è sempre vergognata della sua professione, diciamo, ovvero di svolgere il mestiere più vecchio del mondo. Non è una donna istruita, è ingenua oltre ogni limite, è fisicamente bona ma nell’animo troppo caritatevole, apprensiva e buona. Cosicché, prende sotto la sua custodia Chin/Andrea Zhang, premurandosi di un bambino difficile che difficilmente fraternizza con chicchessia. Con lei, invece, stranamente Chin solidarizza di buon grado e in modo naturale, non forzato.
Occhiali neri, parallelamente, è la storia di una timida e sensibile assistente sociale speciale, Rita/Asia Argento, che vuole salvare Diana non soltanto da un invisibile, misterioso omicida seriale che viaggia su un furgoncino bianco e talvolta le appare, visionariamente, nei suoi incubi peggiori. Uno spauracchio esistente realmente o solamente la visualizzazione dell’inconscio di Diana non ancora morta dentro? Donna irrisolta, già profondamente infelice, con tutta probabilità, ancor prima dell’incidente occorsele? Insicura, incerta, sbagliata all’interno d’una Roma caotica in cui non respira, in cui, in un modo o nell’altro, deve celarsi e proteggersi. Salvaguardando la propria esistenza in pericolo, anche in senso lato. Perché fuori c’è sempre un lupo solitario molto cattivo che non sta prendendo di mira solo lei.
Lei è sola, è spaurita, in balia del suo trauma e del crescere palpabile della tensione… sua emotiva. Precipitata nella voragine senza fondo, profondamente lugubre, della sua notte eterna e mortale. Avviluppata dalla morsa attanagliante del suo intimo, metaforico noir in cui non c’è luce ma un bagliore di speranza…
Soprattutto perché le verrà a mancare la sua guida, specialmente morale e spirituale, cioè Rita. Strangolata e stravolta, a sua volta, stavolta in senso fisico, dal mostro che non dà tregua, che recide i sogni di purezza e amputa la bella semplicità del vivere onesto anche se, potrebbe parer ossimorico, eticamente non pulito per colpa d’un destino già segnato e scritto. Forse però non del tutto.
Attenzione, Diana chiama Rita amore… L’amore incarnato della voglia di sperare, di continuare a combattere e non fuggire dinanzi a un brutto sogno. Questo brutto sogno, quando ti svegli, non è reale e non esiste?
Oppure i mostri si possono mordacemente, non utopisticamente uccidere e agguantare, lasciandoli sbranare dal morso della loro cagnesca crudeltà feroce e aggressiva che si ritorce loro contro, inaspettatamente (ed è questa una suspense esistenziale), abbrancandoli e sfiancandoli con letalità impietosa e implacabile?
Dario Argento ha la sua età e non sa quello che fa?
O forse è così lucido da essere perfettamente cosciente di confezionare una discreta e godibile “fiction” in formato fintamente filmico sotto forma di lungometraggio che dura soltanto 80 minuti scarsi, senza pretese, prodotta da Rai Cinema che non può mandarla in onda in prima serata a ragione semplicissima del fatto che, a prescindere da tale “format” lontano dai canoni, per il grande schermo, argentiani, è per l’appunto, pur sempre, una pellicola di Argento?
Violenta soprattutto nel finale tremendo quando Diana non può vedere il mostro massacrato ma il bambino, purtroppo o per fortuna, sì.
Diana già vide l’orrore, il bambino adesso deve vedervi chiaro senza più alcun timore, è obbligato giocoforza a vivere, a risperare, a rivedere la vita e prendere il volo.
Mentre Diana è di nuovo sola, brancolante nuovamente al buio, ancora una volta dentro l’asfissiante, accecante voracità nera del suo imperituro inferno pieno di paure. Dentro il giallo agghiacciante della sua anima malinconica che soffre, piange in silenzio ma non vuole morire…
di Stefano Falotico