UBRIACO D’AMORE, recensione
Ebbene, in occasione della sua elegante e pregiata uscita italiana in Blu-ray 4K, ci lanceremo nella breve disamina d’uno dei film più sottovalutati, perfino dai suoi più strenui e irriducibili cultori, di Paul Thomas Anderson (Licorice Pizza), ovvero il bellissimo, dolce e poetico, eppur, ripetiamo, a tutt’oggi ancora snobbato e tristemente liquidato, Ubriaco d’amore (Punch–Drunk Love).
Ubriaco d’amore, film della durata brevissima, perlomeno per gli standard “andersoniani” di novantacinque minuti scarsi (ovviamente, a livello di minutaggio e non in senso qualitativo), cioè a malapena di un’ora e mezza circa, uscito nei cinema mondiali nell’anno 2002 e premiato per la miglior regia al Festival di Cannes. Opus n. 4 di Anderson dopo Sydney, Boogie Nights e Magnolia e, così come spesso avviene per Anderson, a eccezione di Vizio di forma/Inherent Vice, tratto dall’omonimo, perlomeno nel suo titolo originale, romanzo di Thomas Pynchon, e Il petroliere/There Will Be Blood, quest’ultimo invece adattato dal libro Il petrolio!, firmato da Upton Sinclair, in tal caso, dallo stesso Anderson sceneggiata a partire da un suo esclusivo soggetto originale. Ubriaco d’amore è una suggestiva, assai lieve e struggente, sapida e romantica miscelazione di commedia brillante sui generis e melò coinvolgente, potremmo dire, mirabolante, ripieno di stramberie, bizzarrie stilistiche ed efficaci invenzioni strambe, visivamente avvolgente e al contempo esilarante. Per l’appunto, commovente e, caleidoscopico, metaforicamente.
Ora, malgrado le ottimi critiche, non solamente statunitensi, ricevute all’epoca, e i vari premi assegnatigli fra cui quello sopra enunciatovi, assai importante, Ubriaco d’amore, ribadiamo, è un film di Anderson dimenticato sovente e quasi mai citato. Addirittura, viene spesso considerata una pellicola minore all’interno del suo poliedrico, versatile, a seconda dei gusti, più o meno amabile o lodevole, suo mutevole e fascinoso excursus cineastico e filmografico. Incredibile, in quanto invece noi la consideriamo una delle sue opere più belle e sincere. Per niente leziosa, non artefatta e priva di molti orpelli cervellotici e intellettualoidi di cui, ahinoi, invece molto del suo Cinema, questo sì, sopravvalutato, è esageratamente pieno in maniera sterile e deleteria.
Trama, qui brevissimamente enunciatavi in pochissime righe per non incorrere in spoiler opportunamente disdicevoli e fuori luogo: Barry Egan (un bravo Adam Sandler in uno dei suoi primi ruoli non demenziali) è un imbranato venditore di sturalavandini e suppellettili affini presso una scalcagnata ditta e tira a campare alla bell’è meglio, arrangiandosi come può e vivendo, soprattutto, un’esistenza sentimentalmente arida. In poche parole, non ha alcuna relazione affettiva col sesso opposto. E ciò è forse imputabile al suo carattere innatamente schivo e timido e, in particolar modo, al fatto che è cresciuto in una famiglia con sette sorelle che, nei suoi slanci passionali ed emotivi, l’hanno sempre condizionato e psicologicamente castrato a esporsi e farsi avanti verso il gentil sesso. Un giorno, però, nella triste e desolata vita di Barry, accade qualcosa di prodigiosamente, involontariamente inaspettato. Cioè una donna di nome Lena Leonard (una perfetta, come di consueto, Emily Watson) porta la sua macchina in riparazione presso l’officina del meccanico che è ubicata in zona attigua all’ufficio ove lavora Barry. Per varie circostanze che non vi staremo dettagliatamente a spiegarvi, Barry conosce quindi Lena. E fra loro scatta qualcosa di magico e, per entrambi, emozionalmente tanto imprevisto quanto delicatamente bellissimo.
Nel cast, un ex habitué del Cinema di Anderson, ovvero il compianto Philip Seymour Hoffman e la solita, strepitosa “macchietta” di Luis Guzmán (Carlito’s Way, anche lui ex presenza frequente dei primi film di Anderson e amico, anche nella vita reale, di Sandler col quale, l’anno successivo ad Ubriaco d’amore, girò Terapia d’urto). Pertinenti musiche soavi di Jon Brion ed eccelsa, sebbene tetra e dai toni assai scuri e plumbei, fotografia di Robert Elswit per un film intimistico assai intelligente, mai scontato e dolcemente, amabilmente toccante che sa coniugare con arguzia e leggerezza il dramma alla comedy più esilarante e briosa. Da vedere assolutamente e quanto prima da rivalutare ampiamente.
Commedia e dramma di rara intensità delicata. Garbato, sensibile, uno dei migliori Anderson. Meglio delle altre due love stories da lui poi dirette, ovvero Il filo nascosto e il sopravvalutato, patetico e senile, sì, non è giovanile per niente, Licorice Pizza. Adatto solo ai cinquantenni frustrati e nostalgici.
E poi smettiamola col PTA. Dai, suvvia!
di Stefano Falotico