PERICOLO in AGGUATO, recensione
Ebbene oggi, per i nostri Racconti di Cinema, vi parleremo di un film di cui quasi nessuno parlò, parla ed è addirittura a conoscenza, ovvero il misconosciuto ma bellissimo, osiamo dire strepitoso e avanguardistico Pericolo in agguato (Sometone’s Watching Me!), firmato da nientepopodimeno che John Carpenter (Il signore del male, Il seme della follia).
Eh già, avete letto bene, non stiamo scherzando. Pericolo in agguato, film, ripetiamo, da quasi nessuno conosciuto ma, perdonateci il gioco di parole voluto, altresì conosciuto a livello dizionaristico col titolo Procedura ossessiva, opus carpenteriana dell’anno 1978, essendo stata una delle prime pellicole, giustappunto, d’un Carpenter giovanissimo, soprattutto, essendo passata per molto tempo soltanto in televisione ed essendo a sua volta un tv movie, fra l’altro, sino al 2007, non reperibile in home video, tantomeno distribuito ovviamente in dvd, è stata considerata un’opera quasi inesistente. Paradossale, nevvero? Specialmente se teniamo conto che Pericolo in agguato porta la firma d’uno dei massimi maestri del Cinema contemporaneo al quale l’autore di tale recensione e seguente disamina dedicò un piccolo ma importante saggio monografico assai sofisticato e perlaceo.
Sceneggiato dallo stesso Carpenter, Pericolo in agguato dura novantasette minuti circa ed è attualmente visionabile in streaming su alcune piattaforme che circolano in rete. Ed è questo al momento, ahinoi, l’unico modo possibile, per l’appunto, per poterlo vedere? Fortunatamente, no. In quanto, come sopra poc’anzi dettovi, non esisteva, fino a poco tempo fa, la sua versione in dvd ma ora, invece, sì. Esattamente dal 2010, anno in cui uscì in dvd (il Blu-ray, però, non c’è) per l’etichetta Cult Media. Sorretto da un’interpretazione sontuosa, maestosa e molto sentita d’una torreggiante, svettante Lauren Hutton sempre affascinante, eccone brevemente la trama, estrapolatavi in tal caso dal pertinente e preciso dizionario Morandini che, in tempi non sospetti, già lo menzionò saggiamente e giustamente nel suo imprescindibile, checché se ne dica, tomo rilevante ed esaustivamente piuttosto completo, malgrado alcune umanissime, inevitabili pecche e dimenticanze comprensibili (non) contenute al suo interno.
Una regista televisiva s’improvvisa detective quando la polizia si rivela impotente nel proteggerla da un ignoto persecutore. Alto tasso di rischio. 1° film per la TV di J. Carpenter. Pur costretto dalla committenza a mettere la sordina al proprio estro visionario, Carpenter è riuscito a fare un dramma claustrofobico di infallibile suspense e di sapiente uso dello spazio, ispirato a Finestra sul cortile (1954) di Hitchcock e citazioni di M. Powell e S. Leone. Edizione italiana tagliata di alcuni minuti.
Teso, adrenalinico, mozzafiato, ispirato al succitato Alfred Hitchcock e ad altre pellicole del passato dalla simile tematica, Pericolo in agguato, pur non inventando nulla ed essendo quindi un’opera debitrice e derivativa, come appena scrittovi, figlia d’antecedenti pellicole profeticamente anticipatrici del “fenomeno” stalking, è straordinariamente interessante per molteplici ragioni e mille motivi anche meta-cinematografici addirittura lungimiranti. Innanzitutto, il film è uscito nello stesso anno di un caposaldo immarcescibile di Carpenter, cioè Halloween – La notte delle streghe. Quest’ultimo, come ben sappiamo, incentrato su un maniaco celeberrimo di nome Michael Myers che, in tale film e nella saga a venire, nei relativi sequel apocrifi e nel reboot con tanto di seguito, a sua volta, e prossimo terzo capitolo per la regia di David Gordon Green, questi, sì, patrocinati da Carpenter stesso, perseguitò la povera Laurie/Jamie Lee Curtis. Ora, Halloween è un horror slasher sanguinario e violento ma anche, a suo modo, un agghiacciante thriller tagliente che, semplicisticamente e per ovvie ragioni di sintesi descrittiva ed esegetica allineata allo spazio a sua volta logisticamente sbrigativo concessosi da un post, potremmo anche inquadrare nell’ottica d’un giallo sui generis, inserendolo nel (sotto)genere del sempreverde e pauroso filone riduttivamente e simpaticamente ascrivibile all’espressione film col mostro che non si mostra in viso ma spaventa, inquieta e terrorizza a più non posso, nascosto al buio, acquattato segretamente e celatosi, in modo invisibile, agli occhi della vittima da lui prescelta e designata.
E in ciò è dunque perfettamente in linea autoriale con la poetica, anzi, per meglio dire, con uno dei massimi, concettuali stilemi peculiari e unici di Carpenter, director inimitabile e personale oltre ogni dire e l’inconcepibile.
Progenitore, involontario o meno, di tanti suoi imitatori e di film a lui debitori, d’epigoni al suo Cinema ispiratisi da lì in poi.
Pensiamo al Brian De Palma di Omicidio a luci rosse. De Palma, per sua stessa sincera ammissione, dichiaratamente e voyeuristicamente, in senso cinefilo e tout–court, (auto)citazionistico in modus “hitchcockiano”, oppure pensiamo a Sliver di Philip Noyce con un William Baldwin pervertito-guardone e soprattutto una Sharon Stone sexy come non mai subito dopo la sua insuperabilmente sensuale predatrice “manipolatrice” di Basic Instinct.
E noi stessi, guardando al Cinema in profondità e scrupolosità maniacale delle più mirate, ammirandolo a 360° e giocando, non morbosamente, bensì solamente in maniera morbida e colta, di omaggi e prospettive/retrospettive a pellicole, più o meno rilevanti, basatesi su tale tematica espressavi/espressiva o agganciatene in maniera analoga di meta-cinema affine, ci stiamo in forma cinefila e divertita sbizzarrendo a “spiare” la settima arte con sana oculatezza certosina e sopraffina.
Scrutandovi con meticolosità puntigliosa e lucida, molto precisa, osiamo dire chirurgica.
Lauren Hutton è egregia nell’interpretare la parte della tormentata Leigh Michaels, affiancata da un cast di tutto rispetto, formato da David Birney, Charles Cyphers, John Mahon, James Murtaugh, al servizio della sua performance al centro di tale storia tanto brillante quanto inquietante.
Senza naturalmente dimenticare la solita presenza conturbante di Adrienne Barbeau, ex compagna di Carpenter.
Il film, per via del suo impianto televisivo, soffre qua e là di alcune indubbie ingenuità e non tutto, alla fine, torna. Ma è comunque piacevolissimo e sa anche spaventare come solo il maestro John sa fare.
Echi perfino del Cinema di Dario Argento. E chi ha copiato dunque chi? Nessuno dei due, essendo amici da tempo immemorabile.
Perciò, forse non un Carpenter memorabile ma decisamente potente.
Pericolo in agguato, da non confondere con l’omonimo, nella traduzione italiana, altresì noto anche come Un uomo sotto tiro, mentre in quella originale è Man on Fire, film action con Scott Glenn, film degli eighties che ha avuto un’altra versione a cura di Tony Scott con Denzel Washington. Il cui titolo, per l’appunto Man on Fire, è rimasto da noi invariato.
Il Falò ne sa una più del diavolo. Molti haters/stalker mi spiano ma sono io che spio loro. Ah ah.
di Stefano Falotico